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lunedì 25 marzo 2019

in ricordo di Madre Anna Maria Cànopi -

Madre Anna Maria Cànopi, si è spenta il 21 marzo 2019, all’età di 87 anni, nel monastero di clausura Mater Ecclesiae nell’isola di San Giulio, sul lago d’Orta (Novara, Italia).
Una grande donna!!! Una scrittrice feconda e profondamente erudita. 
E' tornata alla casa del Padre nel giorno in cui la Chiesa ricorda san Benedetto da Norcia. Incredibile!
Madre Anna Maria Cànopi, è stata la fondatrice e la guida della comunità monastica benedettina «Mater Ecclesiae» dell’Isola di San Giulio.
La comunità si stabilì sull’Isola l’11 ottobre 1973, chiamata da mons. Aldo Del Monte, allora vescovo di Novara. Al piccolo gruppo iniziale, formato da sei monache provenienti dall’Abbazia di Viboldone (Milano), si aggiunse subito una postulante e ben presto, per grazia di Dio, sempre nuove sorelle. 
La comunità è oggi formata da quasi un centinaio di membri distribuiti anche nei Priorati dipendenti di «Regina Pacis» – fondato il 12 ottobre 2002, a Saint-Oyen in Valle d’Aosta – e di Fossano (Cuneo), mentre altre sorelle sono in aiuto al Monastero sant’Antonio in Polesine (Ferrara).
Il significato della presenza benedettina sull’Isola si manifestò in modo inequivocabile come richiamo ad una vita “diversa” dove il silenzio è preghiera e la preghiera sostanza di vita atta a glorificare Dio.
San Benedetto concepisce infatti la comunità monastica come una famiglia i cui membri sono legati, mediante i voti religiosi, da un vincolo stabile e indistruttibile. 
La sua Regola non è altro che una proposta per vivere radicalmente il Vangelo fino alla carità perfetta che consiste nel dare la vita con Cristo, obbediente al Padre, per amore dei fratelli.
La giornata delle monache benedettine si svolge in armoniosa alternanza di preghiera e lavoro. Madre Maria Grazia Girolimetto succede a 
Madre Anna Maria Cànopi. Che il Signore la benedica e la protegga.



“I monaci non si ritirano dal mondo perché lo disprezzano, ma se ne distanziano per poterlo vedere e amare dalla parte di Dio. La vita monastica contemplativa non è assenza di attività e estraneità alla vita sociale, bensì un modo di offrire a Dio il culto in spirito e verità e di stare accanto a tutti gli uomini come ‘sostegno’ di carità e ‘segno’ del giusto orientamento della strada che conduce tutti insieme alla salvezza.

- madre Anna Maria Cànopi - 
Convegno ecclesiale nazionale di Verona



Sempre più numerose sono oggi le persone che, stordite dal rumore e dal frastuono del mondo in cui sono immerse, sentono urgere dentro di sé la necessità del silenzio; non di rado, quindi, sono disposte a rinunziare ai consueti momenti distensivi offerti dalla società consumistica, per trascorrere qualche giorno in luoghi appartati e silenziosi quali sono i monasteri. Spesso questa esigenza di silenzio è come una ferita attraverso la quale molti iniziano un cammino di riscoperta della fede, un cammino di vera e profonda conversione.
Il silenzio è una dimensione indispensabile alla vita spirituale.
Non si tratta di un bene riservato a pochi privilegiati, ma di un bene indispensabile a tutti; è, si può dire, il pane per la vita dell’anima.
Molte espressioni della Sacra Scrittura ci fanno anche intuire che il silenzio è il cielo dell’anima. 
«Tibi silentium laus» (Sal 65,1): «Per te il silenzio è lode, o Dio», canta il Salmista.
Se il silenzio così inteso è, come la preghiera contemplativa, dono di Dio, per accoglierlo occorre però una “iniziazione”, una preparazione che coincide con un graduale procedere nella purificazione del cuore, nella spogliazione del superfluo che ingombra il nostro “io”.
Soltanto quando ci si è liberati dalla brama di autoaffermarsi e di porre se stessi al centro dell’interesse, è possibile mettersi in silenzio.
Al vero silenzio si perviene, infatti, unicamente attraverso la via dell’umiltà e della dimenticanza di sé.
Spesso si identifica il “silenzio” con il “divieto” di parlare e viene perciò subito come imposizione penosa e mortificante. Ma non è così. Si può fare un’autentica esperienza di che cos’è il silenzio lasciandosi “afferrare” dal silenzio stesso che non è un vuoto, ma uno spazio dato alla misteriosa presenza di Dio.
L’esperienza del silenzio non mette davanti a qualcosa di straordinario e di gratificante, ma fa scoprire la dimensione spirituale, interiore della vita, la bellezza della semplicità, l’importanza dell’ascolto, il valore della “gratuità”. Questo itinerario spirituale anche per chi vive in monastero è tutt’altro che facile! Ci si trova sempre agli inizi, sempre alla scuola elementare dell’unico Maestro che può insegnare il vero silenzio offrendo se stesso come esempio: Gesù Cristo. Egli,  che era solito trascorrere le notti in orante silenzio, a cuore a cuore con il Padre, nell’ora del processo, nell’ora della sua estrema missione, davanti alle calunnie e all’ingiusta condanna seppe tacere – Jesus autem tacebat (cf. Gv 19,9-10) – perdonare, offrirsi con amore. Accanto a Lui vediamo Maria, sua Madre, Colei che può essere chiamata “Vergine del silenzio e dell’ascolto”, l’umile serva e silente portatrice del Verbo della Vita. In lei regna il silenzio perché parla soltanto la Parola.

- madre Anna Maria Cànopi - 
Da “Il Ticino”, settimanale della Diocesi di Pavia del 12 settembre 2009


Gli innumerevoli conflitti che insanguinano il mondo intero e causano continue migrazioni di popoli, l’uso incontrollato delle nuove tecnologie di comunicazione, ora anche la grave crisi economica mondiale sono altrettanti fattori destabilizzanti, disorientanti. Viviamo in un momento di profondo travaglio sociale; occorre vegliare affinché l’attuale situazione di confusione non degeneri fino all’autodistruzione, ma i vari fattori presenti siano fermenti di una nuova nascita…
…Se questo vale per ogni uomo «di buona volontà», il mostrare Dio in un mondo smarrito e confuso, è certamente la missione specifica del monachesimo contemporaneo. Con il loro servizio ospitale, infatti, le comunità monastiche vogliono proprio essere un aiuto a tutti i fratelli che sentono il bisogno di raccoglimento e di silenzio per “ritrovare se stessi” e poter così anche essere al servizio degli altri secondo la propria specifica missione, senza rinnegare la propria identità, senza confondere le culture e i valori, ma valorizzando ogni germe di bene e di verità.

- madre Anna Maria Cànopi - 
Da “Il Ticino”, settimanale della Diocesi di Pavia del 12 settembre 2009  


Mentre scende la sera
e un velo di mestizia avvolge i cuori,
Gesù, misterioso Pellegrino,
accompàgnati a tutti i viandanti che,
sulle strade del mondo,
vanno senza meta e senza Parola
dissipa le tristezze,
sciogli i dubbi angosciosi
che ci opprimono la mente;
entra nelle case, e resta a cena con noi…
Possano i nostri occhi riconoscerti
nel gesto dello spezzare il pane,
e il nostro cuore gioisca
al fulgore della tua luce di Risorto.
Amen.

- Madre Anna Maria Cànopi - 
da “L’Adorazione Eucaristica,schemi per la preghiera personale comunitaria”  
di Anna Maria Cànopi, Ed. Paoline 2003


Incessante il pellegrinaggio di fedeli all’Isola di San Giulio per rendere omaggio a madre Anna Maria Cànopi, la abbadessa emerita e fondatrice del monastero benedettino di clausura, morta giovedì 21 marzo 2019. La camera ardente in basilica è aperta dalle 9 a alle 12 e dalle 14 alle 17. Una marea di persone che vuole partecipare al cordoglio della comunità monastica e si raccoglie in preghiera accanto alla bara davanti all’altare. 
Il funerale oggi, lunedì 25 marzo alle 11 sull’isola, presieduto dal vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla.


Chiediamo la protezione di madre Anna Maria Cànopi per tutti gli ammalati, per tutte le persone sofferenti nel corpo e nell'anima. Amen. 




mercoledì 20 giugno 2018

da: Lettere dal Deserto - Fratel Carlo Carretto

Sono diventato piccolo fratello di Gesù perché Dio l'ha voluto.
Mai ho dubitato della chiamata; anche perché, se non fosse stata la volontà di Dio a mettermi su questa strada, non avrei potuto resistere a lungo. 
Il dormire all'addiaccio, il vivere in climi estenuanti, il frequentare tribù veramente povere e il sopportarne il fetore, è ancora piccola cosa in confronto allo svuotamento della personalità, al taglio col passato, all'accettazione radicale di civiltà e patrie diverse dalle nostre. 

E mi spiego. 
Come sapete, il piccolo fratello non può avere opere sue. 
Non può fare scuola, organizzare ospedali, creare dispensari, distribuire aiuti. Deve venire qui, scegliere un villaggio, una bidonville, una tribù nomade, installarsi in essa e vivere come vivono tutti gli altri, specie i più poveri. È il capovolgimento totale del sistema europeo in vigore fino a ieri. Qui l'europeo che arrivava: militare, missionario, tecnico o funzionario, si costruiva una casa all'europea e viveva da europeo tra indigeni. Il suo standard di vita non era quello del luogo, ma quello del paese di origine. Il compito era quello di evangelizzare, elevare, aiutare, organizzare, sorreggere; ma sempre all'europea, con cultura, metodi, finalità europee. La fede di questi uomini aveva la sua testimonianza nel dono. E non è piccola cosa!  
Miracoli di amore e di eroismo furono scritti in terre d'Africa e d'Asia: chiese, ospedali, dispensari, scuole, opere sociali furono create per recare sollievo, allontanare la morte, accelerare il processo di evoluzione dei popoli sottosviluppati.

Fu la grande ora missionaria della Chiesa, fu la provvidenziale attività di colonizzazione, giustificata pienamente dai tempi e dalle realtà di allora. 
In ogni caso fu l'inserimento della stirpe dei bianchi in quella degli uomini di colore, fu l'andata dei ricchi verso i poveri, dei cristiani verso i pagani. 
Non sempre tutto camminò liscio, non sempre missionario fu sinonimo di uomo di Dio e funzionario sinonimo di generosità e gratuità.
Troppo lunga sarebbe la storia; e, continuando, finiremmo per fare il processo al passato.
Ciò che c'interessa è il constatare che in pochi anni tutto è cambiato.
Le chiese africane prendono coscienza della loro autenticità e non vogliono più essere copie delle chiese francesi o italiane o olandesi; i popoli di colore non solo non sopportano più il colonialismo; ma, per reazione, chiudono il loro cuore ai bianchi, non han più la confidenza di una volta, e sovente disprezzano od odiano tutto ciò che viene dall'antica razza dominatrice.
Com'è naturale, in questi casi, si passa il limite, si diventa ingiusti; e del passato si finisce di vedere solo il male.
È davvero l'ora in cui è necessario rivedere radicalmente le posizioni, tutte le posizioni.
In questa luce e più ancora dinanzi alle future attività della Chiesa in terra di missione va vista come profetica l'opera di Charles de Foucauld.
Questo uomo di Dio, ignaro di tutti i problemi, spinto solo dalla forza e dalla luce dello Spirito, va in Africa in pieno tempo di colonizzazione. Nell'aria non c'è ancora il minimo sentore di ciò che avverrà su così vasta scala. Preoccupato solo di portare il Vangelo ai Berberi o ai Tuareg, capisce ciò che gli altri non capiscono e lavora come se il processo di decolonizzazione fosse già avvenuto.
Non doni, non ospedali, non dispensari, non scuole, non denaro.
Si presenta solo, indifeso, povero.
Ha capito che la potenza dell'europeo, anche se espressa in ospedali, scuole, non dice quasi più nulla su un piano religioso al povero africano; non è più una testimonianza come una volta.
Ha capito che l'indigeno, anche se molto sottosviluppato, non è più disposto ad accettare dall'alto, come un tempo, un messaggio che gli sembra troppo legato ad un dato popolo e a una data civiltà.
Occorre battere un'altra strada; ed è quella di sempre, perché è scritta nel Vangelo, ma con una purezza e forza nuova: è la strada della piccolezza, del sacrificio, della povertà, del nascondimento, della testimonianza.
È un fatto indiscutibile, e non solo per i paesi poveri: si ha paura della potenza. Una Chiesa potente, ricca, dominatrice, oggi spaventa.
L'occhio dell'uomo, terrorizzato dalle possibilità della tecnica, si posa con gioia su ciò che è piccolo, indifeso, debole. 
Si ha perfino paura di un oratore che gridi troppo forte.
Sta proprio qui il segreto della popolarità acquistata da Charles de Foucauld. Si è presentato tra assassini come erano i Tuareg, indifeso; è entrato nel mondo arabo vestito da arabo, ha vissuto tra coloro che erano i servi degli europei come se fossero suoi padroni, ha costruito i suoi eremitaggi non copiando le architetture romane o gotiche, ma imitando la semplicità e la povertà delle moschee sahariane.
Questo presentarsi povero, questo vestire "come loro", questo accettare la loro lingua, i loro costumi, di colpo ha fatto cadere il muro e ha permesso il dialogo, l'autentico dialogo: quello tra uguali.
Mai dimenticherò una scena che nella sua semplicità esprime plasticamente il pieno di amore di questo nuovo "andare verso coloro che non conoscono ancora il Cristo".
Percorrevo a cammello la pista tra Geriville e El Abiod, ed ero diretto ad una zona desertica, per qualche giornata di solitudine.
Ad un certo punto della pista m'imbatto in un cantiere di lavoro. 
Una cinquantina di indigeni, guidati da un sottufficiale del genio, faticava a sistemare la strada rovinata dalle piogge invernali. Sotto il sole sahariano, non macchine, non tecnica: solo la fatica dell'uomo nel caldo e nella polvere a maneggiare per tutta la giornata la pala e il piccone. Rimonto la fila del manovali disseminati sulla pista, rispondo al loro saluto, offro la mia  "gherba" di 30 litri di acqua alla loro sete. Ad un certo punto, tra le bocche che si avvicinano al collo della "gherba" per bere, vedo schiudersi un sorriso che non dimenticherò più.
Povero, stracciato, sudato, sporco: è frère Paul, un piccolo fratello che ha scelto quel cantiere per vivere il suo calvario e mescolarsi a quella pasta come lievito evangelico.
Nessuno avrebbe scoperto l'europeo sotto quegli abiti e quella barba e quel turbante ingiallito dalla polvere e dal sole.
Io conoscevo bene frère Paul, perché avevo fatto il noviziato assieme.
Ingegnere parigino, lavorava in una di quelle commissioni destinate a preparare la bomba atomica di Reganne, quando sentì la chiamata del Signore.
Lasciò ogni cosa e fu piccolo fratello.
Ora era lì; e nessuno sapeva che era un ingegnere: era un povero come gli altri.
Ricordo sua madre quando venne in occasione dei voti al noviziato.
"Mi aiuti, fratel Carlo, a capire la vocazione di mio figlio. Io l'ho fatto ingegnere, voi l'avete fatto manovale. Ma perché? O almeno vi serviste di mio figlio per quel che vale! No: dev'essere un manovale. Ma dite, alla Chiesa non ne verrebbe più decoro, più efficacia a farlo agire come intellettuale?".
"Signora, rispondevo io, ci sono cose che non si possono capire con l'intelligenza e il senso comune. Solo la fede ci può illuminare.

Perché Gesù volle essere Lui povero? Perché volle nascondere la sua divinità e la sua potenza e vivere tra noi come ultimo?
Perché, signora, la sconfitta della croce, lo scandalo del Calvario, l'ignominia della morte per Lui che era la Vita? No, signora; la Chiesa non ha bisogno di un ingegnere di più, ma ha bisogno di un chicco di grano di più da far morire nei suoi solchi. E più questo chicco è turgido di vita e sapido di cielo e di sole, e più sarà gradito alla terra che lo deve accogliere per la futura messe".

Quante cose non si possono capire su questa terra! Non è tutto un mistero ciò che ci circonda?
Che Paul sacrifichi se stesso, la sua cultura, la sua possibilità per amore di Dio e per amore dei suoi fratelli più abbandonati io lo capisco; ma capisco pure le reazioni di sua madre, e non solo di sua madre.
Quanti direbbero: peccato! Una sì bella intelligenza, finire in un solco della pista sahariana. Avrebbe potuto costruire una rotativa per diffondere la buona stampa... E avrebbero anche ragione. È difficile cogliere il punto giusto del mistero dell'uomo che è una parte del grande mistero di Dio.
C'è chi sogna una Chiesa potente, ricca di mezzi e di possibilità, e c'è chi la vuole povera e debole; c'è chi dà vita e cultura e studio per arricchire di pensiero la filosofia cristiana, e c'è chi rinuncia anche a studiare per amore di Dio e del prossimo.
Mistero di fede! A Paul non interessava "avere influenza" sugli uomini; gli bastava "pagare", "scomparire". Altri cercheranno altre vie e realizzeranno la loro santità in modo differente. Posso dubitare della fede di mia madre che avrebbe desiderato tutta la ricchezza in mano alla Chiesa per il decoro dell'altare, le opere missionarie e la dignità del culto?
Ed io, suo figlio, che ero esattamente all'opposto e sognavo un culto più spoglio, una povertà più sentita, e soprattutto un apostolato fatto con "mezzi poveri", non avevo anch'io le mie ragioni?
È tanto difficile giudicare! Tanto difficile che Gesù ci pregò di non insistere sull'argomento.
C'è però una verità, alla quale attaccarci sempre, disperatamente sempre: l'amore!
È l'amore che giustifica le nostre azioni, a volte così contrastanti. È l'amore la perfezione della legge.
Se è per amore che frère Paul ha scelto di morire su una pista del deserto, da questo è giustificato.
Se è per amore che Don Bosco e il Cottolengo costruirono scuole e ospedali, da questo sono giustificati.
Se è per amore che S. Tommaso passò la sua vita sui libri, da questo è giustificato.
Rimane solo il problema di stabilire la gerarchia di questi amori; e qui è Gesù stesso che ci insegna in modo inequivocabile: "Chi di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo e come colui che serve" (Lc 22, 26).
E ancora: "Nessuno ama di più l'amico di colui che dà la vita per esso" (Gv 15, 3) 

- Fratel Carlo Carretto - 
da: "Lettere dal Deserto", editore La Scuola, 1967


Buona giornata a tutti. :-)









mercoledì 18 ottobre 2017

Riflessioni sul silenzio - Anthony Bloom

Il silenzio di Dio 

L’incontro fra Dio e noi nell’orazione continua parte sempre dal silenzio. Dobbiamo imparare a distinguere due generi di silenzio: il silenzio di Dio e il nostro silenzio interiore. 
Anzitutto il silenzio di Dio, spesso più difficile da sopportare del suo rifiuto, quel silenzio assente di cui già abbiamo detto. 
In secondo luogo, il silenzio dell’uomo, più fecondo del nostro parlare, in una comunione più stretta con Dio di quella mediata da qualsiasi parola.
Il silenzio di Dio di fronte alla nostra preghiera può durare solo per un attimo, o può sembrare che vada avanti all’infinito. 
Cristo restò in silenzio di fronte alle suppliche della cananea, e questo lo condusse a raccogliere tutta la propria fede, la speranza e l’amore umano per offrirli a Dio, per far sì che egli potesse estendere i confini del suo regno al di là del popolo eletto. 
Il silenzio di Cristo suscitò quindi la risposta della donna, la fece crescere di qualità.
E Dio può fare lo stesso nei nostri riguardi, con silenzi di maggiore o minore durata, che chiamano a raccolta le nostre forze e la nostra fedeltà e ci conducono a un rapporto più profondo con lui rispetto a quello che si sarebbe potuto realizzare se la via fosse stata facile. 
Ma a volte il silenzio per noi assume il suono tetro dell’irrevocabile.

Anthony Bloom - 
(1914 – 2003) Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore




Il silenzio della sequela
 
La sequela inizia con il silenzio e l’ascolto. 
Quando ascoltiamo qualcuno, pensiamo di essere in silenzio perché non parliamo; ma le nostre menti continuano a lavorare, le nostre emozioni reagiscono, la nostra volontà si schiera pro o contro quel che stiamo ascoltando; possiamo anche spingerei oltre, in pensieri e sentimenti che ronzano nella testa e che nulla hanno a che vedere con quello che viene detto. Questo non è il silenzio di cui la sequela ha bisogno.
Il vero silenzio al quale dobbiamo tendere come punto di partenza è un riposo totale della mente, del cuore e della volontà, il silenzio totale di tutto ciò che è in noi, compreso il nostro corpo, di modo che possiamo essere pienamente consapevoli delle parole che stiamo udendo, completamente all’erta e tuttavia nella quiete più totale.
Il silenzio di cui sto parlando è il silenzio della sentinella che monta la guardia in un momento critico: vigile, immobile, con lo sguardo fisso e tuttavia attenta a ogni suono, a ogni movimento. 
Questo silenzio di attesa è il primo requisito della sequela, e non lo si ottiene senza un certo sforzo. 
Richiede da parte nostra che alleniamo l’attenzione, il corpo, la mente e le emozioni, perché ogni cosa sia mantenuta completamente e perfettamente in ordine.

Anthony Bloom - 
(1914 – 2003) Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore.



“Perdonare ai propri nemici è la prima, la più elementare caratteristica del cristiano; se non l’abbiamo non siamo affatto cristiani”

- Anthony Bloom -



Bloom è stato vescovo della diocesi di Sourozh, nella chiesa ortodossa russa. È un autore spirituale molto conosciuto per i suoi scritti e predicazioni sulla preghiera e la vita cristiana, caratterizzati dalla semplicità coniugata alla profondità spirituale.



Buona giornata a tutti. :-)





martedì 1 agosto 2017

Riflessioni sulla preghiera - Anthony Bloom

Preghiera piena di significato 

A meno che la preghiera che intendi offrire a Dio non sia importante e piena di significato anzitutto per te, non sarai in grado di presentarla al Signore. 
Se non presti attenzione alle parole che proferisci, se il tuo cuore non risponde loro, o se la tua vita non è orientata in sintonia con la preghiera, questa non sarà protesa verso Dio.
Dunque devi per prima cosa scegliere una preghiera che puoi dire con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutta la volontà, una preghiera che non ha necessariamente bisogno di essere un modello di arte liturgica, ma che dev’essere autentica, qualcosa che non sia inadeguato a ciò che vuoi esprimere. Devi comprendere la tua preghiera, in tutta la ricchezza e la precisione che essa possiede.
Devi anche mettere tutto il tuo cuore nell’atto con cui adori, un atto con cui riconosci Dio, ti prendi cura di lui, e questo è il vero significato dell’amore, un’azione che ti coinvolge nella mente, nel cuore, un’azione totalmente adeguata a ciò che sei tu.

- Anthony Bloom - 
1914 – 2003 
Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera



Preghiera continua

Un ultimo modo per pregare è l’utilizzo, più o meno ininterrotto, di preghiere vocali che fungano da sottofondo, da bastone da passeggio, lungo tutto l’arco della giornata e per tutta la vita.
Penso a qualcosa che si riferisce in modo specifico alla tradizione ortodossa. 
È quella che chiamiamo la “preghiera di Gesù”, una preghiera incentrata sul nome di Gesù. 
“Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. 
Questa preghiera è usata non solo da monaci e monache ma anche da semplici cristiani.
È la preghiera della stabilità, perché non è un’orazione discorsiva – non ci muoviamo da un pensiero a un altro pensiero – è una preghiera che ci pone faccia a faccia con Dio mediante una professione di fede in lui, e definisce una situazione che riguarda noi stessi. 
È una professione di fede che, secondo il pensiero di molti asceti e mistici ortodossi, riassume in sé tutto l’evangelo.

- Anthony Bloom - 
1914 – 2003)
Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 



Preghiera purificata

A volte pensiamo che non siamo degni di pregare, e perfino che non ne abbiamo il diritto. 
È una tentazione. 
Ogni goccia d’acqua, da qualsiasi parte provenga, da una pozzanghera come dall’oceano, viene purificata mediante l’evaporazione; lo stesso è di ogni preghiera che sale a Dio.
Più ci sentiamo avviliti, e più abbiamo bisogno di pregare. 
E senz’altro quello che provò un giorno Ivan di Cronstadt quando, mentre pregava sotto lo sguardo di un demonio, questi gli borbottò: “Tu, ipocrita, come osi pregare con la tua mente sudicia, piena dei pensieri che vi ho letto?”. 
Egli rispose: “È proprio perché la mia mente è colma di pensieri che mi disgustano e contro i quali combatto che sto pregando Dio”.

- Anthony Bloom - 
1914 – 2003)
Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 

domenica 19 luglio 2015

Vogliamo venire dietro a te, Gesù - Madre Anna Maria Cànopi -

Noi vogliamo venire dietro a te, Gesù.
Vogliamo continuare a seguirti, 
passo, passo,
sulla via della Croce portando nel cuore 
ogni fratello come amico.
Noi vogliamo essere per te amici fedeli ma tu,
Signore Gesù,
non permettere che ci lasciamo afferrare 
dalla paura e dalla stanchezza.
Infondici l'ardore del tuo Spirito
per aderire a Te e con Te
dare la vita in forza di quell'amore più grande 
che abbraccia ogni creatura.
Amen.

- Madre Anna Maria Cànopi - 



"Il bene più grande che l'Eucarestia attua in chi la riceve è il dono dell'unità. Già i primi cristiani avevano espresso in modo suggestivo il rapporto fra i molti chicchi che formano un solo pane per indicare che i fedeli dispersi in tanti luoghi sono chiamati a divenire "uno" nutrendosi del Pane della vita: il corpo di Cristo. 
Non si tratta tuttavia soltanto di un'immagine. 
La nostra unione con Cristo è ancora più forte: ci rende veramente il suo stesso corpo; per questo ogni divisione, ogni dissidio fra cristiani è contrario al segno eucaristico, lo ferisce profondamente. 
Sostare in adorazione davanti al Santissimo Sacramento ci interroga sul nostro desiderio di unità. 
Non possiamo amare Cristo senza essere ricercatori appassionati di comunione con i fratelli. 
E' questo anche il desiderio più ardente di Gesù espresso nella sua preghiera: "Tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato" (Giovanni 17: 20)". 

Madre Anna Maria Canopi
da: "L'adorazione eucaristica", Edizioni Paoline, Pagine 29 e 30



La luce che risplende nel cuore di coloro che cercano Dio è una lampada che illumina la Chiesa e gli uomini.

- Anna Maria Cànopi -
da: "Ogni giorno sorgerà il sole"



Sole senza tramonto

O Cristo, Pane vivo disceso dal cielo,
o grande Sole che mai tramonta all'orizzonte
della Chiesa e del mondo, rendici capaci di rimanere con te
in silenzio di amore e di adorazione.

Esposti ai tuoi raggi divini
saremo pienamente trasformati in te finché
tutto il creato divenga eucaristia
e l'inno cosmico di rendimento
di grazie al Padre, Amore che ti ha
donato, diventi pura lode nel silenzio.

Amen.

 - Madre Anna Maria Cànopi -




Buona giornata a tutti. :-)