Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi.
È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo.
Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri.
Non è paura di Dio. Io non credo in Dio.
Non è paura del dolore. Io non temo il dolore.
È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre.
Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Mi son sempre posta l'atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando "Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?".
La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele. Come faccio a sapere che non sarebbe giusto buttarti via, come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio? Non puoi mica parlarmi.
La tua goccia di vita è soltanto un nodo di cellule appena iniziate. Forse non è nemmeno vita ma possibilità di vita. Eppure darei tanto perché tu potessi aiutarmi con un cenno, un indizio.
La mia mamma sostiene che glielo detti, che per questo mi mise al mondo.
La mia mamma, vedi, non mi voleva. Ero incominciata per sbaglio, in un attimo di altrui distrazione. E perché non nascessi ogni sera scioglieva nell'acqua una medicina. Poi la beveva, piangendo. La bevve fino alla sera in cui mi mossi, dentro il suo ventre, e le tirai un calcio per dirle di non buttarmi via. Lei stava portando il bicchiere alle labbra. Subito lo allontanò e ne rovesciò il contenuto per terra.
Qualche mese dopo mi rotolavo vittoriosa nel sole, e se ciò sia stato bene o male non so. Quando sono felice penso che sia stato bene, quando sono infelice penso che sia stato male. Però, anche quando sono infelice, penso che mi dispiacerebbe non essere nata perché nulla è peggiore del nulla.
Io, te lo ripeto, non temo il dolore. Esso nasce con noi, cresce con noi, ad esso ci si abitua come al fatto d'avere due braccia e due gambe.
Io, in fondo, non temo neanche di morire: perché se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente.
Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato, sia pure per caso, sia pure per sbaglio, sia pure per l'altrui distrazione. Molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire?
Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l'esclamare che nascere è meglio di non nascere. Tuttavia è lecito imporre tale ragionamento anche a te? Non è come metterti al mondo per me stessa e basta? Non mi interessa metterti al mondo per me stessa e basta. Tanto più che non ho affatto bisogno di te.
- Oriana Fallaci -
da: "Lettera a un bambino mai nato", cap. 1
Le cose che il
bambino ama
rimangono nel regno
del cuore
fino alla
vecchiaia.
La cosa più bella
della vita
è che la nostra
anima
rimanga ad
aleggiare
nei luoghi dove una
volta
giocavamo.
- Kahlil Gibran -
Neanche per un uomo la vita è facile, sai? Poiché avrai
muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesanti, ti
imporranno arbitrarie responsabilità. Poiché avrai la barba, rideranno se tu
piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza. Eppure, o proprio per questo,
essere un uomo sarà un’avventura meravigliosa: un’impresa che non ti deluderà
mai. Essere un uomo significa essere una persona.
- Oriana Fallaci -
Da: “Lettera a un bambino mai nato”
Vigliacco. Ipocrita vigliacco.
Tu che le telefonavi soltanto perché lo buttasse via.
Tu che per due mesi sei rimasto nascosto come un disertore.
Tu che sei andato da lei solo perché ti ho pregato.
Fate sempre così, vero? Vi spaventate e ci lasciate sole e al massimo tornate da noi in nome della paternità.
Tanto che vi costa la paternità?
Un ventre sfasciato da un ingrossamento ridicolo?
La pena del parto, la tortura dell’allattamento?
Il frutto della paternità vi viene scodellato dinanzi come una minestra già cotta, posato sul letto come una camicia stirata.
Non avete che da dargli un cognome se siete sposati, neanche quello se siete fuggiti.
Ogni responsabilità è della donna, ogni sofferenza, ogni insulto.
Puttana, le dite se ha fatto l’amore con voi.
La parola puttano non esiste nel dizionario: usarla è un errore di glottologia.
Sono millenni che ci imponete i vostri vocaboli, i vostri precetti, i vostri abusi.
Sono millenni che usate il nostro corpo senza rimetterci nulla.
Sono millenni che ci imponete il silenzio e ci relegate al compito di mamme.
In qualsiasi donna cercate una mamma.
A qualsiasi donna chiedete di farvi da madre: perfino se è vostra figlia.
Dite che non abbiamo i vostri muscoli e poi sfruttate la nostra fatica anche per farvi lucidare le scarpe.
Dite che non abbiamo il vostro cervello e poi sfruttate la nostra intelligenza anche per farvi amministrare il salario.
Eterni bambini, fino alla vecchiaia, restate bambini da imboccare, pulire, servire, consigliare, consolare, proteggere nelle vostre debolezze e nelle vostre pigrizie.
Io vi disprezzo.
E disprezzo me stessa per non saper fare a meno di voi, per non gridarvi più spesso: siamo stanche d’esservi mamme.
Siamo stanche di questa parola che avete santificata per il vostro interesse, il vostro egoismo.
Tu che le telefonavi soltanto perché lo buttasse via.
Tu che per due mesi sei rimasto nascosto come un disertore.
Tu che sei andato da lei solo perché ti ho pregato.
Fate sempre così, vero? Vi spaventate e ci lasciate sole e al massimo tornate da noi in nome della paternità.
Tanto che vi costa la paternità?
Un ventre sfasciato da un ingrossamento ridicolo?
La pena del parto, la tortura dell’allattamento?
Il frutto della paternità vi viene scodellato dinanzi come una minestra già cotta, posato sul letto come una camicia stirata.
Non avete che da dargli un cognome se siete sposati, neanche quello se siete fuggiti.
Ogni responsabilità è della donna, ogni sofferenza, ogni insulto.
Puttana, le dite se ha fatto l’amore con voi.
La parola puttano non esiste nel dizionario: usarla è un errore di glottologia.
Sono millenni che ci imponete i vostri vocaboli, i vostri precetti, i vostri abusi.
Sono millenni che usate il nostro corpo senza rimetterci nulla.
Sono millenni che ci imponete il silenzio e ci relegate al compito di mamme.
In qualsiasi donna cercate una mamma.
A qualsiasi donna chiedete di farvi da madre: perfino se è vostra figlia.
Dite che non abbiamo i vostri muscoli e poi sfruttate la nostra fatica anche per farvi lucidare le scarpe.
Dite che non abbiamo il vostro cervello e poi sfruttate la nostra intelligenza anche per farvi amministrare il salario.
Eterni bambini, fino alla vecchiaia, restate bambini da imboccare, pulire, servire, consigliare, consolare, proteggere nelle vostre debolezze e nelle vostre pigrizie.
Io vi disprezzo.
E disprezzo me stessa per non saper fare a meno di voi, per non gridarvi più spesso: siamo stanche d’esservi mamme.
Siamo stanche di questa parola che avete santificata per il vostro interesse, il vostro egoismo.
- Oriana Fallaci -
da: "Lettera a un bambino mai nato"
da: "Lettera a un bambino mai nato"
Buona giornata a tutti. :-)