I pastori che erano stati alla stalla
di Betlemme a onorare il Bambino Gesù tornavano a casa. Erano arrivati tutti
con le braccia cariche di doni, e ora se ne partivano a mani vuote.
Eccetto uno. Un pastore giovane aveva portato via qualcosa dalla stalla santa di Betlemme. Una cosa che
teneva stretta nel pugno. Gli altri lì per lì non ci avevano fatto caso, finché
uno di essi non disse: “Che cos’hai in mano?”.
“Un filo di paglia”, rispose il
giovane pastore, “un filo di paglia della mangiatoia in cui dormiva il
Bambino”.
“Un filo di paglia!”, sghignazzarono
gli altri. “È solo spazzatura. Buttalo via!”.
Il giovane pastore scosse il capo
energicamente.
“No”, disse. “Lo conservo. Per me è un
segno, un segno del Bambino. Quando tengo questa pagliuzza nelle mie mani, mi
ricordo di lui e quindi anche di quello che hanno detto di lui gli angeli”.
Il giorno dopo, gli altri pastori
chiesero al giovane: “Che ne hai fatto della tua pagliuzza?”.
Il giovane la mostrò. “La porto
sempre con me”. “Ma buttala! “.
“No. Ha un grande valore. Su di
essa giaceva il Figlio di Dio”.
“E con questo? Il Figlio di Dio vale.
Non la paglia!”.
”Avete torto. Anche la paglia vale tanto. Su che altro poteva
stare il Bambino, povero com’era? Il Figlio di Dio ha avuto bisogno di un po’
di paglia. Questo mi insegna che Dio ha bisogno dei piccoli, dei senza-valore.
Sì, Dio ha bisogno di noi, i piccoli, che non contiamo molto, che sappiamo così
poco”.
Con il passare dei giorni sembrò che
il filo di paglia diventasse sempre più importante per il giovane pastore.
Durante le lunghe ore al pascolo lo prendeva spesso in mano: in quei momenti
ripensava alle parole degli angeli ed era felice di sapere che Dio amava tanto
gli uomini da farsi piccolo come loro. Ma un giorno uno dei suoi compagni
gli portò via il filo di paglia dalle mani, gridando:
“Tu e la tua maledetta paglia! Ci hai
fatto venire il mal di testa con queste stupidaggini!”.
Stropicciò la pagliuzza e la gettò
nella polvere.
Il giovane pastore rimase calmo.
Raccolse da terra il filo di paglia, lo lisciò e lo accarezzò con la mano, poi
disse all’altro: “Vedi, è rimasto quello che era: un filo di paglia. Tutta la
tua rabbia non ha potuto cambiario. Certo, è facile fare a pezzi un filo di
paglia. Pensa: perché Dio ci ha mandato un bambino, mentre ci serviva un
salvatore forte e battagliero? Ma questo Bambino diventerà un uomo, e sarà
resistente e incancellabile.
Saprà sopportare tutte le rabbie degli uomini,
rimanendo quello che è: il Salvatore di Dio per noi”.
Il giovane sorrise, con gli occhi
luminosi.
“No. L’amore di Dio non si può fare a pezzi e buttare via. Anche se
sembra fragile e debole come un filo di paglia”.
- don Bruno Ferrero -
...Dio si è fatto bambino. Che cosa
significa essere-bambini?
Significa anzitutto dipendenza, bisogno di aiuto,
riferimento agli altri. In quanto bambino Gesù non viene soltanto da Dio, ma da
altre persone. Si è formato nel grembo di una donna, dalla quale ha ricevuto la
carne e il sangue, il battito del cuore, i gesti, il linguaggio.
Ha ricevuto
vita dalla vita di un’altra persona umana. Questa provenienza da altri di ciò
che è proprio non è un fatto puramente biologico.
Significa che Gesù ha
ricevuto da persone che lo hanno preceduto, e soprattutto da sua madre, anche
le forme di pensiero e i modi di vedere, la stessa connotazione della propria
anima umana.
Significa che dai suoi antenati ha assunto lo stesso complesso
itinerario che da Maria risale fino ad Abramo e, in definitiva, fino ad Adamo.
Egli porta in se stesso il peso di questa storia e con la sua vita e le sue
sofferenze trasforma tutte le negazioni e incertezze in un puro ‘sì’: «Il
Figlio di Dio, Gesù Cristo… non fu ‘sì’ e ‘no’, ma in lui c’è stato il ‘sì’» (2
Cor 1,19)...
- Joseph Ratzinger -
da "Il Dio di
Gesù Cristo"