Gaspare,
Baldassare e Melchiorre decisero di partire per Gerusalemme. Anche Artibano, si
preparò per il viaggio. Vendette tutti i suoi beni e acquistò uno zaffiro, un
rubino e una perla da portare al Re e, montato in sella al velocissimo Vosda,
galoppò verso Borsippa. Attraversò boschi, guadò fiumi, s'inerpicò per colline
e montagne, quando a una svolta pericolosa trovò un moribondo abbandonato sulla
strada.
Artibano
saltò dal suo corsiero e, caricatosi l'infelice sulle spalle, lo adagiò sotto
una palma, gli bagnò le labbra riarse, lo ristorò e il moribondo dopo qualche
tempo aprì gli occhi. «Voglia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe
ricompensarti - disse - faccia prosperare il tuo viaggio fino a Betlemme,
perché è lì che deve nascere il Messia, che tu vai cercando».
Artibano
si rimise in cammino verso la mezzanotte... e alle prime luci dell'undicesimo
giorno entrò in Borsippa, ma non trova i compagni. Essi avevano atteso 10
giorni, poi erano partiti lasciandogli un messaggio: «T'abbiamo aspettato sino
alla mezzanotte..., seguici attraverso il deserto».
Artibano,
allora, vende lo zaffiro, appalta una carovana e riprende il viaggio
affrontando i pericoli e i disagi del deserto.
Giunse
a Betlemme dopo tre giorni che i suoi compagni avevano deposto ai piedi del Re
l'oro, l'incenso e la mirra... ed erano ripartiti per un'altra via.
Il
villaggio pareva deserto: gli uomini erano nei campi e i ragazzi al pascolo
delle greggi. Dalla parte di una casupola sulla strada udì una flebile nenia.
Entrato vide una giovane madre. La donna ospitò il forestiero, ristorandolo e
parlandogli di tre stranieri, vestiti come lui, giunti dall'Oriente poco prima,
guidati da una stella al luogo dove abitava Giuseppe, la sua sposa e il
Bambino. Essi l'avevano adorato lasciandogli in omaggio ricchi doni; ma poi
erano spariti misteriosamente, come pure, in segreto, la notte successiva
scomparve la Famiglia di Nazareth, dirigendosi forse in Egitto.
Artibano
si diresse allora verso Ebron alla volta dell'Egitto. Egli sperava di
raggiungere la Sacra Famiglia nelle oasi del deserto, sotto le palme o i
sicomori, ma invano. Si spinse fino a Elaiopoli e a Menfi; percorse le rive
fiorite dei Nilo, si aggirò tra le Piramidi dei Faraoni, all'ombra della
sfinge; ma le sue ricerche non approdarono a nulla.
Scoraggiato
e deluso tornò in Palestina nella speranza di poterli trovare. Dopo alcuni anni
di peregrinazioni si rivolse ad un rabbino perché gli indicasse in quali
paraggi avrebbe potuto incontrare il Messia. Il rabbino, preso un papiro,
lesse: «Il Messia conviene cercarlo tra i poveri, tra gli umili, tra i
sofferenti e gli oppressi».
A
tali parole, Artibano vendette il rubino e si diede a nutrire gli affamati, a
rivestire gli ignudi, a curare gli infermi, a visitare i carcerati. Passarono
così trentatré anni da quando era partito in cerca della «Vera Luce». I suoi
capelli, allora di un bel nero lucido, si erano fatti bianchi. Lacero ed
esausto, ma tuttora in cerca del Re, era tornato per l'ultima volta a
Gerusalemme nel periodo della Pasqua.
La
città santa brulicava di gente, venuta dalle terre più lontane alla festa del
Tempio. Era il venerdì della Parasceve... e nella folla si notava un'agitazione
particolare. Egli, imbattutosi in un gruppo, domandò la causa del tumulto e
dove andavano tutti. «Noi andiamo - risposero - al luogo dei Teschio fuori le
mura, dove c'è la crocifissione di due malfattori e di un altro chiamato Gesù
di Nazareth, il quale ha fatto molte opere prodigiose in mezzo al popolo ed ora
è messo a morte perché si dice Figlio di Dio e Re dei Giudei».
Artibano
pensò fra sé: «Non potrebbe essere quel Gesù, nato a Betlemme trentatré anni
fa? Che abbia trovato finalmente il mio Re nelle mani dei suoi nemici? Arriverò
in tempo almeno per offrire la mia perla per il suo riscatto, prima che Egli
muoia?».
Così
il buon vecchio seguì la moltitudine, quando, lungo la salita, una fanciulla di
Ecbatana, riconosciutolo dal costume per suo connazionale, gli si avvicinò
scongiurandolo in ginocchio: «Per amore del Dio della Purezza, abbi pietà di
me; sono una misera schiava della tua stessa fede; salvami, ridandomi la
libertà».
Il
vecchio, non possedendo che un'unica perla, la consegnò alla sventurata
concittadina per il suo riscatto.
Improvvisamente
si udì un boato; la terra sussulta; il cielo si oscura; le mura delle case si
spalancano e crollano; nuvole di polvere riempiono l'aria; soldati e popolo
fuggono terrorizzati.
Artibano
e la fanciulla si rifugiano sotto i loggiati del Pretorio. Una nuova scossa di
terremoto, più violenta, fa cadere una pietra contro le tempie di Artibano, che
traballa pallido, esanime.
La
ragazza lo sostiene con le sue braccia, mentre il sangue scorre a rivoli dalla
ferita. Non è morto, lo si sente pronunziare queste estreme parole: «Non così o
mio Signore... quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? Assetato e ti porsi da
bere? Quando mai ti vidi forestiero e ti ospitai? In carcere e ti visitai? Nudo
e ti rivestii? Per ben trentatré anni ti ho cercato ansiosamente, ma non ho mai
avuto la soddisfazione di poter contemplare il tuo volto, né di renderti il
minimo servizio, o mio dolce Re!».
Artibano
cessò di parlare. Ma un'altra voce si fece udire a suo conforto: «In verità in
verità ti dico, che ogni volta che tu hai fatto ciò ai tuoi simili, ai miei
fratelli, tu l'hai fatto a me». Un grande respiro di sollievo gli uscì dalle
labbra. Egli aveva finito il suo lungo viaggio. I suoi doni erano stati
veramente graditi. Artibano, il quarto dei Magi aveva finalmente trovato il Re.
- Henry van Dyke -
The Story of the Other Wise Man
Maria come
fiocco di neve
Maria,
buona madre,
come fiocco di neve,
hai viaggiato tutta la notte,
cercando un'improbabile alloggio,
proprio tu che sentivi
il Cristo muoversi in te.
Nell'aria della sera ho sentito
il tuo profumo,
nello zaino la tua fatica,
nello sguardo dei miei anni,
la tua dolcezza.
Le tue mani affaticate,
hanno sorretto le mie pene,
il tuo cuore,
è stato pieno della mia ansia.
Ti ringrazio, Maria,
perché mi hai fatto gustare
il piacere delle piccole cose,
della neve fresca
che si sgretolava sotto i miei piedi,
della gelida carezza del vento,
del fuoco che si è fuso con la mia anima.
Ti ringrazio, perché mi hai dato
qualcuno con cui parlare,
qualcuno a cui pensare.
Ti ringrazio, per le gioie,
ma ancor più per i dolori,
per le speranze,
ancor più per le delusioni,
la sete, la fame,
il freddo, la stanchezza.
Ti dono tutti i momenti
di dolce struggimento
passati davanti ad un fuoco
e le lacrime penose
della mia anima.
Ti ringrazio perché
negli altri
ho ritrovato Dio.
Angelo, Rover di 19 anni
Buona giornata a tutti :-)