Ci siamo tutti: In questo quadro c’è tutta una folla di
personaggi, dall’ umanità più diversa, coi più diversi atteggiamenti interiori.
Ciascuno di noi in questa folla può riconoscersi e trovare il suo posto.
C’è Maria di Betania, dal cuore gonfio di gratitudine e di affetto, che,
incurante delle critiche, versa sul capo di Gesù tutto il suo prezioso profumo.
C’è Pietro, estroverso e impulsivo, che parla troppo, che è troppo spavaldo,
che dice di saper morire per Cristo; ma poi non sa affrontare le domande curiose e forse un po’
impertinenti di qualche serva.
La sua fedeltà, conclamata alla sera, non dura
fino al canto del gallo.
Ci sono i capi dei Giudei, accecati dall’odio, al
punto da ricorrere alle false testimonianze, in un processo che si era già
assegnato come unico e inderogabile traguardo la morte, la morte ad ogni costo,
senza alcuna attenzione alla innocenza o alla colpevolezza dell’imputato.
E c’è Giuda. Le ragioni profonde del suo tradimento
restano per noi incomprensibili. I trenta denari non ci bastano come spiegazione.
Forse Giuda ha verso Gesù – come tanti cristiani di
oggi verso la Chiesa – un amore deluso. È il rancore di chi si è visto
defraudato nelle sue attese e nelle sue aspirazioni. Aveva puntato tutto su di
lui e sul suo successo nel mondo; e si era a poco a poco reso conto che Gesù
era un condottiero che non mirava a nessuna esteriore conquista, un capo che
non voleva dominare, un re che rifiutava ogni regno sulla terra. Egli tradisce
perché si sente tradito nelle sue erronee speranze.
Ma forse il tradimento di Giuda è solo un enigma
oscuro ed è vana impresa volerlo capire. Non è comprensibile, come in fondo non
sono comprensibili neppure a noi stessi i nostri tradimenti, le nostre
infedeltà, le nostre scelte del male, le nostre inspiegabili ribellioni al Dio
che inspiegabilmente ci ama.
Questa è l’umanità che circonda Gesù nella notte
della sua donazione, quando, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò
sino alla fine» (Gv 13,1).
Questa è l’umanità, e non c’è da esserne fieri: in
essa ci sono i deboli, gli insensibili, i malvagi, gli ostinati, i traditori.
Ci sono tutti, ci siamo tutti.
Gesù ci vede come siamo, generosi o ingrati,
svogliati o pronti ad accogliere le sue proposte, vigili o distratti e
spiritualmente ottusi, fedeli alla sua sequela o smarriti nei chiassosi e
deludenti vicoli del mondo. Ci prende come siamo, per farci diventare come
vuole lui. Ogni Settimana Santa, ogni celebrazione della Pasqua, è un altro
tentativo del nostro Redentore di farci più veramente e più integralmente suoi.
Decidiamo in questi giorni, decidiamo questa sera
stessa di lasciarci raggiungere e di lasciarci cambiare. (Palme 1988).
I parenti dicevano: “È fuori di sé” (Mc 3,21), e
cercavano di prenderlo e di toglierlo dalla circolazione. Gli scribi davano lo
stesso giudizio, ma con una versione, per così dire, “teologica”, e dicevano:
“È posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3, 30).
Il discepolo vero e coerente di Gesù non dovrà allora meravigliarsi se riceverà
le stesse incomprensioni che non sono state risparmiate al suo Maestro. Chi sta
col Vangelo senza sconti e senza attenuazioni, e perciò parla di distacco dai
beni, di valore della castità, di amore disinteressato, di matrimonio
indissolubile, di assoluta onestà negli affari, di perdono dei nemici, di
sofferenza accettata dalle mani di Dio, costui apparirà necessariamente al
mondo di oggi come un personaggio strano, sprovveduto, pazzo… Dovremo tenerlo
presente, quando ci sentiremo suggerire che bisogna adattare la religione agli
usi e costumi dell’uomo di oggi; si tratta piuttosto di trovare all’uomo di
oggi una testa che vada bene per il messaggio di Cristo.
- Cardinale Giacomo Biffi -
da: "Stilli come rugiada il mio dire." Omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario. Anno B, Bologna 2015, pp. 79-80
da: "Stilli come rugiada il mio dire." Omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario. Anno B, Bologna 2015, pp. 79-80
Chi è stato? – ci domandiamo.
L’asciutta e intensa narrazione evangelica ci risponde con molti nomi: Giuda,
che ha organizzato l’imboscata; Caifa, che aveva detto: «È meglio che un uomo
solo muoia per il popolo» (Gv 18,14); Pilato, magistrato senza coraggio e
giudice senza giustizia; i soldati, che si sono sobbarcati materialmente al
compito orrendo di uccidere. Come si vede, a perpetrare questo crimine si sono
messi in tanti: amici ed estranei, ebrei e romani, autorità e semplici esecutori.
Ma proprio questa folla di carnefici ci suggerisce
un’altra e più profonda risposta. Chi è stato? Siamo stati tutti noi che
dobbiamo riconoscerci peccatori e «per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is
53,5). Egli è stato annoverato tra i malfattori, proprio perché portava sulle
sue spalle l’iniquità della moltitudine umana (cf. Is 53,12)
Oggi è dunque anche il giorno del nostro rimorso e
del nostro pianto.
La nostra indagine però non é finita. Neppure tutte
le colpe della storia ci spiegano perché sia stato necessario un tale tormento.
Chi è stato? La risposta più esauriente è questa: è stato il suo amore.
- Cardinale Giacomo Biffi -
(Venerdì santo 1992)
Cervo
Dagli uomini ferito,
come cervo
che al natìo bosco
corre per morire,
Ti rifugiasti in
vetta del Calvario,
moribondo di sete e
dissanguato,
percorrendo le vie
dell'amarezza,
dell'amore alla polla
sempiterna.
«Ho sete!». Tu
gemevi. E noi, fratelli
tuoi, ma crudeli
cacciatori, pure
morti di sete, in
cerca della fonte
del vino tuo,
corremmo sopra l'orme
cruente, d'amarezza
nella valle.
Noi sete abbiam della
bianchezza eterna
di codesto tuo cor,
polla perenne
d'acqua di vita che
giammai si secca.
Se di Cana alle nozze
Tu mutasti
in vino l'acqua,
della tua passione
nel cruento martirio,
il rosso vino
festi acqua viva di
Sicar, che smorza
in eterno la sete. Il
sangue desti,
mistico cambio, con
amore immenso
all'alme nostre, le
samaritane
dai sei mariti, folli
concubine
del sapere che
inebbria e mai non sazia.
Ed il cuore, smarrito
pei sentieri
del mondo sì
intricati, giunge infine
alla vena del pozzo
del tuo cuore
e ne fa suo rifugio e
si ristora
della tua bocca al
soffio che dà vita.
- Miguel de Unamuno -
Il Cristo di Velazquez, pp. 67-68
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