L'asino camminava nella notte. Camminava e
pensava a quella madre che portava sul dorso, tutta ravvolta nel mantello
oscurato dall'ombra.
Un passo dietro l'altro, attento a che il
suo andare fosse quieto e sempre uguale, per non destare il bimbo che dormiva.
Un passo dietro l'altro, misurati dal battito del cuore: finché i battiti
divennero più frequenti dei passi e il cuore, in petto, parve scoppiare.
Allora smise di fissare il cielo e la notte
che si stendeva davanti a perdita d'occhio e, piegato il capo, cominciò a
guardare a terra, sul sentiero appena segnato, ora per evitare un sasso troppo
acuto, ora per posare lo zoccolo sui ciuffi d'erba bianchi di brina.
Cominciava a sentire il peso del carico; le
gambe si stendevano nel passo ogni volta più faticosamente, finché l'andatura
divenne secca, legnosa, e ad ogni piegare di ginocchi gli sembrava di udire
come un ramo secco spezzarsi. Si ricordò della catasta di legna ammucchiata
nella sua stalla tiepida, dell'alone di luce fumosa intorno alla lucerna
pendente sopra la greppia, e l'immagine divenne tanto seducente che gli parve
di sentire su per le narici l'odore penetrante di una manciata di fieno fresco.
Si volse, allora, con occhi imploranti
verso l'uomo che gli camminava a fianco. Era giovane, ma la strada lo aveva
curvato sopra il bastone, e il vento freddo della notte invernale gli incollava
il mantello contro un fianco. Il ciuco non riuscì a vedergli bene il volto, ma
vide che l'oscurità, interrotta solo dalla luce delle stelle, incavava le
occhiaie dell'uomo e riduceva ad una oscura macchia ansante il collo vigoroso,
e il petto, che ad ogni passo si alzava e si abbassava.
"Sta peggio di me" pensò l'asino:
e riprese a camminare. Camminò per un'ora con la testa bassa, con l'odore di
fieno che sempre gli solleticava le narici con l'aumentare della stanchezza:
finché il desiderio di cibo scomparve e rimase solo un'acuta brama di paglia
tiepida su cui stendersi, della paglia che aveva lasciato a Betlemme quando
l'avevano destato nella notte appena cominciata. Fu proprio il tepore associato
al ricordo di Betlemme, di Betlemme con la sua piccola tiepida stalla, che lo aiutò
a proseguire ancora sul terreno accidentato. Via, via e via.
Dopo qualche ora, ricominciò a sentire che
non ne poteva più.
Nessun ricordo veniva ad addolcire la sua
andatura e ad ogni passo migliaia di fitte gli trapassavano il corpo.
Decise di fermarsi, di sdraiarsi sul
terreno ad aspettare il sonno, la morte.
Si guardò attorno, voltò il capo per trovare un riparo dal vento; e fu come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore: la donna sulla sua groppa era tutta un tremito per il freddo e il suo alito gelava nell'aria appena uscito dalle labbra dischiuse.
"Sta peggio di me" pensò ancora il somaro.
Si guardò attorno, voltò il capo per trovare un riparo dal vento; e fu come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore: la donna sulla sua groppa era tutta un tremito per il freddo e il suo alito gelava nell'aria appena uscito dalle labbra dischiuse.
"Sta peggio di me" pensò ancora il somaro.
Continuò a camminare e un'altra ora passò,
un'ora di stanchezza infinita, di contrasti col vento, di paura per quella
dama, per quel Bambino, per quella figura scolpita dall'ombra che gli camminava
al fianco e sulla cui andatura cercava faticosamente di regolare il passo.
Non ne poteva veramente più. Il terreno
sassoso aveva a poco a poco ceduto ad un molle strato di sabbia; prima poche manciate
insinuatesi tra le zolle indurite dal freddo e i sassi denudati dal vento, poi
un tappeto soffice su cui era stato agevole camminare, e infine uno strato
alto, dove gli zoccoli sprofondavano e si appesantivano e non venivano più
fuori.
Ansimava; il sudore scendeva copioso giù
per la fronte, nonostante il freddo, e si raccoglieva in due rivoletti lungo
naso. Non sapeva che cosa fare, se lasciarsi cadere sfinito lì, sotto la volta
del cielo, o se continuare impazzito di dolore e di freddo, senza avere più
nozione, né di tempo, né di strada, finché la morte lo cogliesse e gli
irrigidisse il passo nell'ultimo sforzo.
Fra le due prospettive, la prima gli
sembrava infinitamente più desiderabile: doveva essere pur dolce lasciarsi
cadere sulla sabbia ad aspettare la morte come liberazione dal male, riempire
l'attesa con il ricordo di pigre giornate di sole, di terra smossa e odorosa,
di mosche fastidiose che era divertente scacchiare con subito fremere delle
membra. Anche il ricordo della pesante macina gli avrebbe fatto piacere, purché
potesse distendersi ad aspettare la morte.
Aveva deciso. Ma, prima di lasciarsi cadere
raccolse le forze per un ultimo raglio, l'addio alla vita. Al deserto, alla
volta celeste: pensò che tra poco le stelle sarebbero impallidite nei suoi
occhi spenti. Usò quanta forza gli rimaneva, e il raglio si alzò acuto, più
sonoro nel silenzio del deserto.
E fu allora, mentre le ginocchia già si
piegavano, mentre già assaporava la dolcezza di quella sabbia, pur fredda, che
udì il pianto cheto del Bambino, del Bambino che non aveva pianto per il
disagio dell'andare, non per il vento che si insinuava fin sotto le fasce, ma
piangeva per il raglio dell'asino che non voleva più soffrire.
Fu così, per quel pianto infantile, che il
ciuco scelse di continuare.
E andò, appesantito dalla sabbia, sferzato
dal vento, sotto la volta concava e scura del cielo, finché le stelle
impallidirono: e credette di sognare quando, nella luce ancora incerta, si
profilò la sagoma di un villaggio straniero.
Gli diedero un giaciglio di paglia fresca,
colmarono la greppia di fieno odoroso e l'acqua che versarono nell'abbeveratoio
della stalla rispecchiava, insieme alle travi rozze del soffitto, una lampada
lucente.
Ma non riuscì né a bere né a mangiare, per
lungo tempo; rimase disteso sulla paglia senza neppure goderne il contatto, né
vide l'immagine increspata della lampada nell'acqua dell'abbeveratoio. Ma
quando, risvegliatosi dal torpore di morte avvertì il profumo penetrante del
fascio di fieno nella mangiatoia e cercò di alzarsi, facendo forza sulle zampe
anteriori, vide - e lo vide lui solo - l'Angelo che aveva invitato alla fuga
Giuseppe.
Aspettava il suo risveglio, e lo aspettava lieto, come a ringraziarlo per quanto aveva fatto.
Aspettava il suo risveglio, e lo aspettava lieto, come a ringraziarlo per quanto aveva fatto.
Il ciuco si alzò del tutto, gli si avvicinò
tanto da essere nella sua stessa luce, coronato dalla sua stessa aureola:
allora soltanto, quando vide che l'Angelo non si ritraeva, che non rifiutava di
fasciarlo del suo stesso fulgore, raccolse tutto il coraggio, tutta la forza
che ancora gli restava nelle membra e, chinata la testa, chinatala fino a
terra, ebbe l'ardire di chiedere una ricompensa.
Chiese, piano: "Fa' che sia io a
riportarli indietro."
suor Ch. Augusta Lainati, clarissa
Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova, Italy
«Accogli…! Se offri un letto, non basta...! Al povero
che passa devi dirgli anche buonanotte, e se gli offri una minestra calda,
digli anche buon appetito, magari non dargli la minestra in un piatto di
plastica, ma introducilo in casa tua, e mettigli anche la tovaglia, e se hai un
po' di tempo ed esci nel giardino, e cogli un fiore, e metti pure un vasetto di
fiori è ancora meglio, perché non si vive solo di pane!
Il Signore e la Vergine Santa vi diano un cuore umano!
Un cuore capace di battere, con i problemi del mondo, con i problemi del fratello più povero, diano, a tutti quanti noi, una grande capacità di capire i problemi dell'altro.
Il Signore e la Vergine Santa vi diano un cuore umano!
Un cuore capace di battere, con i problemi del mondo, con i problemi del fratello più povero, diano, a tutti quanti noi, una grande capacità di capire i problemi dell'altro.
Vostro + don Tonino Bello
Firenze, Uffizi, Pala
Strozzi (Adorazione dei Magi)-Fuga in Egitto
«Se io non fossi cattolico e volessi trovare quale sia
oggi, nel mondo, la vera Chiesa, andrei in cerca dell'unica Chiesa che non va
d'accordo con il mondo. Andrei in cerca della Chiesa che è odiata dal mondo.
Infatti, se oggi nel mondo Cristo è in qualche Chiesa, Egli dev'essere tuttora
odiato come quando viveva sulla terra. Se dunque oggi vuoi trovare Cristo,
trova la Chiesa che non va d'accordo con il mondo... cerca quella Chiesa che i
mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero Cristo. Cerca
quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere
Cristo».
- Ven. Mons. Fulton J. Sheen -
- Ven. Mons. Fulton J. Sheen -
Predella (recto) - La fuga in Egitto, cm. 42,5 x 44, Museo dell'Opera del duomo, Siena
Le
lampade che noi accendiamo nelle notti buie di questa stagione
invernale diventano così a un tempo una consolazione e un richiamo: la
consolante certezza che la « luce del mondo » si è già accesa nell’oscurità
della notte di Betlemme; e che essa ha trasformato la notte sventurata del
peccato dell’uomo nella Notte Santa del perdono, in cui Dio ha accolto e sanato
quello stesso peccato.
- Papa
Benedetto XVI –