Il mio pensiero ogni notte varca il reticolato: lo so,
ti riesce difficile figurarti il mio pensiero che varca il reticolato. Il
pensiero è un soffio di niente e non ha volto: e allora figurati se io stesso,
ogni notte, esca dal recinto. Figurati un Giovannino leggero come un sogno e
trasparente come il vento delle serenissime e gelide notti invernali. Io, ogni
notte, approfitto del sonno degli altri e mi affido all'aria e trasvolo rapido
gli sconfinati silenzi di terre straniere e città sconosciute. Tutto è buio e
triste sotto di me, e io affannosamente vado cercando luce e serenità. Rivedo
la Madonnina del Duomo, ma le strade e le piazze non sono più quelle di un
tempo, e stento a ritrovare il nostro quarto piano. Signora, non dire che sono
il solito temerario se entro in casa dal tetto: anzi, loda la mia prudenza se
non mi avventuro lungo le macerie della scala. E poi il tetto è scoperchiato e
si fa più presto. Riconosco lo scheletro delle nostre stanze e ricerco i nostri
ricordi nascosti sotto i rottami dei muri crollati. Tutto è buio, freddo e triste
anche qui, e soltanto se la luna mi assiste riesco a scoprire sui brandelli
delle tappezzerie che ancora pendono alle pareti, i riquadri chiari e la
topografia dei nostri mobili. Per le strade deserte, cammina soltanto la paura
vestita di luna. [...]
Signora, io cerco un po' di luce, un po' di tiepida
serenità, e invece non trovo che buio e freddo, e non posso ravvisare nel buio
il volto di mio figlio, e sui laghi e sulle spiagge tutto è spento e
abbandonato, tutto è silenzio, e io rinavigo verso il recinto e torno al mio
pagliericcio portando il gelo nelle ossa del numero 6865. Signora, bisogna che,
almeno la notte di Natale, il mio pensiero, fuggendo dal recinto, possa trovare
un angolo tiepido e luminoso in cui sostare. Voglio tanta luce: voglio rivedere
il vostro volto, voglio rivedere il volto dell'antica serenità. Altrimenti che
gusto c'è a fare il prigioniero?
Giovannino Guareschi, da Diario Clandestino 1943-1945
(Appunti per una sera della Vigilia
"normale", nonostante la prigionia)
"Cercando di pensare a quello che di buono accade dentro di noi, sir"
"Dici che possa bastare il cuore a salvare questa festa?"
"Dico che nessun Natale è sprecato se dona la forza e la voglia di cambiare, sir"
"Che sia un Natale di rinascita per tutti, Lloyd"
"Che lo sia davvero... sir"
Simone Tempia ~ Vita con Lloyd
Il miracolo del 25 dicembre 1914: La
tregua di Natale
«Non dimenticherò quello strano e unico
giorno di Natale per niente al mondo... Notai un ufficiale tedesco, una specie
di tenente credo, ed essendo io un po' collezionista gli dissi che avevo perso
la testa per alcuni dei suoi bottoni [della divisa]... Presi la mia tronchesina
e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in
tasca. Poi gli diedi due dei miei bottoni in cambio... Da ultimo vidi uno dei
miei mitraglieri, che nella vita civile era una sorta di barbiere amatoriale,
intento a tagliare i capelli innaturalmente lunghi di un docile "Boche",
che rimase pazientemente inginocchiato a terra mentre la macchinetta si
insinuava dietro il suo collo»
«È stato il Natale più meraviglioso che
io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e
mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a
urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un
sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono
incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua
fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla
mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i
tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco
e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti
accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. È stato un momento
meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale,
freddo e con le notti brillanti per la luna e le stelle».
1914, il primo Natale della Grande
Guerra, gli eserciti inglese e tedesco si preparano a passare la notte di
Natale in trincea. Ma un soldato si mette a cantare Stille Nacht e tutti lo
seguono. Spontaneamente i soldati decidono una tregua. Fu un’iniziativa presa
dal basso, dai soldati in trincea, che il 25 dicembre uscirono spontaneamente
allo scoperto in alcune zone del fronte occidentale per andare a salutare e a
fare gli auguri ai «nemici» senza che ci fosse, da parte dei comandi, alcun via
libera. Anzi, proprio il contrario. Quando la notizia si diffuse grazie alle
lettere dei soldati alle famiglie, i vertici militari di entrambi i contendenti
si affrettarono a proibire altre iniziative simili: il generale Horace Smith Dorrien,
comandante del secondo corpo d’armata della Bef, la forza di spedizione
britannica in Francia, arrivò a minacciare la corte marziale per chi si fosse
reso colpevole di fraternizzazione. Il «miracolo» del Natale 1914, di due
avversari che dimenticano l’odio per unirsi in un abbraccio fraterno, rimase un
fatto quasi isolato (ci sono poi stati altri episodi di «vivi e lascia vivere»
ma mai più così eclatanti) e ben presto trascolorò nel mito, tanto più quando
il sentimento popolare degli europei nei confronti della Grande Guerra cambiò
di segno: non più glorioso fatto d’arme ma massacro insensato, che aveva
spazzato via una generazione. La tregua di Natale venne quindi vista come la
dimostrazione che gli uomini sono fondamentalmente buoni e che erano stati
spinti alla guerra da governi stupidi e irresponsabili, tanto che appena liberi
di farlo avevano scelto la pace e la fratellanza.
dal web Getty image
Nessun commento:
Posta un commento