«Abbiamo inquadrato la croce nella cornice della sapienza umana, ma non ce la siamo piantata nel cuore ».
Vi dispiace se, per più di una volta, fermerò la vostra attenzione sul « legno dolcissimo » della croce che noi, come dice Claudel, non siamo chiamati a piallare, ma sul quale siamo chiamati a salire?
Ascoltatemi, allora. E perdonatemi se parlo con immagini: è perché si fissi più profondamente nell’anima lo spessore dei nostri tradimenti.
Se è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano, dobbiamo fare attenzione a un grosso pericolo che stiamo correndo: quello che san Paolo, scrivendo ai Corinzi, chiama l’evacuazione della croce.
Che non significa disprezzo della croce, o rifiuto della croce, o irrisione della croce. No.
Non c’è nessuno di noi che non parli con eloquenza del «legno santo», o che in Quaresima non canti con tutta l’anima il «Vexilla regis», o che nel venerdì santo non intoni l’inno alla «Crux fidelis ».
La croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive.
Ma noi vi giriamo al largo. Troppo al largo.
Prendiamo una extramurale lontanissima dal colle dove essa s’innalza.
E’ come quando, in viaggio, si sfiora una città passando dalla tangenziale. Mentre l’automobile corre sulla strada, si dà ogni tanto un’occhiata ai campanili che si ergono e alle torri che svettano. Ma poi tutto finisce lì.
Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario.
Non s’inerpica sui tornanti del Golgota.
Passa di striscio dalle pendici del luogo del cranio.
Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo «inquadrata» nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola.
L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore.
Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte.
Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica.
L’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. E’ un albero nobile che cresce su zolle recintate.
Nel centro storico delle nostre memorie religiose.
All’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Dobbiamo ammetterlo con amarezza. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario.
Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!
(+don Tonino Bello)
Fonte: Alla finestra della speranza di don Tonino Bello
Dobbiamo impegnarci in scelte di percorso, in tabelle di marcia: non possiamo parlare di pace indicando le tappe ultime e saltando le intermedie!
Se non siamo capaci di piccoli perdoni quotidiani fra individuo e individuo, tra familiari, tra comunità e comunità... è tutto inutile!
La pace non è soltanto un pio sospiro, un gemito favoloso, un pensiero romantico... è, soprattutto, prassi.
+Don Tonino Bello
Il cristiano è colui che non fa mai prevalere il lamento sulla danza, nel senso che lascia emergere le ragioni della speranza anche dove sono percettibili i segni della morte.
Però deve volgere costantemente lo sguardo, con occhio critico e realista, anche sui flutti che insidiano l'arca della vita.
- +don Tonino Bello -
L’ingresso in Gerusalemme
L’ingresso in Gerusalemme…
Essi pensavano: "Ecco il trionfo!"
e lui invece sapeva "Ecco la mia fine!".
Questo isolamento appartiene
essenzialmente alla sofferenza di Cristo,
come sofferenza dell’anima:
questa solitaria consapevolezza
di comprendere tutti i segni
contrariamente all’apparenza!...
Cristo sente nel giubilo l’inizio della fine.
Ma a che serve spiegare simili cose agli uomini?
Essi forse le imparano a memoria
come una filastrocca, senza comprenderle.
Per comprenderle, bisogna essere
profondamente iniziati alle sofferenze,
essere uomini amanti del silenzio;
sì, tanto amanti del silenzio
da aver oramai capito che le chiacchiere,
le scemenze, l’affaccendarsi hanno sempre il sopravvento.
(Soren Kierkegaard)
Il mistero della Passione, Antologia dal diario, a cura di Tito Di Stefano
"Il Calvario è lo scrigno nel quale si concentra tutto l’amore di Dio.
La Croce è la manifestazione, è l’epifania più alta dell’Amore di Dio per noi. Ha mandato Suo Figlio sulla Croce perché ci togliesse i peccati, ci redimesse, ci rendesse puri.
Il Calvario non è soltanto la fontana della carità, non è soltanto l’acquedotto della speranza, ma è anche la sorgente della fede".
(+ don Tonino Bello)
Oggi è giorno di dolore, preghiera e digiuno.
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