“[…] negli abbracci forsennati o dolcissimi
non era il tuo corpo che cercavo bensì la tua anima, i tuoi sentimenti, i tuoi
sogni, le tue poesie.
E forse è vero che quasi mai un amore ha per
oggetto un corpo, spesso si sceglie una persona per la malìa inesplicabile con
la quale essa ci investe, o per ciò che essa rappresenta ai nostri occhi, alle
nostre convinzioni, alla nostra morale;
[…] Forse non ero innamorata di te, o non
volevo esserlo, forse non ero gelosa di te, o non volevo esserlo, forse mi ero
detta un mucchio di verità o menzogne, ma una cosa era certa: ti amavo come non
avevo mai amato una creatura al mondo, come non avrei mai amato nessuno.
Una volta avevo scritto che l’amore non
esiste, e se esiste è un imbroglio: che significa amare? Significava ciò che
ora provavo a immaginarti impietrito, perdio, con lo sguardo di un cane preso a
calci perché ha fatto la pipì sul tappeto, perdio!
Ti amavo, perdio. Ti amavo al punto di non
sopportare l’idea di ferirti pur essendo ferita, di tradirti pur essendo
tradita, e amandoti amavo i tuoi difetti, i tuoi errori, le tue bugie, le tue
bruttezze, le tue miserie, le tue volgarità, le tue contraddizioni, il tuo
corpo […]
[…] E forse il tuo carattere non mi piaceva,
né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del
desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto
inguaribile, che ormai non potevo più concepire la vita senza di te.
Ne facevi parte quanto il mio respiro, le mie
mani, il mio cervello, e rinunciare a te era rinunciare a me stessa, ai miei
sogni che erano i tuoi sogni, alle tue illusioni che erano le mie illusioni,
alle tue speranze che erano le mie speranze, alla vita!
E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era
piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo indicare tutti i segni, i
fenomeni. Se parlavo di te con gente che non ti conosceva o alla quale non
interessavi, mi affannavo a spiegare quanto tu fossi straordinario e geniale e
grande; se passavo davanti a un negozio di cravatte e camicie mi fermato
d’istinto a cercare la cravatta che ti sarebbe piaciuta, la camicia che sarebbe
andata d’accordo con una certa giacca; se mangiavo al ristorante sceglievo
senza accorgermene i piatti che tu preferivi e non che io preferivo; se leggevo
il giornale notavo sempre la notizia che a te avrebbe interessato di più, la
ritagliavo e te la spedivo; se mi svegliavi nel cuore della notte con un
desiderio o una telefonata, mi fingevo più desta di un fringuello che canta al
mattino”.
- Oriana Fallaci -
da "Un uomo", ed. Rizzoli, 1979
Il popolo! Il buon popolo che non ha mai colpa in quanto è povero ignorante
innocente! Il buon popolo che va sempre assolto perché è sfruttato manipolato
oppresso! Come se gli eserciti fossero composti solo da generali e da
colonnelli! Come se a fare la guerra e a sparare sugli inermi e a distruggere le
città fossero i capi di Stato maggiore e basta! Come se i soldati del plotone di
esecuzione che doveva fucilarmi non fossero stati figli del popolo! Come se
quelli che mi torturavano non fossero stati figli del popolo! [...] Come se ad
accettare i re sul trono non fosse il popolo, come se a inchinarsi ai tiranni
non fosse il popolo, come se ad eleggere i Nixon non fosse il
popolo, come se a votare pei padroni non fosse il popolo! [...] Come se la
libertà si potesse assassinare senza il consenso del popolo, senza la
vigliaccheria del popolo, senza il silenzio del popolo!
Cosa vuol dire
popolo?!? Chi è il popolo?!?
Sono io il popolo! Sono i pochi che lottano e
disubbidiscono, il popolo! Loro non sono popolo! Sono gregge, gregge, gregge!
da "Un uomo", ed. Rizzoli, 1979
Alekos Panagulis: IV, I; 2001, p. 275
Dire che il popolo è sempre vittima, sempre
innocente, è un'ipocrisia e una menzogna e un insulto alla dignità di ogni
uomo, di ogni donna, di ogni persona.
Un popolo è fatto di uomini, donne,
persone, ciascuna di queste persone ha il dovere di scegliere e decidere per se
stessa; e non si cessa di scegliere, di decidere, perché non si è né generali
né ricchi né potenti.
da "Un uomo", ed. Rizzoli, 1979
IV, I; 2001, p. 276
Resta con me, Signore,
ora che il giorno volge al tramonto.
Il mondo è una via che porta a te
e ancora sto camminando.
Più che mai cercherò di allontanare
ogni falsità dai miei pensieri,
ogni ombra dai miei affetti,
sapendo che tu mi sei vicino
e mi rendi degno
della tua amicizia.
L’occhio ancora scruta,
ma non sempre vede.
L’orecchio ancora ascolta,
ma non sempre ode.
Il piede ancora si muove,
ma il passo è incerto.
Ora che il giorno sta per finire,
rimani con me, Signore:
la mia mano nella tua
sulla strada che porta al tuo cielo.
Amen.
Fonte: Breviario della terza età, Sac. Ferdinando Baj,Ed. Salcom, gennaio 1989
Buona giornata a tutti. :-)
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