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lunedì 12 novembre 2012

San Martino, soldato di Cristo e difensore del popolo – biografia


Nato a Sabaria Sicca, nell’attuale Ungheria, nel 316-317, conobbe il cristianesimo in giovane età frequentando le riunioni delle comunità di Pavia, contro la volontà dei genitori pagani. All’età di 15 anni, essendo figlio di un ufficiale romano, fu costretto ad arruolarsi nell’esercito e venne quindi inviato a prestar servizio in Gallia. Il giovane Martino era noto tra i soldati per la sua generosità e bontà d’animo, si racconta che alla vista di un povero il suo animo si infuocasse e il suo cuore ardeva di un’indomabile carità tanto da dimenticare il suo ruolo e i suoi compiti.
Il  gesto, che tutti conosco, del tagliare il proprio mantello per darne la metà a un povero, per il quale il santo è conosciuto in tutto il mondo, in realtà fu solamente il primo di una serie e nemmeno il più eclatante. La sua importanza è data dal fatto che segnò il momento decisivo della sua conversione; dopo quel giorno, infatti, Martino, già catecumeno, decise di farsi battezzare (339).
La carità che mostrava verso i più deboli e gli emarginati della società, che Martino difendeva energicamente contro i soprusi e le ingiustizie arrecate dal fisco romano, spiega l’ampia diffusione del suo culto dopo la morte, ma anche la grande popolarità di cui godeva già in vita, tanto che nel 371 fu nominato vescovo di Tours a furor di popolo.

Nemmeno da Vescovo tale ardore si quietò, come narra la Legenda Aurea. Diciassette anni dopo aver ricevuto il battesimo decise di lasciare l’esercito per divenire, come lui stesso disse, “soldato di Cristo” e qui avvenne il primo miracolo attribuito al Santo. Nel 354 Martino si trovava con l’esercito romano sulle rive del Reno per affrontare gli Alamanni; la sera precedente lo scontro Martino rifiutò il compenso anticipato per la battaglia dichiarando di voler lasciare l’esercito, fu allora accusato di tradimento e codardia, messo in prigione e minacciato d’esser giustiziato, ma il santo rispose che il giorno seguente si sarebbe presentato in campo di battaglia armato del solo “segno della croce”.

Il giorno seguente, all’alba, fu mandato in catene da solo davanti alle truppe romane e proprio in quel momento sopraggiunse un emissario nemico con una richiesta di pace, tutti gridarono al miracolo e Martino fu lasciato libero di andarsene. Da quel giorno in poi la volontà di Dio cominciò a prender forma. Lasciato l’esercito si recò da sant’Ilario, Vescovo di Poitiers, che conobbe precedentemente, dal quale ricevette un’adeguata istruzione e la nomina di esorcista; strenuo oppositore dell’arianesimo fu per questo motivo fustigato e cacciato dalla Francia, prima, e da Milano, poi, dunque, si ritirò sull’isola di Gallinara dove visse alcuni anni da eremita, dove ebbe modo di immergersi anima e corpo nella preghiera e nella meditazione; nel 360, rientrato a Poiters, fu consacrato sacerdote.

Quello che più colpiva di lui era l’audacia e il coraggio dimostrato nella predicazione, non avendo paura nemmeno di ammonire imperatori e regnanti; quando, dinnanzi a folle di pagani, faceva abbattere un albero sacro, per dimostrare la potenza di Dio, si metteva nella traiettoria di caduta dell’albero che all’improvviso cambiava direzione tra gli sguardi stupefatti dei presenti. La fama che andava seminando al suo passaggio lo resero ben presto noto in tutto l’impero.
 
La vita di San Martino, narrata nell’opera Vita sancti Martini di Venanzio Fortunato, fu caratterizzata da uno zelo pressoché unico per l’evangelizzazione, la difesa delle classi più abbienti e da un’impressionante numero di miracoli.

Nel corso di quello che erroneamente venne chiamato Concilio di Màcon, nel 585, che in realtà fu un sinodo di prelati francesi, venne stabilito giorno di festa non lavorativo l’11 novembre, data che fa riferimento alla sepoltura del santo vescovo. Oggi la festa di San Martino, grazie proprio a questa sua straordinaria fama tra il popolo, è diffusa in tutto l’Occidente.

San Martino, vescovo di Tours, protettore dei mendicanti, è il santo più popolare che la Francia abbia mai avuto nella storia, uno tra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa Cattolica, venerato anche dalla Chiesa Ortodossa e da quella Copta, considerato padre del monachesimo e l’evangelizzatore delle Gallie per eccellenza.

Nel corso del suo ministero operò talmente tanti miracoli da non poter essere elencati, mise in fuga per ben due volte il demonio, resuscitò due morti, smascherò falsi profeti, operò numerosissime guarigioni, anche a distanza, tra cui San Paolino di Nola, convertì folle sterminate di pagani, compresa la madre, e battezzò interi villaggi; fu il primo vescovo ad uscire dalle mura cittadine, inaugurando l’evangelizzazione nelle campagne, fondò numerosissime Chiese e monasteri, tra cui quello di Ligugé, considerato il più antico monastero d’Europa, e moltissime parrocchie rurali, che tornerà a visitare abitualmente, inaugurando le visite episcopali.

Un anno dopo la sua elezione a vescovo, dopo aver constatato che molte delle eresie correnti erano dovute alla diffusa ignoranza in materia dottrinale tra i cosiddetti “preti di campagna”, fondò l’abazia Majus Monasterium, oggi conosciuta come abazia di Marmoutier, che altro non era che una sorta di “scuola di formazione” dottrinale e spirituale per i chierici della Gallia. Attualmente sono migliaia le Chiese dedicate a lui in tutto il mondo, centinaia di paesi e villaggi portano il suo nome e il suo culto è diffuso in tutto il mondo Occidentale.

Dopo la sua morte a Tours venne eretta la più grande ed imponente basilica che la Francia avesse mai avuto all’epoca, che divenne da subito meta di pellegrinaggi (saccheggiata e data alle fiamme dai protestanti nel 1562 e demolita nel corso della Rivoluzione francese, venne ricostruita e consacrata nel 1925).

Nelle Fiandre, in Germania e in Austria, ma anche in regioni italiane come l’Alto Adige, l’ 11 novembre  viene organizzata una lunga processione composta da bambini che, ognuno con una lanterna in mano, in ricordo della fiaccolata in barca che accompagnò la traslazione del corpo, procedono cantando canzoni sul santo.

Nei paesi del Nord Europa è tradizione mangiare un’oca arrostita, in ricordo del divertente aneddoto sull’elezione episcopale di Martino; si racconta che il santo, essendo un uomo di grande umiltà, era restio a diventare vescovo e, venuto a sapere della sua nomina, per non farsi trovare si nascose in una stalla piena d’oche presso un convento, ma il rumore provocato da quest’ultime rivelarono il nascondiglio alla gente che lo stava cercando.

l’ 11 di novembre a San Martino in Rio, a Reggio-Emilia, un corteo storico sfila per le vie della città mettendo in scena le gesta più famose del Santo; mentre a Scanno, in Abruzzo, vengono accese, in ogni contrada, le cosiddette “glorie di San Martino”, grandi cataste di legna preparate nel pomeriggio dello stesso giorno, attorno alle quali i ragazzi, con il viso cosparso di fuliggine, ballano e cantano agitando campanacci e altri oggetti rumorosi.

A Venezia, dove è conservata una tibia del santo, gruppi di bambini si aggirano per le calli e i campi della città chiedendo la questua ad ogni negozio, bar, ristorante del centro storico cantando canzoni e filastrocche in dialetto veneziano dedicate al santo, accompagnandosi con vecchie pentole, mestoli e padelle. In origine con i soldi guadagnati si andava a comperare il tradizionale San Martino, un dolce di pastafrolla cosparso di glassa colorata, praline e cioccolatini, raffigurante il Santo in sella al suo cavallo con la spada sguainata.

È interessante notare come in ogni paese venga ricordato il Santo e, soprattutto, come il suo culto abbia forgiato un vero e proprio sapere radicatosi nella cultura popolare, che ha dato origine a tradizioni, massime e proverbi in uso ancora oggi; l’affermazione “far San Martin”, ad esempio, deriva dal fatto che tradizionalmente, nelle campagne venete, novembre era il mese in cui finiva l’anno lavorativo dei contadini e si rinnovavano i contratti se il padrone lo richiedeva, altrimenti si doveva cercare impiego presso altri proprietari, da qui il significato del detto “far San Martin”, ossia, traslocare; nei primi giorni di novembre.

Inoltre, è tradizione aprire le botti e assaggiare il vino novello, accompagnandolo con i frutti di stagione, in particolare le castagne, raccolte per l’occasione, da ciò deriva il detto“a San Martino ogni mosto diventa vino!”. “Estate di san Martino”, invece, è un’espressione usata per indicare le belle giornate nel mese di novembre, in quanto si racconta che il giovane Martino mentre si avviava sulla strada di ritorno in groppa al suo cavallo, dopo aver consegnato la metà del suo mantello al mendicante, il clima cambiò improvvisamente, smise di piovere e le nuvole si diradarono lasciando apparire un sole splendente che riscaldò l’intera giornata, tanto che il santo dovette togliersi il resto del mantello che portava addosso tanto fece caldo.
 
Questi sono solo alcuni semplici esempi di cosa significa quando si afferma che l’Europa fonda le proprie “radici” nel cristianesimo.

 
Dalla cappa di San Martino ai cappellani, il passo è breve.  
Che fine ha fatto la cappa di San Martino?

Mantello, in latino, si dice cappa. Ma trattandosi del mantello corto dei militari si parlava, al diminutivo, di cappella (cappa corta).

Questa cappella venne conservata come insigne reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi.
I Franchi la portavano come stendardo in guerra, davanti alle truppe, fidando nella protezione del santo patrono.
Da Carlomagno la cappa di san Martino venne inviata all'oratorio palatino di Aquisgrana, che da allora si chiamerà, in francese Aix-la-chapelle (Aachen, in tedesco). Infatti, il termine latino, dal significare la reliquia del mantello di san Martino, passò per estensione ad indicare l'oratorio che la conteneva; le persone incaricate di conservare tale insigne reliquia vennero chiamate: "cappellani"!

E fu così la chiesetta del palazzo reale di Carlomagno divenne una "cappella" in senso moderno.

Il nome, in seguito, identificherà per ulteriore estensione tutte le chiesette e saranno chiamati cappellani tutti i sacerdoti ad esse preposti, anche se non avevano più nulla a che fare con il prodigioso indumento del santo vescovo di Tours.
Dalla cappa di Martino prende nome, perfino, la dinastia reale francese dei "Capetingi".

Una vera e propria devota fissazione!
Pezzetti del mantello di san Martino erano nel medioevo reliquie ambitissime (e parecchio diffuse), vere e proprie narrazioni reificate dell'esempio di carità del primo santo non martire dell'Occidente cristiano.

Una lettura teologica e sociale del gesto di amore disinteressato di san Martino, l'ha data papa Benedetto XVI nel messaggio dell'Angelus dell'11 novembre 2007, dove, tra l'altro, diceva:

“Cari fratelli e sorelle, il gesto caritatevole di san Martino si iscrive nella stessa logica che spinse Gesù a moltiplicare i pani per le folle affamate, ma soprattutto a lasciare se stesso in cibo all’umanità nell’Eucaristia, Segno supremo dell’amore di Dio, Sacramentum caritatis. E’ la logica della condivisione, con cui si esprime in modo autentico l’amore per il prossimo. Ci aiuti san Martino a comprendere che soltanto attraverso un comune impegno di condivisione, è possibile rispondere alla grande sfida del nostro tempo: quella cioè di costruire un mondo di pace e di giustizia, in cui ogni uomo possa vivere con dignità. Questo può avvenire se prevale un modello mondiale di autentica solidarietà, in grado di assicurare a tutti gli abitanti del pianeta il cibo, l’acqua, le cure mediche necessarie, ma anche il lavoro e le risorse energetiche, come pure i beni culturali, il sapere scientifico e tecnologico.”
Testo preso da: Cantuale Antonianum



San Martino - Giosuè Carducci

La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
urla e biancheggia il mare;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir dè tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira sù ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

(Giosuè Carducci)