Appartengo alla generazione dei bambini del Sud che ricevevano i doni il giorno
dei morti. Babbo Natale era ancora lontano così come il Nord.
La notte prima
dell’arrivo dei morti che portavano i doni, quasi non si dormiva. Eccitazione,
ma anche paura. Mia nonna mi raccontava che arrivavano in fila, con un lenzuolo
e con una candela. Sotto le coperte, ad ogni minimo rumore, chiudevo gli occhi,
curiosi e nello stesso tempo impauriti. Vinto dal sonno, crollavo.
Al
risveglio, erano tutti lì, mio padre, mia madre, i miei nonni, i miei zii.
Sì,
perché non stavo in una famiglia, come si dice oggi, mononucleare. Abitavamo
tutti insieme, in una grande casa, nel palazzo dei mutilati (mio nonno era
stato ardito nella prima guerra mondiale ed erano stato ferito e reso
invalido), davanti a una piazza, il vero luogo della mia vita di bambino, che
si affacciava sulla Valle dei Templi e sul mare (ancora oggi, ma qualche
palazzo in più e nel mezzo mi fa usare l’imperfetto). Erano tutti lì ad
aspettare. Sì perché i regali erano nascosti da qualche parte ed io dovevo
scoprirli. E poi la gioia. Ricordo come fosse oggi la volta che trovai la mia
adorata bicicletta, una Frejius 18, mentre il mio amico d’infanzia Pino, che
stava nella porta accanto (un fratello per me), trovò una Bianchi 18. Le
avevano portate i morti. Ci credevo e non ci credevo. Volevo crederci. In fondo
poco importava se era vero oppure no. I doni erano veri e la bicicletta pure!
In tarda mattinata, al cimitero. Pesante odore di candele, di fiori, di urla e
di pianti. Donne vestite di nero gettate sulle tombe.
Orfanelle in fila per
due, con l’aria indifferente, costrette a pregare per dei morti di cui non
sapevano nulla.
Non mi piaceva la spettacolare teatralità della morte
socializzata e ammucchiata. Eppure, i doni dei morti convivevano con i pianti
dei vivi, così, con naturalezza. La morte fu una misteriosa sparizione quando
morì troppo presto la madre di Pino.
La prima persona morta che vidi fu invece
la nonna di un mio vicino di casa. Alla notizia, io e Pino entrammo. Eravamo
curiosi. Non ci toccava il dolore dei parenti. Volevamo solamente vedere cosa
si provava a vedere un morto vero. Sembrava che dormisse.
Questa volta a
scomparire fu il mistero della morte. E poi, forse come tutti i bambini che
stanno per strada, ne vidi altri. Uno per strada, un altro al mare annegato. E
poi morì Ignazio. Giocava con noi, ma era malato e deformato dalla malattia.
Non so esattamente cosa avesse, ma lo ricordo pieno di ferri, muoversi e
camminare con difficoltà. Un giorno ci dissero che era morto. Andammo a casa
sua e vedemmo Totuccio piangere senza consolazione.
Era il suo migliore amico.
E poi, con il passare degli anni, i morti aumentano.
I nonni, i genitori, i
tuoi maestri, alcuni dei tuoi migliori amici. Non ho subito i traumi di morti
violente e ingiuste, così come è capitato ad altri, ma nel tempo, il senso
dell’irreversibile si fa sempre più grande e ingombrante.
E con esso, il
rimpianto di non avere detto o fatto cose che non puoi più dire e fare. Per
nove anni sono stato preside di facoltà e mi è toccato preparare e fare molti
discorsi per il funerale di molti colleghi, amici, maestri. Pronunciarli in
pubblico, davanti alla bara, in un’atmosfera irreale, perché la bara dà il
senso dell’irrealtà. Il morto è là dentro, ma non lo vedi fisicamente. E’ un
assente che è presente con pesantezza.
Un assurdo, tanto più assurdo se il
cadavere che sta dentro è un tuo amico o tuo padre.
Ho paura della morte? Sì! A volte penso che vorrei arrivarci talmente
affaticato da poterla accettare per stanchezza.
Lucio Magri, che mi ha molto
insegnato in politica e nella vita, ha voluto decidere la sua morte. Non voleva
perdere il controllo di sé e del suo destino. Non voleva più vivere. Rispetto
la sua decisione e la comprendo, ma non credo che farei lo stesso. Non solo
perché la vita non appartiene soltanto a me, essendo padre di tre figli, ma
anche perché forse con la morte bisognerebbe fare come i siciliani fanno con lo
scirocco quando lo scirocco spira da terra ed è caldo, molto caldo.
Se ti ci
metti contro, ti prende l’ansia e forse anche il panico, se ti lasci
attraversare da esso, se lo accetti, allora quel caldo che spira e ti avvolge
diventa dolce, ti rallenta e ti fa chiudere gli occhi non per paura, ma perché
sei dentro e nello stesso tempo quasi ti annulli nell’ondata d’aria calda. Allora
forse puoi morire. Lotti contro la morte se accetti di non essere il centro
dell’universo, ma per noi occidentali, educati alla cultura dell’onnipotenza è
difficile. Non sono credente ma non mi hanno mai consolato quegli artifizi
filosofici secondo cui non bisogna avere paura della morte perché dove c’è lei
tu non ci se e viceversa. Non ho tutta questa sicurezza materialistica da
consolarmi pensando che faccio parte di un mondo più grande e che il mio corpo
ritornerà alla natura.
L’idea di non esistere mi fa rabbia e paura, ma non
posso credere in un’altra vita solo perché provo rabbia e paura. Non con la mia
testa. E neanche per amore di un dio che non conosco e da cui non sono
conosciuto. Detesto l’idea che un dio sia onnipotente. Mi piace di più quel che
hanno da dire gli ebrei (e con essi anche alcuni cristiani di oggi): il
rapporto con dio è basato sull’incertezza, sull’improvvisazione,
sull’incompiutezza.
Questo è ciò che dice André Neher rivendicando il silenzio
di dio dopo Auschwitz, dopo cioè che bambini innocenti sono stati divorati
dalla macchina dell’orrore nazista, dopo che il dio degli ebrei restò muto,
mentre il suo popolo veniva stritolato nei Lager. Hans Jonas, dopo Auschwitz,
rivendica un dio non più onnipotente, ma buono, incapace di fermare il male che
non ha voluto, ma capace di soffrire con gli uomini.
Del resto, la rabbia di
Cristo che, in punto di morte, si dispera perché il padre lo ha abbandonato
(Marco, 15, 34; Matteo, 27, 46), è l’espressione di un fallimento e di una
delusione. E’ in questa condizione umana che vedo il divino. Un divino che non
può essere confinato al regno dei credenti, ma richiama la responsabilità tutta
umana nei confronti del male che facciamo e che subiamo proprio perché dio,
essendosi ritirato, non c’è e non vuole esserci. Posso amare solo un dio che
fallisce oppure un dio che sa ritrarsi. Poco mi importa che esista oppure no.
Prof. Alfonso Maurizio Iacono
(Agrigento, 16 settembre 1949) è un filosofo italiano.
Ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Pisa, nell'anno
accademico 2002-2003 è stato Visiting Professor all'Université de Paris 1
(Sorbonne-Panthéon). È attualmente Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università di Pisa.
Con la pietà verso i defunti noi
saziamo la fame ed estinguiamo la sete di quelle anime; pagando i loro debiti,
noi veniamo come a spogliarci dei nostri tesori spirituali per rivestirne esse;
noi le liberiamo da una schiavitù più dura che qualsiasi prigionia; noi diamo
ospitalità a quei pellegrinanti nella casa stessa di Dio, il Cielo. Venendo il
giorno del Giudizio, si alzerà un coro di voci che giustificherà noi stessi.
- S. Francesco di Sales -
- S. Francesco di Sales -
Se mi chiedessero quale certezza vorrei avere in punto di
morte, risponderei che l'unica a rendermi sereno il trapasso sarebbe la
certezza di aver distribuito agli uomini la speranza.
- Balducci don Ernesto -
Filotea per i defunti:
San Tommaso dice che la preghiera per i morti è più accetta di quella per i vivi, perché i Defunti, che hanno grande bisogno, non possono aiutarsi da se stessi, come lo possono i vivi.
San Tommaso dice che la preghiera per i morti è più accetta di quella per i vivi, perché i Defunti, che hanno grande bisogno, non possono aiutarsi da se stessi, come lo possono i vivi.
Cos'è il morire?
Me ne sto sulla riva del mare, una nave apre le vele alla brezza del mattino e parte per l'oceano.
E' uno spettacolo di rara bellezza e io rimango ad osservarla fino a che svanisce all'orizzonte...
e qualcuno accanto a me dice:
"E' andata!".
Andata! Dove?
E' sparita dalla mia vista: questo è tutto.
Nei suoi alberi, nella carena e nei pennoni essa è ancora grande come quando la vedevo, e come allora è in grado di portare a destinazione il suo carico di esseri viventi.
Che le sue misure si riducano fino a sparire del tutto
è qualcosa che riguarda me, non lei, e proprio nel momento in cui qualcuno accanto a me dice, "E' andata!"
ci sono altri che stanno scrutando il suo arrivo,
e altri voci levano un grido di gioia:
"Eccola che arriva!".
E questo è il morire.
(Bishop Brent)
Me ne sto sulla riva del mare, una nave apre le vele alla brezza del mattino e parte per l'oceano.
E' uno spettacolo di rara bellezza e io rimango ad osservarla fino a che svanisce all'orizzonte...
e qualcuno accanto a me dice:
"E' andata!".
Andata! Dove?
E' sparita dalla mia vista: questo è tutto.
Nei suoi alberi, nella carena e nei pennoni essa è ancora grande come quando la vedevo, e come allora è in grado di portare a destinazione il suo carico di esseri viventi.
Che le sue misure si riducano fino a sparire del tutto
è qualcosa che riguarda me, non lei, e proprio nel momento in cui qualcuno accanto a me dice, "E' andata!"
ci sono altri che stanno scrutando il suo arrivo,
e altri voci levano un grido di gioia:
"Eccola che arriva!".
E questo è il morire.
(Bishop Brent)
Indulgenza plenaria per i defunti
Possiamo acquistare a favore delle anime del Purgatorio l'indulgenza plenaria (una sola volta) dal mezzogiorno del 1° novembre fino a tutto il giorno successivo vistando una chiesa e recitando il Credo e il Padre Nostro. Sono inoltre da adempiere queste tre condizioni:
*confessione sacramentale Questa condizione può essere adempiuta parecchi giorni prima o dopo. Con una confessione si possono acquistare più indulgenze plenarie, purché permanga in noi l'esclusione di qualsiasi affetto al peccato, anche veniale.
*comunione eucaristica
*preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice recitando Padre Nostro e Ave Maria
La stessa facoltà alle medesime condizioni è concessa nei giorni dal 1° all' 8 novembre al fedele che devotamente visita il cimitero e anche soltanto mentalmente prega per i fedeli defunti.
Buona giornata a tutti. :-)