martedì 29 gennaio 2019

Le mura di Anagoor - Dino Buzzati

Nell’interno del Tibesti una guida indigena mi domandò se per caso volevo vedere le mura della città di Anagoor, lui mi avrebbe accompagnato. 
Guardai la carta ma la città di Anagoor non c’era. Neppure sulle guide turistiche, che sono così ricche di particolari, vi si faceva cenno.
Io dissi: «Che città è questa che sulle carte geografiche non è segnata?».
Egli rispose: «È una città grande, ricchissima e potente ma sulle carte geografiche non è segnata perché il nostro Governo la ignora, o finge di ignorarla. 
Essa fa da sé e non obbedisce. Essa vive per conto suo e neppure i ministri del re possono entrarvi. 
Essa non ha commercio alcuno con altri paesi, prossimi o lontani. Essa è chiusa. 
Essa vive da secoli entro la cerchia delle sue solide mura. E il fatto che nessuno ne sia mai uscito non significa forse che vi si vive felici?».

«Le carte» io insistetti «non registrano nessuna città di nome Anagoor, ciò fa supporre che sia una delle tante leggende di questo paese; tutto dipende probabilmente dai miraggi che il riverbero del deserto crea, nulla di più.»
«Ci conviene partire due ore prima dell’alba» disse la guida indigena che si chiamava Magalon, come se non avesse udito. «Con la tua macchina, signore, arriveremo in vista di Anagoor verso mezzodì. Verrò a prenderti alle tre del mattino, mio signore.»
«Una città come quella che tu dici sarebbe registrata sulle carte con un doppio cerchio e il nome in tutto stampatello. Invece non trovo alcun riferimento a una città di nome Anagoor, la quale evidentemente non esiste. Alle tre sarò pronto, Magalon.»
Coi fari accesi alle tre del mattino si partì in direzione pressappoco sud sulle piste del deserto e mentre fumavo una sigaretta dopo l’altra con la speranza di scaldarmi vidi alla mia sinistra illuminarsi l’orizzonte e subito venne fuori il sole che si mise a battere il deserto finché fu tutto caldo e tremolante, tanto che si vedevano laghi e paludi intorno, in cui si riflettevano le rocce con precisione di contorni, ma di acqua non c’era in verità neanche un secchiello, soltanto sabbia e sassi incandescenti.
Ma la macchina con estrema buona volontà correva e alle 11,37 in punto Magalon che mi sedeva al fianco disse:
«Ecco, signore.»
E infatti vidi le mura della città che si estendevano per chilometri e chilometri, alte dai venti ai trenta metri, di colore giallastro, ininterrotte, qua e là sovrastate da torrette.
Avvicinandomi, notai che in vari punti, proprio a ridosso delle mura, c’erano degli accampamenti: tende miserabili, tende medie, tende da ricchi signori a forma di padiglione, sormontate da bandiere.
«Chi sono?» io chiesi.
E Magalon spiegò: «Sono coloro che sperano di entrare e bivaccano dinanzi alle porte».
«Ah, ci sono delle porte?»
«Ce ne sono moltissime, di grandi e di piccole, forse più di cento, ma è tanto vasto il perimetro della città che tra l’una e l’altra corre una notevole distanza.»
«E queste porte, quando le aprono?»
«Le porte non vengono aperte quasi mai. Però si dice che alcune si apriranno. Stasera, o domani, o fra tre mesi, o fra cinquant’anni, non si sa, è appunto qui il grande segreto della città di Anagoor.»
Eravamo arrivati. 
Ci fermammo dinanzi a una porta che sembrava di ferro massiccio. Molta gente era là in attesa. Beduini sparuti, mendicanti, donne velate, monaci, guerrieri armati fino ai denti, perfino un principe con la sua piccola corte personale. Ogni tanto qualcuno con una mazza batteva sulla porta, che rintronava.
«Battono» disse la guida «affinché quelli di Anagoor, udendo i colpi, vengano ad aprire. è infatti generale persuasione che se non si bussa nessuno mai aprirà.»
Mi venne un dubbio: «Ma è poi sicuro che di là dalle mura ci sia qualcuno? La città non potrebbe essere ormai estinta?»
Magalon sorrise: «Tutti, la prima volta che vengono qui hanno il medesimo pensiero. Io stesso sospettavo, un tempo, che dentro le mura non vivesse più nessuno. Ma c’è la prova del contrario. Certe sere, in condizioni favorevoli di luce, si possono scorgere i fumi della città che salgono diritti al cielo, come tanti incensieri. Segno che uomini vivono là dentro, e accendono fuochi, e fanno da mangiare. E poi c’è un fatto anche più dimostrativo: tempo fa una delle porte è stata aperta.»
«Quando?»
«La data, per essere sinceri, è incerta. Alcuni dicono un mese, un mese e mezzo fa, altri però ritengono il fatto molto più lontano, vecchio di due, tre, perfino quattro anni, qualcuno addirittura lo attribuisce al tempo che regnava il sultano AhmerEhrgun.»
«E quando regnò AhmerEhrgun?»
«Circa tre secoli fa… Ma tu sei molto fortunato, mio signore… Guarda. Benché sia mezzodì e l’aria bruci, ecco là dei fumi.»
Una improvvisa eccitazione, nonostante il caldo, si era propagata nell’eterogeneo accampamento. Tutti erano usciti dalle tende ed additavano due tremule spire di grigio fumo elevantisi nell’aria immota di là dal ciglio delle mura. 
Non capivo una parola delle concitate voci che si accavallavano. Però era evidente l’entusiasmo. Come se quei due poveri fumi fossero la cosa più meravigliosa del creato e promettessero ai riguardanti una prossima felicità. Il che mi sembrava esagerato per le seguenti ragioni:
Prima di tutto l’apparizione dei fumi non significava affatto una maggiore probabilità che quella porta si dovesse aprire e perciò non vi era motivo sensato di tripudio.
Secondo: tanto schiamazzo, se udito dall’interno delle mura, come era probabile, avrebbe, se mai, dissuaso quelli dall’aprire, anziché incoraggiarli.
Terzo: quei fumi, di per sé, non dimostravano neppure che Anagoor fosse abitata. 
Infatti non poteva trattarsi di un casuale incendio dovuto al sole torrido? Oppure, ipotesi assai più probabile, erano i fuochi accesi da predoni entrati per qualche pertugio segreto delle mura a saccheggiare la città morta e disabitata. 
«Era molto strano» io pensavo «che oltre ai fumi, nessun altro sintomo di vita fosse stato notato in Anagoor: né voci, né musiche, né ululati di cani, né sentinelle o curiosi sul ciglio delle mura, mai. Stranissimo.» Allora io dissi: «Dimmi, Magalon: quando è stata aperta la porta che tu dici, quanta gente è riuscita a entrare?». 
«Un uomo solo» disse Magalon.
«E gli altri? Cacciati indietro?»
«Altri non c’erano. Si trattava di una delle porte più piccole e trascurate dai pellegrini. Quel giorno non c’era nessuno ad aspettare. Verso sera giunse un viandante che bussò. Egli non sapeva che fosse la città di Anagoor, non si aspettava, entrando, niente di speciale, chiedeva solo un rifugio per la notte. Non sapeva niente di niente, era là per puro caso. Forse solo per questo gli hanno aperto.» 
In quanto a me, io ho aspettato quasi ventiquattro anni, accampato fuori delle mura. Ma la porta non si è aperta. E adesso me ne torno al mio paese.
I pellegrini dell’attendamento, vedendo i miei preparativi, scuotono il capo: «Eh, amico, quanta furia!» dicono. «Un minimo di pazienza, diamine! Tu pretendi troppo dalla vita.» 

- Dino Buzzati - 


Buona giornata a tutti. :-)