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sabato 19 agosto 2017

da: "Ultime lettere di Jacopo Ortis" - Ugo Foscolo

29 Maggio, a sera 
Fuggir dunque, fuggire: ma dove? credimi, io mi sento malato: appena reggo questo mio corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi e bere un altro sorso di vita, forse ultimo - ma senz'essa vorrei più questo inferno? 
Dianzi l'ho salutata per andarmene; non rispose - scesi le scale; ma non poteva scostarmi dal suo giardino: e - lo credi? 
La sua vista mi dà soggezione. 
Vedendola poi scendere con sua sorella ho tentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. 
La Isabellina ha gridato: Viscere mie, viscere mie, non ci avete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono precipitato sopra un sedile; la ragazza mi s'è gettata al collo carezzandomi, e dicendomi all'orecchio: Perché taci sempre? Non so se Teresa m'abbia guardato; sparì dentro un viale. 
Dopo mezz'ora tornò a chiamare la ragazza che stava ancora fra le mie ginocchia, e m'accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma mi ammazzò con un'occhiata quasi volesse dirmi: Tu mi hai ridotta così.



(Ugo Foscolo)
Fonte: "Le ultime lettere di Jacopo Ortis"




12 novembre.

Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul monte rimpetto la chiesa. 
Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello; ma i cipressi ch’esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l’acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo salutato dal sole quando splendidamente comparirà dalle cime de’ monti. 
E jeri appunto il sole più sereno del solito riscaldava l’aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzodì co’ loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella; tale la figliuola, e tal altra la innamorata di alcuno de’ lavoratori; e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorchè si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per antica tradizione de’ loro avi e bisavi che senza il giolito de’ bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera. 
— Frattanto io mi vagheggiava nel lontano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a’ raggi del sole, sì caro a’ vecchi: salutando, mentre usciranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne’ dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra, e compiacendomi delle frutta che, benchè tarde, avranno prodotti gli alberi piantati dal padre mio. 
Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a’ miei e a’ tuoi nepotini, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. 
E quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto allora mai ricco ed ombroso, forse nelle sere d’estate al patetico susurrar delle fronde si un ranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de’ morti pregheranno pace allo spirito dell’uomo dabbene, e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. 
E se talvolta lo stanco mietitore verrà a ristorarsi dall’arsura di giugno, esclamerà guardando la mia fossa: Egli egli innalzò queste fresche ombre ospitali! 
— O illusioni! e chi non ha patria, come può dire lascerò qua o là le mie ceneri?

                               O fortunati! e ciascuno era certo
                            Della sua sepoltura; ed ancor nullo
                               Era, per Francia, talamo deserto.
                                   Dante, Parad., XV.



(Ugo Foscolo)
Fonte: "Le ultime lettere di Jacopo Ortis"




Buona giornata :-)