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lunedì 1 novembre 2021

Che bella la festa di Tutti i Santi - Padre Rohrbacher

Che bella festa! È come se Tutti i Santi e la Festa dei Morti fossero un’unica festa. Da un lato la Chiesa militante, sulla terra, supplica alla Chiesa trionfante del cielo; dall’altro prega per la Chiesa sofferente e paziente del purgatorio.

La carità, più forte della morte, le ha unite, dal cielo alla terra, e dalla terra al purgatorio. Ed è per lo stesso sacrificio che noi ringraziamo Dio, per la gloria con cui colma i santi del cielo, e imploriamo la misericordia ai santi del purgatorio, santi ancora non perfetti.

Tale sacrificio è Gesù stesso, che santifica, gli uni e gli altri, da chi aspettiamo la grazia di santificare noi stessi. Così, tutti si riuniscono in Voi, o Gesù! Siamo felici!

Tutti i santi pregarono per i morti. Sant’Odilon, abate di Cluny, nell’XI secolo, aveva una cura particolare per ciò che riguardava il refrigerio delle anime del purgatorio. Fu, mosso dalla compassione e pensando alla sofferenza delle anime del purgatorio, che, anticipandosi alla Chiesa, ordinò che si pregasse per le anime, avendo destinato a questo un giorno speciale. Ecco come Sant’Odilon animò tale istituzione, cominciando dalle terre che erano votate al sacerdozio. (...)

Riguardo al purgatorio, non si sa nulla di sicuro. Ecco tuttavia, ciò che si legge nelle rivelazioni di Santa Francesca Romana, rivelazioni che la Chiesa ci autorizza a credere, senza però, obbligarci a farlo.

In una visione, la santa fu condotta dall’inferno al purgatorio, che, ugualmente è diviso in tre zone o sfere, una sull’altra.

Al suo ingresso, Santa Francesca lesse quest’iscrizione:

Questo è il purgatorio, luogo di speranza, dove si fa un intervallo.

La zona inferiore è tutta di fuoco, che è diverso da quello dell’inferno, che è nero e tenebroso. Questo del purgatorio ha fiamme grandi, molto grandi e rosse. E le anime. Lì, sono illuminate, internamente, dalla grazia. Perché conoscono la verità, così come la determinazione del tempo.

Coloro che hanno peccati gravi sono inviati a questo fuoco dagli angeli, e lì restano secondo la qualità dei peccati che commisero.

La santa diceva che, per ogni peccato mortale non espiato, l’anima sarebbe rimasta in quel fuoco per sette anni.

Nonostante in questa zona o sfera inferiore le fiamme del fuoco avvolgano tutte le anime, tuttavia le tormentano, alcune più di altre, secondo la gravità dei propri peccati, più gravi o più leggeri.

Al di là di questo luogo del purgatorio, a sinistra vi sono i demoni che fecero commettere a quelle anime i peccati che ora espiano. Le censurano, ma non infliggono loro nessun altro tormento.

Povere anime! Le fa soffrire di più, molto di più, la visione di questi demoni che il proprio fuoco che le avvolge. E, con tale sofferenza, gridano e piangono, senza che, in questo mondo, qualcuno riesca a farsene un’idea. Lo fanno, tuttavia, umilmente, perché sanno che se lo meritano, che la giustizia divina ha ragione. Sono grida quasi affettuose, che portano loro una sorta di consolazione. Non che siano allontanate dal fuoco. No, la misericordia di Dio, toccata da quella rassegnazione, delle anime sofferenti, lancia verso di loro uno sguardo favorevole, sguardo che allegerisce la loro sofferenza e permette loro di intravedere la gloria della beatitudine, verso la quale passeranno.

Santa Francesca Romana vide un angelo glorioso condurre a quel luogo l’anima che le era stata confidata, alla sua custodia, e ad aspettare fuori, a destra. È che i suffraggi e le buone opere che i parenti, gli amici, o chiunque sia, fanno specialmente in intenzione dell’anima, mossi dalla carità, sono presentati, dagli angeli custodi, alla divina maestà. E gli angeli, nel comunicare alle anime, ciò che noi facciamo per loro, le calmano, le rallegrano e le confortano. I suffraggi e le opere buone che fanno gli amici, per carità, specialmente per gli amici del purgatorio, giova principalmente a chi li compie, a causa della carità. Ci guadagnano le anime e ci guadagniamo noi.

Le preghiere, i suffragi e l’elemosine fatte caritatevolmente per le anime che già sono in gloria, e che già non lo necessitano, sono rivertite alle anime che lo necessitano ancora, giovando anche a noi.

E i suffragi che si fanno per le anime che giacciono all’inferno? Non se ne approfittano né le une né le altre – né quelle dell’inferno, né quelle del purgatorio, ma unicamente chi le fa.

La zona o regione media del purgatorio è divisa in tre parti: la prima, piena di una neve eccessivamente fredda; la seconda piena di pece fusa, mescolata ad olio in ebollizione; la terza piena di certi metalli fusi, come oro e argento, trasparenti. Trentotto angeli lì ricevono le anime che non commisero peccati così gravi da meritare la regione inferiore. Le ricevono e le trasportano da un luogo all’altro con grande carità: non sono i loro angeli custodi, ma altri che sono obbligati a questo servizio dalla misericordia divina.

Santa Francesca nulla disse, oppure non l’autorizzò a dirlo il superiore, sulla piú elevata regione del purgatorio.

Nei cieli, gli angeli fedeli hanno la loro gerarchia: tre ordini e nove cori. Le anime sante che salgono dalla terra, restano nei cori e negli ordini che Dio indica loro, secondo i propri meriti. È una festa per tutta la milizia celeste, ma particolarmente per il coro, dove l’anima santa dovrà rallegrarsi eternamente in Dio.

Ciò che Santa Francesca vide nella bontà di Dio la lasciò profondamente impressionata, senza che potesse parlare dell’allegria che aveva nel cuore. Spesso, nei giorni di festa, soprattutto dopo la comunione, quando meditava sul mistero del giorno, con lo spirito, trasportato in cielo, vedeva lo stesso mistero celebrato dagli angeli e dai santi.

Tutte le visioni che aveva, Santa Francesca Romana le sottometteva alla Madre, Santa Chiesa. E, dalla stessa madre, la Chiesa, Francesca fu canonizzata, senza che si trovasse nulla di riprovevole nelle visioni avute.

Noi, poi, vi salutiamo, o anime che vi purificate nelle fiamme del purgatorio. Condividiamo i vostri dolori, le sofferenze, principalmente di quell’immenso e torturante dolore di non poter vedere Dio.

Poveri noi! Senza dubbio vi sono tra voi parenti vostri e amici: soffriranno, forse per nostra colpa. Chi dirà che non abbiamo dato loro, in questa o quell’occasione, motivi per peccare? Manca loro poco tempo perché diventino anime pure. Che succederà, a noi che vegliamo così poco per noi stessi? Anime sante e sofferenti, che Dio ci liberi dal dimenticarvi!

Tutti i giorni, nella messa e nelle preghiere, ci ricorderemo di tutte voi. Ricordatevi, dunque, anche di noi. Ricordatevi, principalmente, quando sarete in Cielo. Come vogliamo vedervi là! Come vogliamo vederci con voi! Così sia.

da: Vida dos Santos di Padre Rohrbacher -

Volume XVIII, p.111 a 118 e 129 a 137)


Buona giornata a tutti. :-)

Voglia di preghiera:  leggoerifletto

Sono presente anche su YouTube, il nome del canale: LeggoeRifletto


lunedì 2 novembre 2020

La fiera del giorno dei morti – don Tonino Lasconi

La visita al cimitero, pensieri, preghiere e fiori per i nostri cari che non ci sono più: un incontro che non si esaurisce il 2 novembre.

Amo i cimiteri. Ci vado spesso. Non solo in quelli dove riposano i miei cari ma anche in quelli che incontro viaggiando. Sono un luogo dove mi piace riflettere, meditare, pregare. Questo perché amo la vita. Il pensiero dei defunti mi ricorda, senza ombra di dubbio, che la vita è un passaggio, spesso, purtroppo, breve. Per questo va vissuta senza sprecarne un solo istante con la noia, con la banalità, con la volgarità, con ciò che può rattristarla, impoverirla, metterla in pericolo.

Quando sono lì, penso: «Se ci ricordassimo sempre che non vivremo cinquemila anni, saremmo più saggi. Adopereremmo meglio le nostre capacità, i nostri sentimenti, il nostro tempo, i nostri soldi, i nostri giorni».

Metto dei fiori nelle tombe dei miei cari e in quelle abbandonate dai parenti.
I fiori - lo so - non servono ai defunti, ma a me. A noi.
Sono un segno bellissimo che dice: «Da questa morte rinasce una vita nuova, più bella e profumata di prima». E prego.
La preghiera serve ai defunti e a noi. Ci ricorda che, tra noi e loro, gli affetti, la compagnia, l'amicizia continuano, perché davanti a Dio siamo tutti contemporanei, ci abbraccia tutti con un unico sguardo.

E noi camminiamo tutti insieme verso di lui, aiutandoci l'un l'altro. Volete che una madre non cammini ancora accanto ai suoi figli rimasti quaggiù? Che un amico non ti rimanga accanto? Nemmeno a pensarci! Quando esco dal cimitero, mi sento ricaricato, stimolato a vivere con più grinta e intensità.

Non però negli ultimi giorni di ottobre e nei primi di novembre. In questi giorni non vado più al cimitero, perché l'ultima volta che l'ho fatto ho creduto di trovarmi in una fiera: chiacchiericcio, confusione, risate, paragoni sciocchi tra le tombe e i fiori più belli, curiosità stupide, telefonini che squillano dappertutto, commento sul costo dei fiori...
Uno spettacolo triste! Sapete cosa farei? Chiuderei i cimiteri dal 25 ottobre all'8 di novembre. Perché quelli che ci vanno per amore dei defunti e di se stessi ci andrebbero comunque durante l'anno, ogni volta che possono.

Quelli «della fiera» se ne starebbero a casa loro. Meglio così!

Tanto, andare in un cimitero per non pensare, per non pregare, per non meditare non serve né ai defunti né tanto meno ai vivi.

- don Tonino Lasconi -
Fonte: Popotus, 30/10/2004


La Resurrezione (1450-1463)
Piero della Francesca
Museo Civico, Sansepolcro (Arezzo), Italy

Mentre quattro soldati romani dormono, Cristo si leva dal sepolcro ridestandosi alla vita.  Risorge un Gesù “atletico”  ben eretto, come una statua greca ed esce dal sarcofago appoggiandosi con un ginocchio sul bordo, la mano destra regge il vessillo crociato, emblema del trionfo della vita sulla morte (altri autori ritengono che il vessillo rappresenti la vittoria delle crociate e della cristianità).  
Si pensa che  soldato senza elmo sia un autoritratto di Piero della Francesca.



La festa odierna ci invita a volgere lo sguardo al Cielo, meta del nostro pellegrinaggio terreno. Là ci attende la festosa comunità dei Santi. Là ci ritroveremo con i nostri cari defunti, per i quali s’eleverà la preghiera nella grande commemorazione liturgica di domani.
I fedeli cristiani e le famiglie si recano in questi giorni nei cimiteri, dove riposano i resti mortali dei loro congiunti, in attesa della risurrezione finale. Anch'io ritorno spiritualmente alle tombe dei miei cari, dove ho avuto occasione di sostare recentemente, durante il viaggio apostolico a Cracovia.

Il 2 novembre, però, ci chiede di non dimenticare, anzi, in un certo senso di privilegiare nella preghiera le anime di tanti defunti che nessuno ricorda, per affidarli all'abbraccio della divina Misericordia. 
Penso in particolare a tutti coloro che, nell'anno trascorso, hanno lasciato questo mondo. 
Prego soprattutto per le vittime dei fatti di sangue, che nei mesi scorsi ed anche in questi giorni hanno continuato ad affliggere l'umanità. 
La commemorazione di tutti i defunti non può non essere anche una corale invocazione di pace: pace per chi ha vissuto, pace per chi vive, pace per chi vivrà.

- san Giovanni Paolo II, papa
11 novembre 2002





Signore, mio Dio, io ti ringrazio
che hai portato a termine questo giorno;
io ti ringrazio che hai dato riposo
al corpo e all'anima.


La tua mano era su di me
e mi hai protetto e difeso.

Perdona tutti i momenti di poca fede
e tutte le ingiustizie di questo giorno
e aiutami a perdonare a tutti coloro
che sono stati ingiusti con me.

Fammi dormire in pace sotto la tua protezione
e preservami dalle insidie delle tenebre.

Ti affido i miei cari,
ti affido questa casa,
ti affido il mio corpo e la mia anima.
Dio, sia lodato il tuo santo nome. Amen.



- Dietrich Bonhoeffer -


Buona giornata a tutti. :-)


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sabato 2 novembre 2019

Il giorno dei morti ed il silenzio di Dio - Iacono Alfonso Maurizio

Appartengo alla generazione dei bambini del Sud che ricevevano i doni il giorno dei morti. Babbo Natale era ancora lontano così come il Nord. 
La notte prima dell’arrivo dei morti che portavano i doni, quasi non si dormiva. Eccitazione, ma anche paura. 
Mia nonna mi raccontava che arrivavano in fila, con un lenzuolo e con una candela. 
Sotto le coperte, ad ogni minimo rumore, chiudevo gli occhi, curiosi e nello stesso tempo impauriti. Vinto dal sonno, crollavo. 
Al risveglio, erano tutti lì, mio padre, mia madre, i miei nonni, i miei zii. 
Sì, perché non stavo in una famiglia, come si dice oggi, mononucleare. Abitavamo tutti insieme, in una grande casa, nel palazzo dei mutilati (mio nonno era stato ardito nella prima guerra mondiale ed erano stato ferito e reso invalido), davanti a una piazza, il vero luogo della mia vita di bambino, che si affacciava sulla Valle dei Templi e sul mare (ancora oggi, ma qualche palazzo in più e nel mezzo mi fa usare l’imperfetto). 
Erano tutti lì ad aspettare. 
Sì perché i regali erano nascosti da qualche parte ed io dovevo scoprirli. 
E poi la gioia. Ricordo come fosse oggi la volta che trovai la mia adorata bicicletta, una Frejius 18, mentre il mio amico d’infanzia Pino, che stava nella porta accanto (un fratello per me), trovò una Bianchi 18. 
Le avevano portate i morti. Ci credevo e non ci credevo. Volevo crederci. 
In fondo poco importava se era vero oppure no. I doni erano veri e la bicicletta pure! In tarda mattinata, al cimitero. 
Pesante odore di candele, di fiori, di urla e di pianti. Donne vestite di nero gettate sulle tombe. 
Orfanelle in fila per due, con l’aria indifferente, costrette a pregare per dei morti di cui non sapevano nulla. 
Non mi piaceva la spettacolare teatralità della morte socializzata e ammucchiata. Eppure, i doni dei morti convivevano con i pianti dei vivi, così, con naturalezza. La morte fu una misteriosa sparizione quando morì troppo presto la madre di Pino. 
La prima persona morta che vidi fu invece la nonna di un mio vicino di casa. Alla notizia, io e Pino entrammo. Eravamo curiosi. Non ci toccava il dolore dei parenti. Volevamo solamente vedere cosa si provava a vedere un morto vero. Sembrava che dormisse. 
Questa volta a scomparire fu il mistero della morte. E poi, forse come tutti i bambini che stanno per strada, ne vidi altri. Uno per strada, un altro al mare annegato. E poi morì Ignazio. Giocava con noi, ma era malato e deformato dalla malattia. Non so esattamente cosa avesse, ma lo ricordo pieno di ferri, muoversi e camminare con difficoltà. Un giorno ci dissero che era morto. Andammo a casa sua e vedemmo Totuccio piangere senza consolazione. 
Era il suo migliore amico. 
E poi, con il passare degli anni, i morti aumentano. 
I nonni, i genitori, i tuoi maestri, alcuni dei tuoi migliori amici. Non ho subito i traumi di morti violente e ingiuste, così come è capitato ad altri, ma nel tempo, il senso dell’irreversibile si fa sempre più grande e ingombrante. 
E con esso, il rimpianto di non avere detto o fatto cose che non puoi più dire e fare. Per nove anni sono stato preside di facoltà e mi è toccato preparare e fare molti discorsi per il funerale di molti colleghi, amici, maestri. Pronunciarli in pubblico, davanti alla bara, in un’atmosfera irreale, perché la bara dà il senso dell’irrealtà. Il morto è là dentro, ma non lo vedi fisicamente. E’ un assente che è presente con pesantezza. 
Un assurdo, tanto più assurdo se il cadavere che sta dentro è un tuo amico o tuo padre. 

Ho paura della morte? Sì! A volte penso che vorrei arrivarci talmente affaticato da poterla accettare per stanchezza. 

Lucio Magri, che mi ha molto insegnato in politica e nella vita, ha voluto decidere la sua morte. Non voleva perdere il controllo di sé e del suo destino. Non voleva più vivere. Rispetto la sua decisione e la comprendo, ma non credo che farei lo stesso. Non solo perché la vita non appartiene soltanto a me, essendo padre di tre figli, ma anche perché forse con la morte bisognerebbe fare come i siciliani fanno con lo scirocco quando lo scirocco spira da terra ed è caldo, molto caldo. 
Se ti ci metti contro, ti prende l’ansia e forse anche il panico, se ti lasci attraversare da esso, se lo accetti, allora quel caldo che spira e ti avvolge diventa dolce, ti rallenta e ti fa chiudere gli occhi non per paura, ma perché sei dentro e nello stesso tempo quasi ti annulli nell’ondata d’aria calda. Allora forse puoi morire. Lotti contro la morte se accetti di non essere il centro dell’universo, ma per noi occidentali, educati alla cultura dell’onnipotenza è difficile. Non sono credente ma non mi hanno mai consolato quegli artifizi filosofici secondo cui non bisogna avere paura della morte perché dove c’è lei tu non ci sei e viceversa. Non ho tutta questa sicurezza materialistica da consolarmi pensando che faccio parte di un mondo più grande e che il mio corpo ritornerà alla natura. 
L’idea di non esistere mi fa rabbia e paura, ma non posso credere in un’altra vita solo perché provo rabbia e paura. Non con la mia testa. E neanche per amore di un dio che non conosco e da cui non sono conosciuto. Detesto l’idea che un dio sia onnipotente. 
Mi piace di più quel che hanno da dire gli ebrei (e con essi anche alcuni cristiani di oggi): il rapporto con dio è basato sull’incertezza, sull’improvvisazione, sull’incompiutezza. 
Questo è ciò che dice André Neher rivendicando il silenzio di dio dopo Auschwitz, dopo cioè che bambini innocenti sono stati divorati dalla macchina dell’orrore nazista, dopo che il dio degli ebrei restò muto, mentre il suo popolo veniva stritolato nei Lager. 
Hans Jonas, dopo Auschwitz, rivendica un dio non più onnipotente, ma buono, incapace di fermare il male che non ha voluto, ma capace di soffrire con gli uomini. 
Del resto, la rabbia di Cristo che, in punto di morte, si dispera perché il padre lo ha abbandonato (Marco, 15, 34; Matteo, 27, 46), è l’espressione di un fallimento e di una delusione. E’ in questa condizione umana che vedo il divino. Un divino che non può essere confinato al regno dei credenti, ma richiama la responsabilità tutta umana nei confronti del male che facciamo e che subiamo proprio perché dio, essendosi ritirato, non c’è e non vuole esserci. Posso amare solo un dio che fallisce oppure un dio che sa ritrarsi. Poco mi importa che esista oppure no.

- Prof. Alfonso Maurizio Iacono - 
(Agrigento, 16 settembre 1949) è un filosofo italiano. Ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Pisa, nell'anno accademico 2002-2003 è stato Visiting Professor all'Université de Paris 1 (Sorbonne-Panthéon). È attualmente Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa.




Se mi chiedessero quale certezza vorrei avere in punto di morte, risponderei che l'unica a rendermi sereno il trapasso sarebbe la certezza di aver distribuito agli uomini la speranza. 

- Balducci don Ernesto -


Buona giornata a tutti. :-)


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mercoledì 31 ottobre 2018

Halloween è nato cristiano, anzi cattolico - Silvana de Mari


Halloween è un’ antica festa cattolica, come dice con semplicità la sua etimologia: 
hallows=santi (ricordate il Padre nostro in inglese Hallowed be thy name), een=vigilia (da evening=seravigilia), cioè Halloween=sera/vigilia dei Santi.
Non c’è dunque nessun bisogno di inventare il neologismo Holyween, perché Halloween significa esattamente questo. 
Ma chi lo spiega ai bambini e, prima di loro, ai maestri e ai genitori? Halloween è la festa cristiana della vigilia dei Santi, cioè l’inizio della festa dei Santi perché le grandi feste (vedi Natale e Pasqua) iniziano nella notte.
I cristiani – grandi maestri della gioia e del festeggiare – inventarono la festa dei santi (e la commemorazione dei morti) per celebrare il fatto che la morte era vinta e che il duro male era ormai sconfitto. 
Di questo dobbiamo parlare ai bambini, spiegando il nome Halloween. 
Gli irlandesi cattolici iniziarono a celebrare l’illuminazione della notte, le zucche che mettevano in fuga il male, il cielo che visitava la terra, i dolcetti che i morti portavano ai loro discendenti come segno del loro amore sempre presente e della loro intercessione per i loro cari presso Dio, la sconfitta del male.
La tradizione, peraltro, non è solo nord-europea, ma anche mediterraneo-cattolica, tanto è vero che in tanti paesi della Sicilia e della Sardegna ci sono i “dolci dei morti”. Se fosse vero che gli irlandesi cattolici cristianizzarono una precedente festa celtica, si può spiegare ai bambini che questo è il genio del cristianesimo: mentre i pagani, che erano pur sempre credenti, pensavano che i morti potessero venire a visitarli solo un giorno all’anno nella festa di Sanhedrin i cristiani annunciarono loro che essi ci visitavano tutti i giorni grazie alla comunione che esiste in Gesù tra i vivi ed i morti.
Solo 30 anni fa, in un periodo molto recente quindi, si impadronirono di questo rito meraviglioso – che ci permette di celebrare la comunione fra il cielo e la terra – gli ambienti irrazionalisti che credono nella magia, il mondo capitalistico che governa la finanza e vuole vendere oggetti e, in qualche rarissimo caso, anche gli ambienti satanisti che, comunque, con la loro fede distorta, ci ricordano che il diavolo esiste e che, a maggior ragione, esiste Dio!
Orbene è del significato della festa di Halloween che dobbiamo parlare e non delle cavolate sovrapposte da questi gruppi minoritari. 
Dobbiamo parlare del fatto che Halloween ci ricorda che la vita eterna esiste, che i morti (compresi nonni e bisnonni defunti) e, soprattutto, i santi ci accompagnano con la loro dolcezza. 
Dobbiamo parlare pure del fatto che la morte e il diavolo esistono, ma che Cristo li ha sconfitti. 
Una volta che i bambini hanno parlato dei morti, hanno capito che i morti ci amano e pregano per noi presso Dio, che i santi ci proteggono, che il male esiste, ma che è la prova che la scienza non basta e che, per fortuna, Dio è ben più forte di lui, facciano un po’ quello che vogliono, tanto ormai sono vaccinati…
Ormai è tardi per scrivere questo post quest’anno, ma ricordatevelo per il prossimo anno (noi lavoriamo per il futuro)… nelle scuole e nella catechesi, l’anno prossimo, una settimana prima di Halloween, lezione su Halloween, sui morti, sui santi, sugli irlandesi, e sulle indebite appropriazioni degli ambienti neo-magici e capitalistici… e poi ognuno faccia ciò che vuole!
Concludo, a chi non fosse bastato quanto già detto, un magnifico passaggio ricordato da Giovanna Jacob tratto da Kristin figlia di Lavrans di Sigrid Undset.

Contemplando un dipinto che raffigura una santa alle prese con un drago, Kristin dice: «Mi pare che il drago sia molto piccolo (…) non sembra in grado di potere ingoiare la Vergine». 
E il frate che l’ha dipinto risponde: «E infatti non c’è riuscito. Eppure non era più grande di così. I draghi e tutti gli strumenti del diavolo ci sembrano grandi finché la paura ci possiede, ma se una creatura aspira a Dio con tutta l’anima sua fino a potersi avvicinare alla sua potenza, la forza del diavolo di colpo viene abbattuta, tanto che i suoi strumenti diventano piccoli e impotenti
I draghi e gli spiriti malvagi sprofondano e non sono più grandi di rane, di gatti e di cornacchie».

- don Andrea Lonardo - 
fonte: gliscritti.it

Agostino Comerio, la Donna e il Drago, affresco del 1824 
nel Santuario della Madonna della Bocciola, Ameno (Novara) - Italy


Vestiamo i figli come i Santi e come i Morti, non nel senso di travestirli da cadavere: prima o poi tutti moriremo non c’è bisogno di anticipare. 
Tra i Santi consiglio San Michele Arcangelo, armato di spada, San Giorgio, armato di lancia, e San Giuseppe che ha un’ascia (mite, ma non disarmato: I due Misteri più preziosi sono stati affidati non a un fornaio o a un sarto, ma a un uomo che aveva un'ascia). Ovviamente ha un’ascia. 
Usiamo come travestimento gli abiti degli uomini e delle donne che ci hanno preceduto, che hanno creato questa civiltà straordinaria, che stiamo buttando via, annegata negli spinelli, nei preservativi e nelle maschere da morto di Halloween, consegnata gratuitamente come qualcosa di senza valore a chiunque voglia calpestarla. 
Vestiamoli come i contadini medioevali, che hanno dissodato un continente di selve e di rovi per lasciarci in eredità frutteti e campi di grano, vestiamoli come i capomastri semianalfabeti che hanno eretto cattedrali di una bellezza sublime che sfidano i secoli, come le donne nerovestite che disastro dopo disastro hanno pregato nelle cattedrali durante le guerre e le carestie, per la peste del 1300, le città bombardate. 
Vestiamoli con il camice bianco degli uomini e le donne che hanno sconfitto il vaiolo e la peste, con le tute da astronauti degli uomini e delle donne che hanno sfidato il cielo, con la divisa dei pompieri che tirano fuori i bambini vivi da sotto le macerie. 
Vestiamoli da guerrieri, perché i popoli che non sanno combattere, che credono che la libertà sia gratis, si candidano a essere popoli di morti o popoli di schiavi: vestiamoli da guerrieri, e sugli scudi niente insulse porcate come metalupi e draghi a tre teste. Mettiamoci roba seria: lo stemma della Serenissima, per esempio. 
Vestiamoli da guerrieri delle guerre che abbiamo combattuto, vestiamoli come gli uomini che hanno vinto a Lepanto, che sia il leone il loro angelo alato, il cuore a San Marco, il vento alle vele il fuoco alle micce dei cannoni. 
A Lepanto i nostri morti hanno combattuto ed è per questo che siamo liberi e possiamo festeggiare Ognissanti. 
Oppure ricordiamo la Battaglia di Vienna, 11 settembre 1683, quando il re di Polonia ha spaccato l’assedio. 
Possono travestirsi come il Beato Marco D’Aviano (tonaca da francescano, non è difficile, e poi una tazza di cappuccino in mano) che per primo entrò in Vienna: gli offrirono il caffè che avevano imparato a fare dai turchi. Lui lo trovò orrendo e aggiunse latte fino a che ebbe lo stesso colore della propria tonaca da cappuccino. Il cappuccino è nato quel giorno. 
Possiamo vestirli come il fornaio di Vienna che durante l’assedio si accorse in tempo, sentendoli lavorare di notte, che i turchi stavano scavando una galleria per mettere la polvere da sparo, farla esplodere e fare una breccia nelle mura. Quel fornaio ebbe l’esclusiva della pasta sfoglia, che lui fece un dolcino a forma di croissant, in francese crescente, luna crescente, la bandiera turca: non mi hai sconfitto, non mi hai invaso, la tua bandiera me la mangio a colazione. Anche lui non è difficile: grembiule bianco da fornaio e un croissant in mano.

Gli diciamo che il giorno dopo si va alla Messa il giorno di Ognissanti: è una Messa bellissima, dove si legge anche un brano dell’Apocalisse che vale la pena di conoscere. 
I nostri figli portiamoli a Messa anche se siamo laici o molto atei, perché non si tira su una generazione senza dare un’identità. 
La nostra identità è la nostra storia. 
Siete atei? Restate nipoti di bisnonne che aspettavano i mariti dispersi in guerra o la guarigione del figlio con la polmonite dicendo il Rosario. 
Nessun popolo può vivere staccato dalla propria storia.

Halloween è nato cristiano, anzi cattolico.
Fonte: Blog di Silvana De Mari, 02 -11 -2017