giovedì 28 ottobre 2021

Una cosa che comincia per elle – Dino Buzzati

"Don Valerio" disse il medico. "Forse è meglio che parliate voi." "Bene" cominciò il Melito. "Sapete chi era quell'individuo che vi ha aiutato a tirar su la carrozza?" "Non so, uno zingaro, ho pensato, un vagabondo..." "No. Non era uno zingaro. O, se lo era stato una volta, non lo era più. Quell'uomo, per dirvelo chiaro, è una cosa che comincia per elle." "Una cosa che comincia per elle?" ripeté meccanicamente lo Schroder, cercando nella memoria, e un'ombra di apprensione gli si era distesa sul volto. "Un ladro? volete dire?" fece il mercante illuminandosi in volto per la sicurezza di aver indovinato. 

Il Melito e il dottore, in piedi, si erano accostati l'un l'altro, appoggiando le schiene all'uscio. Nessuno dei due ora sorrideva più. "Né un ladro né un lanzichenecco" disse lentamente il Melito. "Un lebbroso, era." Il mercante guardò i due uomini, pallido come un morto. "Ebbene? E se anche fosse stato un lebbroso?" "Lo era purtroppo di certo" disse il medico, cercando pavidamente di ripararsi dietro le spalle di Don Valerio. "E adesso lo siete anche voi."

Il Melito insinuò fuori del mantello una canna della pistola. "Sono l'alcalde, caro signore. Calmatevi, vi torna conto. "Vi farò vedere io chi sono!" urlava lo Schroder. "Che cosa vorreste farmi, adesso?" Il Melito scrutava lo Schroder, pronto a prevenire un eventuale attacco. "In quel pacchetto c'è la vostra campanella" rispose. "Uscirete immediatamente di qui e continuerete a suonarla, fino a che sarete uscito fuori del paese, e poi ancora, fino a che non sarete uscito dal regno."

"Ve la farò vedere io la campanella!" ribatté lo Schroder, e tentava ancora di gridare ma la voce gli si era spenta in gola, l'orrore della rivelazione gli aveva agghiacciato il cuore. Finalmente capiva: il dottore, visitandolo il giorno prima, aveva avuto un sospetto ed era andato ad avvertire l'alcade. L'alcade per caso lo aveva visto afferrare per un braccio, tre mesi prima, un lebbroso di passaggio, ed ora lui, Schroder, era condannato.

"Me ne vado senza bisogno dei vostri ordini, canaglie, vi farò vedere, vi farò vedere..." "Mettetevi la giacca" ordinò il Melito, il suo volto essendosi illuminato di una diabolica compiacenza. "La giacca, e poi fuori immediatamente." "Aspetterete che prenda le mie robe" disse lo Schroder, oh quanto meno fiero di un tempo. "Appena ho impacchettato le mie robe me ne vado, statene pur sicuri."

"Le vostre robe devono essere bruciate" avvertì sogghignando l'alcade. "La campanella prenderete, e basta." "Le mie robe almeno!" esclamò lo Schroder, fino allora così soddisfatto e intrepido; e supplicava il magistrato come un bambino. "La giacca, la mantella, e basta. L'altro deve essere bruciato. Carrozza e cavallo sono stati bruciati, come ordina la legge" rispose l'alcade, godendo della sua disperazione. "Non vi immaginerete che un lebbroso se ne vada in giro in carrozzella, no?" E diede in una triviale risata. Poi, brutalmente: "Fuori! fuori di qua!" urlava allo Schroder. "Non immaginerai che stia qui delle ore a discutere? Fuori immediatamente cane " Lo Schroder tremava tutto, grande e grosso com'era, quando uscì dalla camera, sotto la canna puntata della pistola, la mascella cadente, lo sguardo inebetito.

"La campana!" gli gridò ancora il Melito facendolo sobbalzare; e gli sbattè dinanzi, per terra, il pacchetto misterioso, che diede una risonanza metallica. "Tirala fuori, e legatela al collo. Se non ti sbrighi, perdio, ti sparo!" Le mani dello Schroder erano scosse da un tremito e non era facile eseguire l'ordine dell'alcade.

Pure il mercante riuscì a passarsi attorno al collo la cinghia attaccata alla campanella, che gli pendette così sul ventre, risuonando ad ogni movimento. "Prendila in mano, scuotila, perdio! Sarai buono, no? Un marcantonio come te. Va' che bel lebbroso!" infierì don Valerio, mentre il medico si tirava in un angolo, sbalordito dalla scena ripugnante. 

Lo Schroder con passi da infermo cominciò a scendere le scale. Dondolava la testa da una parte e dall'altra come certi cretini che si incontrano lungo le grandi strade. "Avanti, avanti!" incitava intanto l'alcade come a una bestia. "Scuoti la campanella, ti dico, la gente deve sapere che arrivi!" Lo Schroder riprese a scendere le scale. Poco dopo egli comparve sulla porta della locanda e si avviò lentamente attraverso la piazza.

Decine e decine di persone facevano ala al suo passaggio, ritraendosi indietro man mano che lui si avvicinava. La piazza era grande, lunga da attraversare. Con gesto rigido egli ora scuoteva la campanella che dava un suono limpido e festoso; den, den, faceva.

- Dino Buzzati - 

riduzione da: "La boutique del mistero", ed. Mondadori, Milano


Separare il puro dall’impuro - Il Coronavirus nel Levitico

Nel documento pubblicato il 29 febbraio 2020 concernente le direttive per affrontare e combattere la diffusione del Coronavirus, l’OMS indica come misura primaria la quarantena, strumento classico per il contenimento delle crisi epidemiche nella storia europea (e non solo).

Com’è noto, almeno dal XIV secolo, ai tempi della cosiddetta peste nera, le città costiere italiane imponevano quaranta giorni di segregazione e isolamento alle navi che si avvicinavano ai loro porti.

La parola quarantena è d’origine veneziana e cominciò a circolare proprio in quel periodo. 

L’idea di fondo della quarantena, come quella più generale dell’isolamento e della segregazione, era ed è quella di separare il malato, l’infetto, l’appestato dal mondo dei sani. Quest’operazione, per noi ovvia, semplice, quasi banale, ha un fondamento biblico. Essa cela una nefasta insidia etico-politica che, surrettiziamente, s’insinua ancora oggi nel nostro modo di agire e pensare nel quadro delle pratiche d’isolamento e segregazione in campo igienico-sanitario.

 Il capitolo 13 del Levitico, nella Vulgata, è interamente dedicato alla lebbra,

una malattia che ha avuto un carattere epidemico rilevante nel mondo giudaico-cristiano almeno dall’ antichità classica sino alla seconda metà del XIV secolo. ….

 Nel capitolo 13, Dio, rivolgendosi a Mosè e ad Aronne, dà a quest’ultimo alcune precise indicazioni su come comportarsi in qualità di sacerdote, responsabile del benessere degli Israeliti, e quindi di braccio terreno dell’autorità divina. Tocca al sacerdote, sulla base delle indicazioni fornite nel Levitico, indicare chi è “lebbroso” (impuro, segnato). 

Tale diagnosi o, se vogliamo, il riconoscimento effettuato dal sacerdote implica, per il bene comune del popolo, la messa in opera di una pratica d’esclusione sociale: «Il lebbroso, affetto da questa piaga, porterà le vesti strappate e il capo scoperto; si coprirà la barba e griderà: Impuro! Impuro! Sarà impuro tutto il tempo che avrà la piaga; è impuro; se ne starà solo; abiterà fuori del campo.» (Levitico 13, 45-46). 

Il medesimo comportamento è ingiunto da Dio a Mosè in un passo del libro dei Numeri: «Ordina agli Israeliti che allontanino dall’accampamento ogni lebbroso, chiunque soffre di gonorrea o è impuro per il contatto con un cadavere. Allontanerete sia i maschi sia le femmine; li allontanerete dall’accampamento perché non contaminino il loro accampamento in mezzo al quale io abito». (Numeri, 5, 1-3).

Levitico 13 e Numeri 5 contengono tre elementi che vale la pena mettere in evidenza e che caratterizzano le pratiche di esclusione e confinamento sociale sino ai giorni nostri:

1) la designazione dell’impuro è fatta da un’autorità superiore (il potere religioso, politico, medico) in nome della salvaguardia della comunità;

2) i puri e gli impuri, i sani e i malati devono vivere in spazi separati;

3) inevitabilmente, la designazione degli impuri (i lebbrosi, i contagiati, gli untori) comporta la loro stigmatizzazione: la loro riduzione al segno (difforme, anomalo, tipico) che li contraddistingue, segno che dev’essere obbligatoriamente esposto, gridato, per poter essere riconosciuto, tenuto a distanza, segregato.

Attenzione perché, di fatto, queste righe della Bibbia, lette alla luce di quanto la storia ci ha poi mostrato nei processi di esclusione e confinamento per motivi igienico-sanitari, hanno consentito molti comportamenti e la creazione di dispositivi che hanno legittimato, sul piano sociale e politico, l’espropriazione della vita sociale, se non addirittura della vita biologica non soltanto dell’impuro, ma anche dell’anormale, del diverso, sinanco dello straniero.

articolo di Andrea Carlino

https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Storie_virali_Separare__il_puro_dall_impuro.html                        

Bibliografia per approfondire:

Erwin Goffman, Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity, Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall, 1963

Mary Douglas, Purity and Danger: An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo, Abingdon-on-Thames, Routledge and Kegan Paul, 1966 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1975)


Buona giornata a tutti :-)