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giovedì 14 aprile 2022

Nostro fratello Giuda – Don Primo Mazzolari

Miei cari fratelli, è proprio una scena d’agonia e di cenacolo. Fuori c’è tanto buio e piove. Nella nostra Chiesa, che è diventata il Cenacolo, non piove, non c’è buio, ma c’è una solitudine di cuori di cui forse il Signore porta il peso. C’è un nome, che torna tanto nella preghiera della Messa che sto celebrando in commemorazione del Cenacolo del Signore, un nome che fa’ spavento, il nome di Giuda, il Traditore.

Un gruppo di vostri bambini rappresenta gli Apostoli; sono dodici. Quelli sono tutti innocenti, tutti buoni, non hanno ancora imparato a tradire e Dio voglia che non soltanto loro, ma che tutti i nostri figlioli non imparino a tradire il Signore. Chi tradisce il Signore, tradisce la propria anima, tradisce i fratelli, la propria coscienza, il proprio dovere e diventa un infelice.
Io mi dimentico per un momento del Signore o meglio il Signore è presente nel riflesso del dolore di questo tradimento, che deve aver dato al cuore del Signore una sofferenza sconfinata.
Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. E’ uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: "Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo!"
Amico! Questa parola che vi dice l’infinita tenerezza della carità del Signore, vi fa’ anche capire perché io l’ho chiamato in questo momento fratello. Aveva detto nel Cenacolo non vi chiamerò servi ma amici. Gli Apostoli son diventati gli amici del Signore: buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono sempre gli amici. Noi possiamo tradire l’amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore. Giuda è un amico del Signore anche nel momento in cui, baciandolo, consumava il tradimento del Maestro.
Vi ho domandato: come mai un apostolo del Signore è finito come traditore? Conoscete voi, o miei cari fratelli, il mistero del male? Sapete dirmi come noi siamo diventati cattivi? Ricordatevi che nessuno di noi in un certo momento non ha scoperto dentro di sé il male. L’abbiamo visto crescere il male, non sappiamo neanche perché ci siamo abbandonati al male, perché siamo diventati dei bestemmiatori, dei negatori. Non sappiamo neanche perché abbiamo voltato le spalle a Cristo e alla Chiesa. Ad un certo momento ecco, è venuto fuori il male, di dove è venuto fuori? Chi ce l’ha insegnato? Chi ci ha corrotto? Chi ci ha tolto l’innocenza? Chi ci ha tolto la fede? Chi ci ha tolto la capacità di credere nel bene, di amare il bene, di accettare il dovere, di affrontare la vita come una missione. Vedete, Giuda, fratello nostro! Fratello in questa comune miseria e in questa sorpresa!
Qualcheduno però, deve avere aiutato Giuda a diventare il Traditore. C’è una parola nel Vangelo, che non spiega il mistero del male di Giuda, ma che ce lo mette davanti in un modo impressionante: "Satana lo ha occupato". Ha preso possesso di lui, qualcheduno deve avervelo introdotto. Quanta gente ha il mestiere di Satana: distruggere l’opera di Dio, desolare le coscienze, spargere il dubbio, insinuare l’incredulità, togliere la fiducia in Dio, cancellare il Dio dai cuori di tante creature. Questa è l’opera del male, è l’opera di Satana. Ha agito in Giuda e può agire anche dentro di noi se non stiamo attenti. Per questo il Signore aveva detto ai suoi Apostoli là nell’ orto degli ulivi, quando se li era chiamati vicini: "State svegli e pregate per non entrare in tentazione".

E la tentazione è incominciata col denaro. Le mani che contano il denaro. Che cosa mi date? Che io ve lo metto nelle mani? E gli contarono trenta denari. Ma glieli hanno contati dopo che il Cristo era già stato arrestato e portato davanti al tribunale. Vedete il baratto! L’amico, il maestro, colui che l’aveva scelto, che ne aveva fatto un Apostolo, colui che ci ha fatto un figliolo di Dio; che ci ha dato la dignità, la libertà, la grandezza dei figli di Dio. Ecco! Baratto! Trenta denari! Il piccolo guadagno. Vale poco una coscienza, o miei cari fratelli, trenta denari. E qualche volta anche ci vendiamo per meno di trenta denari. Ecco i nostri guadagni, per cui voi sentite catalogare Giuda come un pessimo affarista.

C’è qualcheduno che crede di aver fatto un affare vendendo Cristo, rinnegando Cristo, mettendosi dalla parte dei nemici. Crede di aver guadagnato il posto, un po’ di lavoro, una certa stima, una certa considerazione, tra certi amici i quali godono di poter portare via il meglio che c’è nell’anima e nella coscienza di qualche loro compagno. Ecco vedete il guadagno? Trenta denari! Che cosa diventano questi trenta denari?
Ad un certo momento voi vedete un uomo, Giuda, siamo nella giornata di domani, quando il Cristo sta per essere condannato a morte. Forse Lui non aveva immaginato che il suo tradimento arrivasse tanto lontano. Quando ha sentito il crucifigge, quando l’ha visto percosso a morte nell’atrio di Pilato, il traditore trova un gesto, un grande gesto. Va’ dov’erano ancora radunati i capi del popolo, quelli che l’avevano comperato, quella da cui si era lasciato comperare. Ha in mano la borsa, prende i trenta denari, glieli butta, prendete, è il prezzo del sangue del Giusto. Una rivelazione di fede, aveva misurato la gravità del suo misfatto. Non contavano più questi denari. Aveva fatto tanti calcoli, su questi denari. Il denaro. Trenta denari. Che cosa importa della coscienza, che cosa importa essere cristiani? Che cosa ci importa di Dio? Dio non lo si vede, Dio non ci da’ da mangiare, Dio non ci fa’ divertire, Dio non da’ la ragione della nostra vita. I trenta denari. E non abbiamo la forza di tenerli nelle mani. E se ne vanno. Perché dove la coscienza non è tranquilla anche il denaro diventa un tormento.


C’è un gesto, un gesto che denota una grandezza umana. Glieli butta là. Credete voi che quella gente capisca qualche cosa? Li raccoglie e dice: "Poiché hanno del sangue, li mettiamo in disparte. Compereremo un po’ di terra e ne faremo un cimitero per i forestieri che muoiono durante la Pasqua e le altre feste grandi del nostro popolo".

Così la scena si cambia, domani sera qui, quando si scoprirà la croce, voi vedrete che ci sono due patiboli, c’è la croce di cristo; c’è un albero, dove il traditore si è impiccato. Povero Giuda.
Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il Cristo; è quello di disperare. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui.

Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda. Provate a confrontare queste due fini. Voi mi direte: "Muore l’uno e muore l’altro". Io però vorrei domandarvi qual è la morte che voi eleggete, sulla croce come il Cristo, nella speranza del Cristo, o impiccati, disperati, senza niente davanti.

Perdonatemi se questa sera che avrebbe dovuto essere di intimità, io vi ho portato delle considerazioni così dolorose, ma io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia.

E adesso, che prima di riprendere la Messa, ripeterò il gesto di Cristo nell’ ultima cena, lavando i nostri bambini che rappresentano gli Apostoli del Signore in mezzo a noi, baciando quei piedini innocenti, lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro. E lasciate che io domandi a Gesù, a Gesù che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo, lasciate che io gli domandi, come grazia pasquale, di chiamarmi amico.

La Pasqua è questa parola detta ad un povero Giuda come me, detta a dei poveri Giuda come voi. Questa è la gioia: che Cristo ci ama, che Cristo ci perdona, che Cristo non vuole che noi ci disperiamo. Anche quando noi ci rivolteremo tutti i momenti contro di Lui, anche quando lo bestemmieremo, anche quando rifiuteremo il Sacerdote all’ultimo momento della nostra vita, ricordatevi che per Lui noi saremo sempre gli amici.


(don Primo Mazzolari)
L'intervento riportato qui sotto è stato registrato a Bozzolo il Giovedì Santo del 1958.


Il dipinto con Il bacio di Giuda fa parte degli affreschi realizzati da Giotto nella CappellaScrovegni a Padova, Italia. È una scena molto animata.C’è una grande confusione dovuta all'arresto di Cristo e della conseguente rissa tra sgherri e apostoli.
Le figure si muovono con assoluta libertà, girano perfino di spalle, cosa inaudita nella pittura prima di Giotto.
Ogni personaggio vive una particolare emozione e ha una sua gestualità e modo di reagire. San Pietro, sulla sinistra si scaglia con violenza e si sbilancia in avanti per aggredire con il coltello l'uomo davanti a sè. L'altro, non ha tempo di difendersi nè di girarsi, sembra preso alla sprovvista e ha un'espressione di sorpresa. L'uomo incappucciato, di spalle, cerca di fermare san Pietro afferrandolo per le vesti, ma non riesce a bloccarlo. 

Gli altri hanno espressioni alterate, gesti concitati. Bellissimo, intenso è il dialogo muto che si svolge tra Gesù e Giuda.

Quasi a simboleggiare il raggiro, Giuda, con un gesto ampio, avvolge Gesù nel suo mantello e lo bacia.I due si guardano negli occhi, Gesù con un'espressione consapevole e ferma, Giuda con un'aria dubbiosa e già colpevole.

 


Buona giornata a  tutti. :-)


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venerdì 7 gennaio 2022

da: "Zaccheo" Cap I° - don Primo Mazzolari

Entrato che fu in Gerico, Gesù andava intorno per le vie Gerico, «paradisus Dei », dice la Scrittura. 
Nella storia, invece, Gerico non è una città innocente.
Nemmeno il significato del suo nome, « la profumata », concorre a darle un'aria di gran castità.
Forse basterebbe ricordare il fatto che Geri­co, per il suo clima caldo, fu sempre una stazio­ne mondana assai frequentata da proconsoli romani, da mercanti fenici, da principi egiziani e da re.
Come dimenticare quella Raab, che ai tempi di Giosuè vi teneva un «esercizio» piuttosto equivoco presso la fontana all' insegna della Cordicella Scarlatta?
Erode vi passava l'inverno con tutta la sua corte in un bel palazzo con piscine e anfiteatro e giardini meravigliosi e una flora da riviera. E lì in quelle delizie, morì.
Cleopatra, innamorata dei suoi famosi balsa­mi e palmizi, se l'era fatta regalare da Antonio, quando questi, con Ottaviano e Lepido, era uno dei tre comproprietari del mondo.
Lo stesso Gesù, se una volta permise di essere tentato, lo permise proprio qui, sul mon­te che strapiomba alle spalle della città.
Oggi, Gerico non è che una breve oasi fasciata di deserto.
Non so dire di più della città di Zaccheo.
E i nomi di Giosuè, di Erode, di Antonio non m'invitano a sostarvi.
Ma a Gerico c'è un albero, un albero di si­comoro, e una casa, la casa di un ricco, o meglio di un ladro, ove un giorno « è stata fatta sal­vezza ».
Non conosco Gerico, conosco però Gesù come lo conosceva un cieco di quella città, « il quale sedeva lungo la via a chiedere l'elemosina, udì la gente passare, e domandò che cosa acca­desse ; gli fu risposto : " È Gesù il nazareno che passa"; ed egli allora gridò: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me ! " ».
La stessa folla che vide il Signore fermarsi e dire al cieco : « Vedi ! la tua fede ti ha salvato », lo segue ora attraverso la città « glorificando Dio ».
La gente di Gerico — una città di piccoli tiranni e di favorite – abituata ai fastosi cortei di chi paga i propri capricci col denaro altrui, ed è costretta ad esaltare con la bocca chi in cuore suo maledice, segue con simpatia il familiare corteo.
Il Maestro, che veste come uno di loro, e non ha palazzi, né ville, né servi, né cortigiani, cammina a piedi, circondato di più poveri della città.
Ove passa il Signore, anche la strada si redime.
Egli sale a Gerusalemme per l'ultima Pasqua, e, lungo la strada, «fa del bene a tutti ».
La strada è ora la sua chiesa, la sua cattedra, il convito della sua carità.
Mi piace vederlo ricevere «con lieto volto » l'omaggio della gioia dei poveri.
Certi sussieghi sdegnosi, certe false umiltà, che rifiutano gli « omaggi improduttivi », non si addicono al Signore, che guarisce la gioia con la gioia, il fasto e la prepotenza con l'osanna dei fanciulli che distendono rami d'olivo sui suoi passi.
Egli è l'altro Giosuè, quello vero, che vince le fortezze del male coi silenzi della sua carità.
Passa l'amore e tutto cede : passa la prima­vera e tutto fiorisce, anche il sicomoro.
Non ho mai visto un sicomoro e non ho voglia di leggerne la descrizione in un libro di botanica : faccio più presto a tramutarlo in gelso o in platano o in salice. Son così belli anche gli alberi della mia piana, così pieni di grazia, in questi primi giorni di primavera, che li possia­mo benissimo usare per l' « incontro ».
« Sono discesa nel campo a vedere le piante verdi della valle, a vedere se le viti mettevano le loro gemme, e ho detto : " Io salirò sulla palma e m'aggrapperò ai suoi rami " » (Cantico dei Cantici).
Ognuno ha un suo ricordo legato a un albero. Potrei raccontarvi la storia del mio cuore con colori e stormir di foglie. Le più dolci confidenze le ho fatte a due pini, che, dalla parte di matti­na, proteggevano il mio primo presbiterio.

Signore, ti ringrazio di aver fatto altare una pianta di sicomoro, consacrando, nella tua pietà, la poesia d'ogni stagione.

- don Primo Mazzolari -
da: "Zaccheo", pagg. 7,8,9,10, Ed. La Locusta, maggio 1967



"Se tu hai un peso nella tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perchè mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati come ha fatto Zaccheo, sali sull'albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso. Gesù è misericordioso e mai si stanca di perdonare! Ricordatelo bene così è Gesù."

- Papa Francesco -


"Zaccheo, scendi subito, perchè oggi devo fermarmi a casa tua."

(Luca 19, 1-10)


Si, l'amore di Cristo ha raggiunto ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, con quel medesimo "prezzo" della Redenzione. 
In conseguenza di ciò, vi siete resi conto come appartenete più a voi stessi. Questa nuova consapevolezza è stata il frutto dello "sguardo amorevole" di Cristo nel segreto del vostro cuore. 
Voi avete risposto a questo sguardo, scegliendo colui che per primo ha scelto ciascuno e ciascuna di voi, chiamandovi con l'immensità del suo amore redentivo. 

- San Giovanni Paolo II - 
Redemptionis Donum, 3


Buona giornata a tutti. :-)

sabato 19 ottobre 2019

Il Regno dei Cieli non è a destra né a sinistra - don Primo Mazzolari

Estratto dall' antologia Il prete di "Adesso" (Roma, Rogate, 2009)

Il sacerdote, pur avendo lo sguardo sulla condizione dell'uomo, che è di comune e irrimediabile povertà finché si rimane sul piano delle cose che "oggi sono e domani non sono" (cfr. Matteo, 6, 30) e che anche quando sono "ingombrano invece di saziare", si inserisce in questo momento esterrefatto del peccato, che separa gli uomini in ricchi e poveri.Il suo ufficio non è quello di far ricchi i poveri o poveri i ricchi con accorgimenti legali o di ordine economico-sociale.
Che vi sia chi lo tenti questo lavoro di equità, è buona e doverosa cosa specialmente per un cristiano che non voglia rinnegare la fraternità. 
Ed è pure buona cosa che il sacerdote inviti e suggerisca tale sforzo, che entra nei normali doveri della società cristiana; ma la sua propria funzione è di portar via il peccato, che crea le disuguaglianze e ogni male. "Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che porta via i peccati del mondo" (cfr. Giovanni, 1, 36).
Se va via il peccato dal nostro cuore, si fa anche l'"eguaglianza" e i vasi comunicano. E siccome il peccato è purtroppo un retaggio comune, patrimonio tanto dei ricchi come dei poveri, dato che il male è dentro di noi, e il "bicchiere va lavato dal di dentro", il sacerdote deve predicare agli uni e agli altri:  ai ricchi che fanno del possedere il "mammona", ai poveri che misconoscono la loro grande dignità per il solo fatto che non ha contropartita immediata.
Da secoli, da quando Cristo ci ha mandato "a predicare la buona novella ai poveri" (cfr. Luca, 4, 18) ci troviamo in questo poco comodo ufficio. 

Né i poveri ci ascoltano, né i ricchi ci ascoltano:  e ciò che ancor più ci umilia, par che abbiano lor buone ragioni tanto questi che quelli.
I ricchi dicono:  è coi poveri contro di noi:  adula i poveri per averli in mano contro di noi. I poveri dicono:  tiene coi ricchi perché sono i più forti e lo foraggiano.

Non è raro il caso che ricchi e poveri si mettan d'accordo, come Erode e Pilato, per farlo tacere (cfr. Luca, 23, 12).
A sua volta il prete, che è un uomo, cioè un pover'uomo, come ognuno se non di più, può essere preso dalla tentazione di togliersi da questa scomoda e assurda condizione, spostandosi verso destra o verso sinistra, e non per motivi volgari, ma dietro pretesti magistralmente ragionati. 
"I ricchi sono irriverenti, mangiapreti, irreligiosi, senza cuore". 
"I poveri, socialisti, bolscevichi, materialisti, atei...".
E in una vicenda che è spirituale, si finisce con alleati e mezzi di tutt'altro genere.
Ma i ricchi, che son più accorti, ci fanno la corte volentieri, e noi ci caschiamo dentro nell'inganno:  con loro contro i poveri. 


D'onde le sequele di accuse e di pregiudizi che ben conosciamo e che fortunatamente non meritiamo, ma che tengono lontano ricchi e poveri dalla strada buona.

Il Regno dei Cieli non è a destra né a sinistra, né coi poveri né coi ricchi, finché ricchi e poveri si differenziano soltanto per quello che hanno, non per quello che sono. 


Tra questi due fronti, che il peccato ha innalzato e che il peccato tiene in piedi, ci sta, crocifisso, il sacerdote:  crocifisso tra due ladroni, uno buono l'altro un po' meno, ma ladroni entrambi.

Questo è il suo grande e tremendo destino, aggravato dal fatto, che mentre lui ha mani e piedi inchiodati, i suoi compagni, che son legione, muovono mani e piedi, e tiran sassi e calci, l'uno contro l'altro; ma tanto i sassi come i calci finiscono contro il crocifisso che sta di mezzo e fa da sbarra. 

Il prete è una sbarra che ha il cuore, e il colpo, venga da destra o da sinistra lui lo riceve nel cuore, e non può ricambiarlo, neanche lamentarsi. 
Oscilla soltanto, ed è per grande carità:  ma gli altri dicono che parteggia perché se viene colpito a destra oscilla verso sinistra e viceversa. 
E così perde anche l'onore. 

- don Primo Mazzolari -
(dal periodico "Adesso", n. 5, 1° marzo 1953)
(©L'Osservatore Romano - 8 aprile 2009)




«In molti Paesi poveri permane e rischia di accentuarsi l'estrema insicurezza di vita, che è conseguenza della carenza di alimentazione: la fame miete ancora moltissime vittime tra i tanti Lazzaro ai quali non è consentito, come aveva auspicato Paolo VI, di sedersi alla mensa del ricco epulone. 
Dare da mangiare agli affamati (cfr Mt 25, 35.37.42) è un imperativo etico per la Chiesa universale, che risponde agli insegnamenti di solidarietà e di condivisione del suo Fondatore, il Signore Gesù».

(Enciclica "Caritas in veritate", dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno, solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, dell'anno 2009, quinto del mio Pontificato)


Buona giornata a tutti. :-)


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domenica 18 agosto 2019

Una sbarra tra i ricchi e i poveri (3) - don Primo Mazzolari

Il sacerdote, pur avendo lo sguardo sulla condizione dell'uomo, che è di comune e irrimediabile povertà finché si rimane sul piano delle cose che "oggi sono e domani non sono" (cfr. Matteo, 6, 30) e che anche quando sono "ingombrano invece di saziare", si inserisce in questo momento esterrefatto del peccato, che separa gli uomini in ricchi e poveri.

Il suo ufficio non è quello di far ricchi i poveri o poveri i ricchi con accorgimenti legali o di ordine economico-sociale.
Che vi sia chi lo tenti questo lavoro di equità, è buona e doverosa cosa specialmente per un cristiano che non voglia rinnegare la fraternità. Ed è pure buona cosa che il sacerdote inviti e suggerisca tale sforzo, che entra nei normali doveri della società cristiana; ma la sua propria funzione è di portar via il peccato, che crea le disuguaglianze e ogni male. "Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che porta via i peccati del mondo" (cfr. Giovanni, 1, 36).
Se va via il peccato dal nostro cuore, si fa anche l'"eguaglianza" e i vasi comunicano. E siccome il peccato è purtroppo un retaggio comune, patrimonio tanto dei ricchi come dei poveri, dato che il male è dentro di noi, e il "bicchiere va lavato dal di dentro", il sacerdote deve predicare agli uni e agli altri:  ai ricchi che fanno del possedere il "mammona", ai poveri che misconoscono la loro grande dignità per il solo fatto che non ha contropartita immediata.
Da secoli, da quando Cristo ci ha mandato "a predicare la buona novella ai poveri" (cfr. Luca, 4, 18) ci troviamo in questo poco comodo ufficio. 

Né i poveri ci ascoltano, né i ricchi ci ascoltano:  e ciò che ancor più ci umilia, par che abbiano lor buone ragioni tanto questi che quelli. 

I ricchi dicono:  è coi poveri contro di noi:  adula i poveri per averli in mano contro di noi. I poveri dicono:  tiene coi ricchi perché sono i più forti e lo foraggiano.
Non è raro il caso che ricchi e poveri si mettan d'accordo, come Erode e Pilato, per farlo tacere (cfr. Luca, 23, 12).
A sua volta il prete, che è un uomo, cioè un pover'uomo, come ognuno se non di più, può essere preso dalla tentazione di togliersi da questa scomoda e assurda condizione, spostandosi verso destra o verso sinistra, e non per motivi volgari, ma dietro pretesti magistralmente ragionati. 
"I ricchi sono irriverenti, mangiapreti, irreligiosi, senza cuore". 
"I poveri, socialisti, bolscevichi, materialisti, atei...".
E in una vicenda che è spirituale, si finisce con alleati e mezzi di tutt'altro genere.
Ma i ricchi, che son più accorti, ci fanno la corte volentieri, e noi ci caschiamo dentro nell'inganno:  con loro contro i poveri. 


D'onde le sequele di accuse e di pregiudizi che ben conosciamo e che fortunatamente non meritiamo, ma che tengono lontano ricchi e poveri dalla strada buona.
Il Regno dei Cieli non è a destra né a sinistra, né coi poveri né coi ricchi, finché ricchi e poveri si differenziano soltanto per quello che hanno, non per quello che sono. 


Tra questi due fronti, che il peccato ha innalzato e che il peccato tiene in piedi, ci sta, crocifisso, il sacerdote:  crocifisso tra due ladroni, uno buono l'altro un po' meno, ma ladroni entrambi.
Questo è il suo grande e tremendo destino, aggravato dal fatto, che mentre lui ha mani e piedi inchiodati, i suoi compagni, che son legione, muovono mani e piedi, e tiran sassi e calci, l'uno contro l'altro; ma tanto i sassi come i calci finiscono contro il crocifisso che sta di mezzo e fa da sbarra. 

Il prete è una sbarra che ha il cuore, e il colpo, venga da destra o da sinistra lui lo riceve nel cuore, e non può ricambiarlo, neanche lamentarsi. 
Oscilla soltanto, ed è per grande carità:  ma gli altri dicono che parteggia perché se viene colpito a destra oscilla verso sinistra e viceversa. 
E così perde anche l'onore. 
(Fine)
- don Primo Mazzolari -

Estratto dall' antologia Il prete di "Adesso" (Roma, Rogate, 2009, pagine 141, euro 12) a cura di Leonardo Sapienza.
(dal periodico "Adesso", n. 5, 1° marzo 1953)
(©L'Osservatore Romano - 8 aprile 2009)



Il dolore è l'unica cosa nostra. 
E' sui segni dei chiodi, che non sono pochi nella nostra vita, su cui si fermerà l'attenzione del Padre celeste, il quale darà pace a questa sofferenza che s'acquieta soltanto nel gran porto della misericordia di Dio!

- don Primo Mazzolari -


Buona giornata a tutti. :-)





sabato 17 agosto 2019

Una sbarra tra i ricchi e i poveri (2) - don Primo Mazzolari

Gesù disse al paralitico:  "Alzati e cammina" (Matteo, 9, 5). 
Alla parola sacramentale che opera il miracolo, non aggiunge:  "E va' in Chiesa" e molto meno: "Vota questa lista".

Neanche un "grazie" si può pretendere, dato che la carità non è una cosa che uno possa fare o non fare, un'azione "superogatoria", "un di più". 

Il secondo comandamento, che è simile al primo e gli fa da compimento o di riprova:  "Amerai il tuo prossimo come te stesso", è un fondamentale dovere, non un consiglio. Ed è su quello che verremo giudicati.
Per questo accade che sono molti quelli che dicono di amare i poveri e pochi coloro che li amano di cuore.
I poveri lo sanno e s'adattano al baratto, e si credono pari, mentre sul piano quantitativo son gli altri che ci guadagnano, poiché la primogenitura è come l'olio della lampada, non si può neanche imprestare (cfr. Matteo, 25, 1 ss.).
Io prete, sprovveduto per investitura di ogni mira temporale, dovrei essere il più adatto per il "ministero dei poveri".
La Parola è predicata ai poveri:  la Grazia è per i poveri. (Chi più povero di un peccatore?). 

Tutto è per il "povero", poiché basta essere uomo per essere "povero", sostanzialmente e irrimediabilmente "povero". 
Prete dei poveri quindi, come si è definito, secondo il Vangelo, san Vincenzo de' Paoli:  che non fa torto a nessuno, e non scantona davanti a nessuno, poiché tutti gli uomini, i ricchi in prima fila, sono dei poveri. 

La povertà è l'unica condizione dell'uomo, che il peccato ha finito per alterare al pari di ogni altra condizione:  e così avviene che ci sono poveri che si credono ricchi e poveri che si rifiutano o si vergognano di esserlo.
Il primo diviene cattivo per paura di perdere ciò che stima di avere:  e l'altro si incupisce per timore di essere stato defraudato.
Il benestante è malato come il fariseo. 


Essendosi appropriato di qualche cosa che è solo del Padre, si crede diverso dagli altri che non hanno niente. E davanti all'altare prega come il fariseo:  "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini..." (cfr. Luca, 18, 11), ho casa, campi, automobile e ville.
Quando i poveri sentono pregare in tal modo e vedono che c'è qualche prete che sarebbe disposto a mettere l'imprimatur su tale preghiera, non solo si sentono offesi e umiliati, ma sono in tentazione di non credere che ci sia un Padre comune, il quale, se è vero - così ragionano nella loro disperazione - che vuol bene a tutti e può tutto, le cose di quaggiù non le dovrebbe lasciare andare così.
E i ricchi, a loro volta, ispessiti nel cuore dai loro averi e sempre timorosi di perderli, se la prendono col Signore, che mette al mondo tante bocche.
Così nessuno è contento di Dio, per questione di una ricchezza "che tignola e ruggine consumano e ladri scassinano e rubano" (Matteo, 7, 20). 

E se non c'è la ruggine o la tignola, se non vengono i ladri, arriva la morte:  "Stolto, questa notte tu morirai" (Luca, 12, 20).
(continua...)

- don Primo Mazzolari -
Estratto dall' antologia Il prete di "Adesso" (Roma, Rogate, 2009, pagine 141,) a cura di Leonardo Sapienza.





Cristo fa paura al mondo soprattutto per i poveri che rappresenta.

- Don Primo Mazzolari -




Buona giornata a tutti:-)


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venerdì 16 agosto 2019

Una sbarra tra i ricchi e i poveri - don Primo Mazzolari

Dicono tutti che è l'ora dei poveri, sotto nomi diversi di "povera gente", "massa lavoratrice", "proletariato". 
Di quest'ora che mi fa pensare all'evangelico "è giunto il momento, ed è questo" (Giovanni, 4, 23), nessuno se ne rallegra al pari di un prete, che, nonostante il "si dice", con la povera gente vive veramente gomito a gomito in campagna e alla periferia, e vede come tira e quanto patisce:  ma non vorrei che un giorno i poveri, arcistufi di tante e sviscerate concorrenti dichiarazioni di amore, dicessero a questi e a quelli:  "vogliateci un po' meno bene e trattateci un po' meglio."


L'allarme è (...) per timore di un possibile baratto - purtroppo già in atto un po' ovunque - tra una "primogenitura e un piatto di lenticchie" (cfr. Genesi, 25, 29ss.).
La colpa però di una simile tentazione, se si vuol essere onesti e non pesare soltanto su chi ha fame, ricade in gran parte su coloro che li hanno lasciati nella necessità. 

Quand'uno non ne può più, come pretendere che ragioni da uomo e misuri se il baratto gli convenga o no? Molto più che da questa parte, la nostra, ove c'è la "promessa" della primogenitura, ci sono parecchi cui non importa affatto la primogenitura, si fan belli di essa al solo scopo di tener indietro coloro che offrono ai poveri il piatto di lenticchie. 

Il piatto di lenticchie è prelevato su quello che credono di avere, mentre la primogenitura può divenire un comodo pretesto di resistenza al comunismo.
E molti preti abboccano e ringraziano tali infidi e poco onorevoli alleati, dimenticando che non sono i comunisti che ci perdono, ma la povera gente, la quale rimane qual era, senza "primogenitura" e senza "lenticchie", mentre i ricchi si pappano queste e credono di avere diritto pur su quella, quasi non fosse stato detto:  "È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli" (Matteo, 19, 24).
I poveri vanno amati "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità" (1 Giovanni, 3, 18) come poveri, cioè come sono, senza far calcoli sulla loro povertà, senza pretesa o diritto di ipoteca, neanche quella di farli cittadini del Regno dei Cieli, molto meno dei proseliti. 
Cittadini del Regno dei Cieli i poveri sono già per diritto di chiamata evangelica. 
La carità di ogni specie non c'è bisogno che renda:  è feconda e perfetta in sé quand'è vera carità.
(continua)


- don Primo Mazzolari -
estratto dall' antologia Il prete di "Adesso" (Roma, Rogate, 2009, pagine 141,) a cura di Leonardo Sapienza


Colpevole di avere spirito critico
Colpevole di solidarietà
Colpevole di volersi istruire
Colpevole d'umanità
Colpevole di pensare
Colpevole di credere nella democrazia
Colpevole di volere altro


E il guaio caratteristico è questo, che meno quattrini si hanno e meno ci si sente disposti a spenderli in cibo sano. 
Un milionario può apprezzare a colazione, la mattina, succo d'arancia e biscotti leggeri; un disoccupato no [...] 
Quando si è disoccupati, quando cioè non si mangia abbastanza, e si è tormentati, annoiati e depresso, non si ha voglia di mangiare tediosi cibi sani. Si ha voglia di qualcosa un po' "stuzzicante". [...] 
I risultati di tutto ciò sono visibili in una degenerazione fisica [...]

- George Orwell -





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lunedì 3 giugno 2019

I poveri fanno paura – don Primo Mazzolari

Incredibile che il più buono degli uomini, il più mansueto, colui che da secoli porta la croce di tutti, faccia paura!

Eppure, molti hanno paura del povero, come molti Farisei avevano paura di Cristo, non soltanto quando predicava, ma pur quando, condannato a morte, saliva il Calvario. 

Anche morto ave­vano così paura di Lui che misero le guardie al Sepolcro.

Non fa paura il povero, non fa paura la voce di giustizia che Dio fa sua, ma il numero dei poveri.
Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono con­tare: i poveri si abbracciano, non si contano. 

Eppure v’è chi tiene la statistica dei poveri e ne ha paura : paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe 

di­ventare un urlo, paura del loro lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.

E sarebbe così facile andare incontro al povero! Ci vuoi così poco a dargli speranza e fiducia! Invece, la paura non ha mai suggerito la strada giusta.
Ieri, fu la paura che pagò manganellatori: e non vorrei che oggi la paura consigliasse di nuovo a qualcuno di foraggiare quel qualsiasi movimento di reazione invece di essere giusti verso co­loro che hanno diritto alla giustizia di tutti.
Ma c’è da perdere, oggi a far lavorare.
Chi vi ha detto che si debba sempre guadagnare quando diamo il lavoro? Prima del guadagno, c’è l’uomo: prima del diritto al guadagno, il diritto di vivere. Sta scritto infatti: «tu non ucci­derai ».
Il guadagno può farci omicida: e Giuda ha venduto il Sangue del Giusto, per trenta denari.

***

La paura fa anche dire: — Non sono mai contenti i poveri. Diamo cinque ed è come non glieli avessimo dati: diamo dieci e il volto non cambia. La ragione c’è e non vi fa onore…
Date cinque e con la mano tenete il cuore chiuso: date dieci e il cuore lo tenete ancora più chiuso.
Perché teniamo il cuore chiuso con i poveri? crediamo forse ch’essi abbiano soltanto bisogno d’aumenti?
La povertà non si paga: la povertà si ama.
Per questo motivo non raggiungeremo mai l’incontro lungo la strada delle concessioni. Fino a quando ci sarà una classe che può concedere e una classe che può reclamare un diritto, non avremo il ponte.

***

Qualcuno trova più comodo e redditizio distrarre e stordire il povero con i divertimenti, onde fargli dimenticare che ha qualche cosa da chiedere una richiesta di giustizia da presentare. Per to­gliergli dignità, per togliere, al povero la sua eminente dignità, lo si stordisce.

I patrizi della decadenza avevano creato il tribunum volupta­tum per solazzare i poveri. Ho l’impressione che molti, borghesi e no, si assumerebbero volentieri, direttamente o indirettamente, il poco nobile ufficio.

I poveri che si divertono non fanno le barricate: i popoli che si abbruttiscono si possono comperare.
- Don Primo Mazzolari -
Fonte: Rivista “Adesso n. 7 – 15 aprile 1949”



I più poveri fra i poveri cercano nelle montagne di spazzatura dei ricchi

«La verità è un anelito dell'essere umano, e cercarla presuppone sempre un esercizio di autentica libertà. 
Molti, tuttavia, preferiscono le scorciatoie e cercano di evitare questo compito. 
Alcuni, come Ponzio Pilato, ironizzano sulla possibilità di poter conoscere la verità, proclamando l'incapacità dell'uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti. 
Questo atteggiamento, come nel caso dello scetticismo e del relativismo, produce un cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacillanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi. 
Persone che si lavano le mani come il governatore romano e lasciano correre il fiume della storia senza compromettersi». 

- Papa Benedetto XVI -


Buona giornata a tutti. :-)