domenica 14 gennaio 2018

Da: “Avidità - Come sottrarsi al desiderio del «sempre di più» (4) - Anselm Grün

L'avidità è ambivalente

Friedrich Schorlemmer sostiene quindi nel suo libro che anche nell'avidità manifesta e stridente di avere sempre più riconoscimenti, ricchezza e pote­re si può scoprire il desiderio profondo di felicità. 
Secondo questo autore, sotto l'avidità c'è «la paura che nella felicità tranquilla si nasconda la noia, lo squallore delle cose sempre uguali, una parsimonia simile alla morte.»
L'avidità ci spinge a cercare la nostra felicità. Ma se l'avidità si manifesta solo nella sua configurazione materiale come bramosia di denaro e di consumi sempre più grandi, come desiderio di maggior fama e potere, allora «perdiamo quello che nel più pro­fondo di noi stessi ci auguriamo di ottenere: per la nostra vita e per la società»
Non si tratta però di sradicare in noi l'avidità. 
Sa­rebbe come strappare dal campo di grano la zizzania e ogni erba cattiva, e Gesù, nella celebre parabola, ci mette ben in guardia dal farlo (cf. Mt 13,24-30). Ci sarebbe il pericolo di distruggere gli aspetti posi­tivi dell'avidità insieme con quelli negativi. 
Si tratta invece di porre un limite all'erba cattiva dell'avidità e trasformarla in terreno nutriente per il buon grano, in modo che ne risulti un nutrimento non solo per il nostro corpo, bensì soprattutto per la nostra anima.
L'ambivalenza dell'avidità si manifesta anche nel­la fattispecie dell'avarizia. Quest'ultima può diven­tare la virtù della parsimonia e del risparmio. 
La parsimonia è la condizione per poter padroneggiare la propria vita. 
Ci sono persone che non hanno mai abbastanza denaro, perché manca loro la capacità di essere parsimoniosi.
In modo simile ci si compor­ta con l'ambizione. Essa può pretendere troppo da una persona e sottoporla a una pressione continua. Eppure Evagrio Pontico, uno scrittore monastico del IV secolo, pensa che per i giovani monaci l'am­bizione sia qualcosa di totalmente buono, poiché li spinge all'ascesi. 
Li spinge a combattere con le passioni e a vincerle. Ma anche a questo riguardo si tratta sempre della giusta misura. L'ambizione mi stimola sempre a migliorare me stesso, a non essere mai contento di quello che ho a disposizione. È la forza motrice per farmi sviluppare ulteriormente.
La parola ambizione significa in origine «ricercare l'onore», tendere all'onore. L'onore non significa soltanto un bell'aspetto e diventare famosi. 
L'onore significa anche dignità, rispetto e magnanimità. Una persona degna di onore è uno che viene rispettato perché vive la sua dignità in quanto uomo. L'am­bizione è dunque una buona forza propulsiva, per lavorare su di me e per creare qualcosa di buono per gli altri. Ma può anche tenermi sotto la sua presa. 
Allora non riesco più a godere di ciò che ottengo, ma vorrei avere sempre di più. Allora non riesco mai a dire: mi basta, è sufficiente. 
E non riesco mai a godere di quello che è e di quello che ho ottenuto.
Come esiste un'ambizione «buona» e un'ambizio­ne «cattiva», così c'è anche una curiosità bella, rin­frescante e una curiosità antipatica, che non mantie­ne la giusta distanza. Se leggo un libro con curiosità, mi immergo in un mondo per me sconosciuto e sperimento me stesso come una persona nuova. 
Se entro in un museo con uno spirito curioso, la curio­sità apre i miei sensi alla bellezza delle immagini. 
La curiosità di ascoltare l'interpretazione di una sinfo­nia di Mozart o di Beethoven aumenta il piacere e il godimento del concerto. 
Ma c'è anche una curiosità senza limiti, che si nutre continuamente di cose sen­sazionali o di pettegolezzi, che vuol sapere tutto e diffonde soltanto e sempre i difetti e gli errori altrui.



In cammino verso un'avidità liberante

In tutto questo, si tratta chiaramente di avere sem­pre la giusta misura. L'avidità come forza motrice della vita è qualcosa che non ci è possibile spegnere. L'ambizione può essere una fonte di energia, per lavorare su di sé, per diventare una brava persona, per andare avanti nel proprio cammino spirituale o per fare qualcosa di buono per gli altri. Ma l'avidità può diventare anche una dipendenza, che non mi permette mai di trovare la quiete. 
E l'ambizione può diventare una coazione a voler ottenere sempre di più e non godere mai con riconoscenza di quello che sono riuscito a produrre.
La grande domanda di tutti i maestri spirituali del passato era questa: come possiamo essere libe­rati dalla forza distruttiva dell'avidità? 
Quali mezzi spirituali ci permettono di trasformare l'avidità in una buona energia per nutrire la nostra vita? 
Che cosa ci porta fuori dal dominio dell'avidità e ci guida verso l'essenza, verso il centro della persona uma­na? 
La domanda sulla trasformazione dell'avidità è connessa alla nostalgia di una tranquillità vitale e di una liberà interiore. 
La persona dominata dall'avi­dità è inquieta e interiormente schiava. 
Chi si lascia determinare dall'avidità, non riesce mai a trovare quiete. 
Molte persone desiderano ardentemente raggiungere la quiete. Ma sono incapaci di ottenerla, perché, non appena si siedono tranquilli, subito ven­gono sempre colpiti dall'avidità di voler ancora di più, di ricevere ancor più informazioni, di soddisfare un maggior numero di bisogni, di essere ancor più apprezzati e riconosciuti. 
Nell'avidità si sperimenta il contrario della libertà. 
Le persone diventano schiave della bramosia di tendere a un potere e a una ric­chezza sempre più grandi, a una fama maggiore e a una comunicazione continua.
Quindi, in questo scritto mi interessa presentare l'avidità come una buona energia per la vita, ma nello stesso tempo voglio aiutare le persone a liberarsi dalla sua forza distruttiva perché giungano alla quiete del cuore e alla libertà interiore.
In queste pagine non vorrei accusare nessuno e nemmeno cadere nel moralismo. Vorrei descrivere il fenomeno dell'avidità e, sulla base dei racconti del Nuovo Testamento, indicare alcune vie che ci con­ducono alla liberazione dall'avidità. 
A mio avviso il Nuovo Testamento ha qualcosa di decisivo da dire a questo riguardo, su come si presenti concretamente l'essere prigionieri dell'avidità e come possiamo libe­rarci dalle sue catene. 
I testi biblici ci mostrano diver­si ambiti in cui opera l'avidità: non c'è solo l'avidità di possedere beni o di consumarli, ma ci può essere anche l'avidità di chiudersi nella propria paura o di garantirsi una sicurezza contro ogni cosa. L'avidità è spesso la risposta a esperienze della prima fanciul­lezza, ad esempio quando si ha la sensazione di non essere mai all'altezza di quello che ci viene chiesto, di non essere mai sazi, di essere interiormente af­famati. 
I testi biblici ci mostrano anche le cause e i motivi di questa nostra avidità. 
E nello stesso tempo ci indicano i modi e la via per poterci liberare dai suoi legami. Questa libertà nei confronti dell'avidità, e non la sua totale estinzione, è il presupposto per trovare la pace e la calma interiore.
Vorrei dunque rivolgermi alle per­sone che sentono il desiderio di una libertà e di una quiete interiore, che scoprono dentro di sé uno spa­zio interiore in cui si sentono libere, pur nel mezzo di un mondo che è dominato dall'avidità; uno spazio in cui sono totalmente presenti a se stesse, libere dal­la pressione di doversi continuamente giustificare, esibirsi o dare prova di se stesse; uno spazio in cui si è liberi dalla costrizione di dover soddisfare subito ogni genere di bisogni. A questo riguardo, la Bibbia è per me un buon aiuto per trovare la giusta strada. Mi confronto a lungo con il testo biblico, finché non si apra per me come un segnale che mi indica la direzione verso una vita realizzata, verso la libertà e la pace interiore.

- Anselm Grün -
Da: “Avidità - Come sottrarsi al desiderio del «sempre di più»”, Edizioni Messaggero di Padova


Buona giornata a tutti. :-)











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