Secondogenito di sei figli, Thomas More (italianizzato in Moro) nacque a Londra nel 1477 (o 1478). Fin da fanciullo, ricevette un'ottima educazione e manifestò immediatamente una straordinaria inclinazione per gli studi. Quando il celebre umanista Erasmo da Rotterdam si recò in Inghilterra, i due si incontrarono: ne nacque un'amicizia intensa e duratura, frutto di una profonda sintonia umana e culturale. Intorno ai ventiquattro anni More volle valutare la propria vocazione per la vita monastica, alla quale preferì lo stato matrimoniale, e qualche anno più tardi sposò la diciassettenne Jane Colt. Intanto, cominciò per lui anche una brillante carriera politica, che inizialmente lo vide membro della Camera dei Comuni. Tra il 1505 e il 1509 ebbe quattro figli.Nel frattempo Thomas continua a coltivare i suoi elevatissimi interessi culturali, traducendo opere di autori classici, e continua pure a manifestare grandi capacità politico-amministrative, tanto che gli vengono affidati compiti e cariche sempre più importanti. Nel 1511, persa la moglie, si risposa con la quarantenne Alice Middleton. Nel 1516 scrive Utopia, il suo celebre capolavoro, e cinque anni dopo è nominato cancelliere dello Scacchiere e vice-tesoriere d'Inghilterra; nel 1523 è eletto speaker della camera dei Comuni.
Nel 1532 si verifica una brusca svolta nella sua vita pubblica: in pieno disaccordo con il re Enrico VIII, che vuole divorziare da Caterina d'Aragona per sposare Anna Bolena, Thomas si dimette dalla carica di cancelliere.
È nel 1534 che si consuma il suo radicale distacco dal sovrano: obbedendo alla propria coscienza, More si rifiuta di accettare l'Atto con cui Enrico VIII si dichiara capo della Chiesa inglese; da fedele cattolico, egli non può avallare quello che nei fatti è un vero e proprio scisma.
Viene incarcerato; non perde la sua serenità, anche grazie alle amorevoli cure di cui lo circonda la figlia Margaret, e trascorre il tempo della prigionia componendo scritti ascetici. Non cede neppure di fronte ai giudici che lo interrogano cercando di piegare in ogni modo la sua volontà.
È condannato e il 6 luglio del 1535 viene decapitato.
Papa Leone XIII lo beatificò nel 1886 e Pio XI lo canonizzò nel 1935.
«Moro, da buon cristiano, aveva la salda convinzione che le radici del male affondano troppo nella natura umana perché si possa annullarle con una semplice trasformazione dell'organizzazione economica della società. [...] Le sue analisi giungono alla conclusione che le radici dei mali dell'Europa del sedicesimo secolo si nutrono di un terreno fertile, qual è una società avida di guadagno, ma soprattutto ricevono linfa e alimento dall'inesauribile torrente del peccato». (J. H. Hexter)
Moro scrisse alcune significative opere contro Lutero e la Riforma protestante, nelle quali difese con forza i dogmi e la tradizione della Chiesa cattolica. Da questi scritti emerge la figura di un grande polemista e apologeta cattolico, che riafferma la retta concezione dei rapporti tra libertà e grazia, che ribadisce la validità dei sette Sacramenti, che sostiene il valore delle opere in unione con la fede, che sottolinea con forza e convinzione la grande importanza del culto della Beata Vergine Maria e dei santi. Moro è un fedelissimo figlio della Chiesa e soltanto a essa riconosce l'autorità di interpretare la Sacra Scrittura. E proprio per rimanere fedele alla «sua» Chiesa, Moro fu pronto a morire: piuttosto che piegarsi di fronte allo scisma e all'arroganza del re, che voleva schiacciare la Chiesa stessa, egli accettò serenamente la morte, dopo aver eroicamente considerato propizia al raccoglimento la detenzione inflittagli dal re. Non casualmente, prigioniero nella Torre di Londra, Moro lavora a un toccante e intenso Dialogo del conforto contro le tribolazioni e a un'accorata Esposizione della Passione del Signore, e alla devota figlia Margherita che lo va a visitare confida: «Credo, Meg, che coloro che mi hanno messo in questo posto pensino di avermi causato un grosso dispiacere, ma in fede mia ti assicuro, mia buona e cara figlia, che se non fosse stato per mia moglie e per voi miei cari ragazzi (di cui sento la forte responsabilità), non avrei esitato a rinchiudermi già da molto tempo in una camera altrettanto stretta, anzi forse ancora più stretta».Ricorda «Della morte non mi importa [...] ciò che mi importa più di tutto è di non commettere ingiustizia o empietà. [...] badate bene, o cittadini, che non è questa la cosa più difficile, ossia sfuggire alla morte, ma che è molto più difficile sfuggire alla malvagità. Infatti la malvagità corre molto più veloce della morte. E ora che sono lento e vecchio, sono stato raggiunto da colei che è più lenta, mentre i miei accusatori, che sono abili e pronti, sono stati raggiunti da colei che è più veloce, dalla malvagità».(Platone, Apologia di Socrate, 32 c-d; 39 a-b)
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