Valdocco intanto come cambiava di abitatori, così
cambiava d’aspetto: ai rumori disordinati succedeva la calma; alle bestemmie,
le lodi continue al nome santo di Dio.
Tutto quanto serviva a quelle bische: tavole, sedie,
botti, damigiane, fiaschi, bottiglie, tutto diventava a servizio dei poveri;
poiché per togliere ogni indugio il sant’uomo comperava ogni cosa, perfino i
mobili e qualunque provvigione o di birra, o di liquori, o di vino.
Le insegne stesse di quelle taverne gli venivano a
proposito, perché fatte cancellare quelle pitture che con l’inevitabile elogio
buon vino e buon ristoro, le abbellivano, egli vi faceva dipingere sopra lo
scudo di Maria SS. o altri simboli religiosi.
E così il telaio su cui sono scritte le parole di S.
Paolo: Charitas Christi urget nos, appeso sopra la porta d’entrata della
Piccola Casa, è lo stesso che con ben altro scopo serviva d’insegna all’osteria
del Brentatore.
Erano insomma le spoglie d’Egitto che servivano al popolo santo
di Dio.
da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo", Torino 1886
Un giorno il parroco di San Rocco lo invitò a casa sua. Entrato, lo invitò a sedersi. Poi gli disse: «Trattieniti qui un momento, ma bada a quel che ti dico: Tu non parlerai, non domanderai, né ringrazierai; insomma, fai conto di essere una statua di marmo, e fatti coraggio!»
Il Cottolengo non sapendo né che dire, né che
pensare, attese obbediente. Ad un tratto sente una porta che gli si apre di
fronte, e vede entrare un signore che, dalla testa fino al petto coperto da un
fittissimo velo nero, veniva verso di Lui. Il Santo rimase un po’ sbigottito;
ma scomparve la paura quando l’uomo così acconciato mise sul tavolo una
quantità grandissima di monete d’oro. Poi silenzioso si ritirò, senza mai
venire a sapere chi fosse. Contate le monete, davano la bella somma di
trentamila lire. «Anche questa è Divina Provvidenza, disse allora il buon
Padre; un po’ di paura l’ho avuta; ma, andiamo avanti, trentamila lire per i
miei poveretti me l’hanno fatta passare d’incanto. E non tutto il male vien per
nuocere».
Diceva il Cottolengo: «Non mi sento fatto per occuparmi di tutte queste cose
che mi circondano; il mio desiderio sarebbe di sempre essere in orazione e
pregare: sono come quei piccoli uccelletti che stanno nella siepe, e la mia
vita sarebbe proprio questa, di rimanere nella siepe col becco all’insù; la
vita nascosta ed i soliloquii con Dio devono essere il mio pane».
E forse proprio per questa amorosa unione con Dio, il Signore gli parlava e lo
destinava a grandissime cose. Perché è verità solidissima, che se al mondo vi è
un’opera veramente stupenda, non viene da ciarloni e trombettieri, ma dal
silenzio e dalla solitudine.
- Pietro Paolo Gastaldi -
da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo", Torino 1886
Buona giornata a tutti. :)