François
Xavier Nguyên Van Thuân (Huê, Viêt Nam 17 aprile 1928 - Roma lunedì 16 settembre
2002). Cardinale vietnamita, presidente del Pontificio consiglio della
giustizia e della pace.
Aveva 74 anni. La storia della sua vita ha la
freschezza degli antichi atti dei martiri. Eppure è modernissima.
Anticipatrice. Nel 1975, Nguyên Van
Thuân era da pochi giorni arcivescovo coadiutore di Saigon, quando la città cadde in potere dei comunisti
del nord. Subito fu messo in prigione. Visse in prigione per tredici anni,
senza giudizio né sentenza. Da Saigon fu prima trasferito in catene a Nha
Trang. Quindi al campo di rieducazione di Vinh-Quang, sulle montagne. Passò
momenti durissimi, come il viaggio su una nave con 1500 prigionieri affamati e
disperati. Poi il lungo isolamento, durato nove anni. C'erano due guardie solo
per lui. In carcere non poté portare con sé la Bibbia. Allora raccolse tutti i
pezzetti di carta che trovava e compose un minuscolo libro sul quale trascrisse
più di 300 frasi del Vangelo che ricordava a memoria. Celebrava messa ogni giorno
con il palmo della mano a far da calice, con tre gocce di vino e una goccia
d'acqua. Il vino se l´era procurato così. Appena arrestato gli avevano permesso
di scrivere una lettera per chiedere ai parenti le cose più necessarie. Domandò
allora un po' di medicina per digerire. I famigliari compresero il significato
vero della richiesta e gli mandarono una bottiglietta con il vino della messa e
con l'etichetta: «medicina contro il mal di stomaco». Le briciole di pane
consacrato le conservava in pacchetti di sigarette. Era in isolamento ad Hanoi
quando una ufficiale della polizia gli portò un piccolo pesce che lui avrebbe
dovuto cucinare. Il pesce era avvolto in due pagine dell'"Osservatore
Romano", che la polizia usava requisire quando arrivava per posta. Senza
farsi notare egli lavò bene quei due fogli e li fece asciugare al sole,
conservandoli quasi come una reliquia. Nell'isolamento della prigione, quelle
due pagine erano per lui un segno di unione con Roma e la cattedra di Pietro.
Durante l'isolamento era solito dire la messa intorno alle 3 del pomeriggio,
l'ora di Gesù sulla croce. Tutto da solo, cantava la messa in latino, in
francese e in vietnamita. Cantava anche gli inni come il Te Deum, il Pange
Lingua, il Veni Creator Spiritus. La sua bontà, il suo amore anche per i
nemici, colpiva non poco le guardie. Sulle montagne di Vinh Phù, nella prigione
di Vinh Quang, chiese una volta a una guardia il permesso di tagliare un
pezzetto di legno a forma di croce. E quello lo accontentò. In un'altra
prigione chiese alla guardia un pezzo di filo elettrico. Temendo che volesse
suicidarsi, l'agente si spaventò. Ma Nguyen Van Thuân gli spiegò che voleva
fare semplicemente una catenella per portare la sua croce. Dopo tre giorni la
guardia ricomparve con un paio di pinze e insieme composero una catenella. Da
quella croce e da quella catena Nguyen Van Thuân non si separò più. Le portò
sempre al collo, anche dopo la sua liberazione, avvenuta il 21 novembre 1988. E
anche dopo il suo esilio forzato a Roma, nel 1991, e la sua nomina a cardinale,
da parte del Santo Padre Giovanni
Paolo II il 21 febbraio 2001, Diacono di Santa Maria della Scala.
E sempre con quella povera
croce sul petto morì lunedì 16 settembre a Roma.
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