Quest'apostolo di Gesù si distinse in ogni occasione per
lo spessore della sua figura che non passava mai inosservata, anzi il più delle
volte dove c'era Pietro c'era scompiglio.
Alla morte del Maestro il suo zelo si raddoppiò e si
narra d'innumerevoli conversioni e miracoli da lui compiuti. Ora voglio
raccontarvi di come Pietro sfidò Simone il mago e come coinvolse Satana in
quest'impresa.
Simone viveva in un villaggio della Samaria dove era
conosciuto come "il mago", per alcuni poteri occulti appresi nei suoi
viaggi in Siria. In quelle terre lontane egli aveva studiato su antichi libri
l'alchimia delle lettere e dei numeri, così come il complicato cammino delle
stelle nei cieli.
Tutti avevano una gran reverenza per lui, considerandolo
una sorta di essere sovrannaturale, e il timore suscitato da quel suo
"sapere" misterioso aumentava l'alone di magia che lo avvolgeva.
Pietro e Simone si conobbero proprio in terra di Samaria,
dove l'apostolo si era recato per portare l'insegnamento di Gesù e soprattutto
per predicare ai nuovi battezzati la discesa, per suo tramite, dello Spirito
Santo su di loro.
Simone, che era fortemente attratto dalla conoscenza di
ogni nuova dottrina, rimase
affascinato dallo spettacolo di quell'uomo possente che,
ponendo le mani sulla testa dei battezzati, invocava a gran voce il potere di
questo Spirito divino. Il "mago" pensò quindi di avvicinare Pietro e
offrirgli del denaro affinché gli insegnasse come ottenere egli stesso quella
facoltà.
Potete immaginare la reazione del buon santo a quelle
parole. Per prima cosa fulminò Simone già con lo sguardo, poi lo ammonì
duramente con queste parole: «Come osi barattare un dono divino con del denaro?
Tu non hai nessuna facoltà né volontà personale; Dio elargisce gratuitamente
come, dove e quando vuole. Ora vattene e rifletti su quanto ti ho detto, perché
vedo in te legami malvagi che ti porteranno soltanto del male».
Come primo incontro non prometteva affatto bene e il
futuro non fece che confermare quanto questi due uomini fossero destinati a
contrapporsi.
Passato del tempo dal suo incontro con Pietro, Simone si
trasferì a Gerusalemme, dove ben presto acquistò grande fama di astrologo e
taumaturgo, tanto da farsi chiamare "la prima verità", promettendo ai
suoi seguaci addirittura l'immortalità. Si diceva in città che nulla gli fosse
impossibile: sia tramutare i metalli in materia animata come dar vita a pietre
e statue, sia far parlare gli animali come tramutarne la forma.
Il caso volle che anche san Pietro venne a trovarsi in
quella città, cosa che subito giunse alle orecchie di Simone. Così questi fece
in modo di incontrarsi con il santo, verso il quale aveva maturato in quegli
anni un'avversione sempre più profonda.
Pietro non cercava il contrasto con quell'uomo, ma non
era neppure disposto a inchinarsi di fronte al potere di una mente proterva e
astuta. Il giorno del loro incontro a Gerusalemme finse quindi di non ricordare
l'episodio di Samaria ma, conoscendo ormai l'animo di quell'uomo, già sapeva
che il suo precedente atteggiamento aveva scavato fra loro un solco
probabilmente incolmabile.
«Pace a voi, fratelli che amate la verità» disse
l'apostolo incrociando Simone e i suoi seguaci.
«Noi non abbiamo bisogno della tua pace» rispose pronto
il mago «dato che tra due che si combattono la pace nasce quando l'uno è vinto
e mi sembra che noi due siamo ancora vivi e vegeti».
«Come mai la parola pace ti spaventa tanto? Le battaglie
nascono dagli anfratti oscuri del male, ma dove vi sono una mente chiara e un
cuore saldo là vi è la pace» gli rispose Pietro.
«Non sprecare tante parole e guarda ciò di cui sono
capace». Così dicendo, Simone mise in atto alcuni dei suoi prodigiosi giochi di
magia.
Gli astanti si erano fermati con il fiato sospeso
chiedendosi cosa sarebbe successo. Pietro stesso, colto di sorpresa, non poté
che ammirare l'abilità di quell'uomo che sapeva servirsi sia della credulità
altrui sia dei segreti della natura in modo assai raffinato.
Il potere del santo andava però molto al di là di quanto
Simone pensasse, per il semplice motivo che non era lui a operare ma la forza
divina che lo attraversava senza trovare ostacoli, così come il vento passava
sul deserto.
Pietro non ebbe quindi grandi difficoltà a contrastare il
mago né a far sembrare scherzi da nulla i suoi complicati incantesimi finché,
sconfitto ancora una volta,
Simone preferì ritirarsi sdegnosamente.
La voce che il vecchio cristiano aveva tenuto testa a
Simone il mago fece il giro di tutta Gerusalemme, tanto che l'orgoglioso
incantatore di Samaria preferì lasciare la città per trasferirsi a Roma.
Indubbiamente Simone possedeva grande fascino e sapere,
egli conosceva l'arte di evocare i corpi sottili dell'uomo e di risvegliare le
forze nascoste nella materia inanimata, così come conosceva i nomi e le
abitazioni dei demoni, ma non aveva scoperto che ogni conoscenza umana è solo
un'illusione che facilmente si frantuma di fronte al mistero di Dio.
Passò ancora del tempo durante il quale il mago stupì
tutta Roma conquistando la fiducia dello stesso imperatore Nerone, mente i
cristiani combattevano la loro dura battaglia nel tentativo di dar voce
all'insegnamento del loro maestro.
Nella grande città della penisola italica giunse un
giorno anche Pietro, portandovi la sua autorità di apostolo di Gesù, testimone
diretto di fatti incredibili e depositario di insegnamenti segreti.
Il mago e il santo si trovavano di nuovo nello stesso
luogo, l'uno forte nella certezza delle proprie illusioni, l'altro pronto ad
accogliere ogni accadimento come pura espressione della volontà divina.
L'imperatore aveva trovato in Simone il più straordinario
degli indovini, affidandosi ormai completamente a lui per il buon andamento
della sua vita e per quella del popolo romano. Ogni mattina quindi il mago
scrutava le sue misteriose carte invocando il nome di oscure potenze affinché
vegliassero sul palazzo imperiale e sulla città.
Proprio una mattina, mentre era chino su quegli strani
segni, Simone intuì la presenza di Pietro. Lo vide chiaramente rientrare nella
sua vita come un turbine che scompaginava ogni cosa. Chiese allora alle carte
come comportarsi ma, per la prima volta, non riuscì a leggervi alcuna risposta.
Pietro fu ben presto informato del grande potere di cui
Simone il mago godeva presso l'imperatore; così, senza pensarci due volte,
decise di recarsi a palazzo per smascherare colui che manipolava le ombre
facendosi credere simile a Dio.
Il sant'uomo volle portare con sé l'amico Paolo, che da
più tempo dimorava in città, e sapeva quindi meglio destreggiarsi tra le
complicate burocrazie di palazzo. Insieme chiesero udienza e quindi, giunti al
cospetto del grande Nerone, gli spiegarono il motivo della loro presenza.
Se raccontassimo una storia normale, a questo punto
l'imperatore avrebbe dovuto scacciare, anzi addirittura arrestare, i due
impudenti che osavano interferire nell'operato del suo prezioso indovino, ma
nel nostro caso il corso degli eventi doveva prendere una strada inusuale
perché così era già stato stabilito.
La curiosità s'insinuò quindi nella mente
dell'imperatore, che decise di accontentare quei due "buffoni" e far
chiamare il mago.
«Se, come tu affermi, attraverso le sue opere la divinità
si manifesta in lui» gli disse Pietro, «allora ordinagli di svelarti quello che
io penso e che rivelerò solo a te segretamente».
Dal canto suo Simone si era già preparato a quell'incontro,
passando più di una notte in profonda meditazione per permettere alla sua mente
di fronteggiare senza
cedimenti l'incontro con l'odiato palestinese. Aveva più
volte sfogliato i testi di magia, soffermandosi a lungo sulle pagine dedicate
alle invocazioni più potenti, conscio di doversi confrontare con una potenza in
parte a lui sconosciuta, della quale non riusciva a decifrare l'origine.
Giunse quindi a palazzo protetto da uno scudo di forza
impenetrabile che si palesava nello sguardo cupo e fiero, chinò lievemente il
capo in un cenno di saluto per l'imperatore e ignorò l'uomo che lo aveva
chiamato in campo.
Nerone si rivolse al mago, sicuro che presto avrebbe
avuto un'ulteriore conferma della sua natura divina: «Simone, quest'uomo
afferma che nessun potere sovrannaturale opera in te e che solo l'abilità di
manipolare forze presenti nella tua mente ti rende capace di plasmare ciò che
ti circonda. Ora io ti chiedo di dimostrare che questa non è la verità e che il
Dio, per conto del quale quest'uomo afferma di parlare, nulla può contro di
te».
Così dicendo, fece cenno a Pietro di avvicinarsi e di
bisbigliargli all'orecchio quello che pensava. Il santo formulò allora
segretamente questa strana richiesta all'imperatore: «Fammi portare tre pani
d'orzo senza che nessuno veda».
La richiesta venne esaudita e un servo chiamò in disparte
Pietro dandogli le pagnotte, che lui subito benedisse con un gesto veloce della
mano e una breve preghiera, nascondendole poi nell'ampia manica della tunica.
L'apostolo rientrò quindi nella sala e affrontò
direttamente il mago: «Dimmi tu adesso quello che ho pensato, detto e fatto».
«Dica prima Pietro quello che ho pensato io» rispose
Simone.
«Quello che tu hai pensato non vi è necessità che io lo
dica; basterà il mio comportamento per dimostrare che so quello che è passato
nella tua mente.»
Allora Simone con voce tonante urlò quest'invocazione:
«Per il potere che Dio mi concede vengano i cani e si avventino su costui,
sbranandolo all'istante!».
Fra le grida generali apparvero nella sala tre enormi
cani neri che ringhiando e sbavando si avventarono su Pietro. Questi fu pronto
però a estrarre dalla manica i pani benedetti e a lanciarli verso le fauci
delle belve che, con latrati spaventosi, fuggirono scomparendo alla vista degli
astanti.
«Ecco come ho dimostrato, non con le parole ma con i
fatti, di aver previsto quello che Simone aveva escogitato contro di me» disse
Pietro rivolto all'imperatore che, ancora tremante per la spaventosa scena, si
aggrappava ai braccioli del suo scranno.
Il mago era livido per la rabbia e l'umiliazione subita.
Non voleva a nessun costo ammettere che quell'uomo, contro il quale aveva
giurato vendetta, fosse realmente portatore dello Spirito Santo, così come egli
predicava quel lontano giorno in Samaria.
Pensò allora di giocare la sua carta più potente
rivolgendosi all'imperatore e alla folla radunatasi tutt'attorno: «Ho sempre
protetto la città di Roma e il suo imperatore, ma ora voi tutti mi ripagate
lasciando che questo sciocco palestinese si faccia beffe di me con qualche
misero trucco. La terra non merita la mia divina presenza; quindi domani,
nell'ora in cui il sole sarà allo zenit, io la lascerò salendo sulla torre più
alta e volando verso il cielo, così voi mi perderete per sempre».
Quella notte Pietro fu assalito dall'angoscia più
profonda: avrebbe preferito portare a Dio quell'uomo piuttosto che perderlo, ma
lasciò alla divina Saggezza ogni scelta.
Da parte sua il mago non volle ascoltare i molti segni
che avevano attraversato la sua vita, preferendo aggrapparsi a quello che
credeva il signore supremo: Satana.
Il giorno seguente, l'imperatore e tutta la popolazione
romana attesero l'ora stabilita, radunandosi sotto la più alta torre del
Campidoglio. Ed ecco che d'improvviso il mago apparve proprio sulla sua cima
nel preciso istante in cui il sole si trovava perpendicolarmente sopra di essa.
Abbacinati dallo splendore di quella luce, tutti
guardavano verso l'uomo sulla torre, che sembrava davvero l'incarnazione di un
dio sfolgorante di gloria. Simone allargò le braccia e si lasciò scivolare
nell'aria come in un mare tranquillo. Tra lo stupore di tutti egli cominciò a
roteare sopra di loro scrutandoli con occhi rapaci come un'aquila possente
sopra dei pulcini.
Nerone si voltò verso Pietro e Paolo che osservavano in
silenzio: «Guardate! Quest'uomo è nella verità e voi non siete altro che
cialtroni al servizio di qualche ingannatrice divinità degli inferi».
Paolo guardò allora l'amico che sembrava indugiare,
chiedendosi per quale motivo non ponesse fine a quella terribile situazione in
cui cielo e terra pareva stessero rabbrividendo sferzati da una forza maligna.
Solo allora Pietro sembrò scuotersi da un'immobilità
simile alla morte. Alzando un braccio e puntando l'indice verso il mago,
pronunciò queste parole: «Angeli di Satana che sorreggete nell'aria con le
vostre ali quest'uomo, io vi intimo nel nome di Gesù Cristo, scintilla del
Principio divino, di ubbidire alla Legge e lasciarlo al suo destino, così come
è scritto».
Nell'attimo stesso in cui l'ultima parola fu pronunciata,
Simone il mago crollò al suolo e morì.
Quell'istante avrebbe potuto segnare la gloria di Pietro
e del popolo cristiano, ma ciò non avvenne perché ancora così non era scritto.
Dalla Leggenda aurea
da: "Leggende Cristiane. Storie
straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura
di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A.