Ogni anno, il 10 maggio, ricordo un tragico
evento, purtroppo ormai dimenticato dai mezzi di informazione.
La data che voglio rammentare è quella del 10
maggio 1933.
Quella sera, a Berlino, nella piazza del Teatro dell'Opera, l’Opernplatz, i nazisti organizzarono un gigantesco rogo nel quale bruciarono oltre 25.000 libri.
Quella sera, a Berlino, nella piazza del Teatro dell'Opera, l’Opernplatz, i nazisti organizzarono un gigantesco rogo nel quale bruciarono oltre 25.000 libri.
Altri roghi simili si svolsero in numerose
città tedesche, raccontati in diretta e con giubilo da Radio Germania.
Il falò
di Berlino fu organizzato con estrema attenzione poiché doveva essere un
esempio per il Reich. Fu una vera e propria cerimonia ufficiale, quasi una
liturgia a futura memoria. Si prestò attenzione, come amava fare il regime
nazista, agli aspetti scenografici, alle musiche, ai canti.
Persino
all'illuminazione.
I libri da bruciare erano accompagnati da una marcia alla
quale presero parte i professori in toga, gli studenti, soldati delle SA e
delle SS.
Una lugubre processione, una celebrazione del più becero oscurantismo.
Una lugubre processione, una celebrazione del più becero oscurantismo.
L’obiettivo del regime era stato raggiunto:
ormai divenuta "Judenrein" ("depurata dagli ebrei"),
liberata dall’intellettualismo, la Germania hitleriana, dopo quella sera, fu un
vero e proprio deserto culturale.
I pochissimi intellettuali che restarono in
Germania (è il caso di Martin Heidegger, uno dei più importanti filosofi del
Novecento) dovettero rassegnarsi ad una cieca neutralità, chiudendo occhi e
orecchie per non vedere e non sentire quanto accadeva intorno a loro. Ma la
gran pare di loro abbandonò il Paese.
Ebbe inizio, nel 1933, il più massiccio
esodo intellettuale che la storia moderna abbia conosciuto: una vera e propria
diaspora dell'intelligenza tedesca.
Con i roghi di Berlino e delle altre città,
Goebbels, da poco nominato ministro della propaganda, lanciò la sua campagna
contro i libri "non tedeschi" e contro la cosiddetta "arte
degenerata".
Si trattava della celebrazione dell’imbarbarimento della vita
culturale tedesca dopo l'avvento del regime nazista. L'intento dichiarato di
Goebbels era quello di cancellare qualunque testimonianza degli intellettuali
che nel XIX e XX secolo avevano dato sviluppo alla moderna cultura europea.
Durante il rogo, Joseph Goebbels, ministro
della propaganda del Reich, tenne un violento discorso contro la cosiddetta
“cultura degenerata”, affermando: “L’era dell’esagerato intellettualismo
ebraico è giunto alla fine. Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito
quale sia la strada della Germania e il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di
libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale
scopo che vogliamo educarvi.
Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita.
Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita.
Vogliamo educare i
giovani a ripudiare la paura della morte allo scopo di condurli a rispettare la
morte.
Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato”.
Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato”.
Nei roghi finirono migliaia di opere
letterarie e artistiche di autori che secondo il nazismo avevano
"corrotto" e "giudaizzato" una presunta "cultura
tedesca" pura: opere di autori lontani nel tempo, come Heinrich Heine e Karl
Marx, ma soprattutto dei grandi intellettuali del periodo weimariano: gli
scrittori Thomas Mann, Heinrich Mann, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Joseph
Roth. I filosofi Ernst Cassirer, Georg Simmel, Theodor W. Adorno, Walter
Benjamin, Herbert Marcuse, Max Horkheimer, Ernst Bloch, Ludwig Wittgenstein,
Max Scheler, Hannah Arendt, Edith Stein, Edmund Husserl, Max Weber, Erich
Fromm, Martin Buber, Karl Löwith. L'architetto Walter Gropius. I pittori Paul
Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian. Gli scienziati Albert Einstein e
Sigmund Freud. I musicisti Arnold Schönberg e Alban Berg. I registi
cinematografici Georg Pabst, Fritz Lang e Franz Murnau. E centinaia di altri
artisti e pensatori che avevano gettato le basi intellettuali dell'intera
cultura del Novecento.
Era la cultura europea tutta che bruciava in
quei roghi.
In un’Europa impotente a difendere le sue
opere migliori come lo sarebbe stata in seguito nel difendere i suoi cittadini.
Il delirio nazista si estese presto
all’accesso all’istruzione, dove vennero ribadite gerarchie razziali, arrivando
a negare l’accesso alla scuola per gli ebrei e a proibire la letteratura e ogni
rudimento di alfabetizzazione per gli slavi nei territori occupati durante la
guerra.
E’ emblematico l’atteggiamento di uno degli uomini più potenti del
Reich nazista, Hermann Göring, che quando sentiva parlare di cultura, “metteva
mano alla pistola”.
Fu anche un tentativo di risposta alla
frustrazione delle masse, avvilite, nel giro di pochi anni, da due epocali
crisi economiche. Folle abbacinate da soluzioni semplici quanto violente.
Masse che saranno poi complici di un ancor più grande disegno di distruzione e di morte.
Masse che saranno poi complici di un ancor più grande disegno di distruzione e di morte.
Le crisi, infatti, sono da sempre pessimi
aruspici: leggono nelle viscere del disagio, profetizzando esclusivismi e
demagogiche dittature.
Ogni dittatura ha sempre avuto tra i propri
obiettivi abbattere la cultura e la letteratura. Ossia quelle oasi di pensiero
dove più forte soffia la brezza della libertà.
Pensiamo al rogo del 212 a.C., nella Cina di
Qin Shi Huangdi, primo imperatore della dinastia Qin.
Alla distruzione della
Biblioteca di Alessandria d’Egitto, la più grande e ricca biblioteca del mondo
antico.
Al rogo di libri e di opere d’arte a Firenze, il 7 febbraio 1497, nel corso del cosiddetto "Falò delle vanità", promosso da Girolamo Savonarola.
Sino al 1976, quando Luciano Benjamín Menéndez, generale dell'Esercito argentino, ordinò un rogo collettivo di libri, tra i quali si trovavano opere di Marcel Proust, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Pablo Neruda, Mario Vargas Llosa, Saint-Exupéry, Eduardo Galeano e molti altri.
Al rogo di libri e di opere d’arte a Firenze, il 7 febbraio 1497, nel corso del cosiddetto "Falò delle vanità", promosso da Girolamo Savonarola.
Sino al 1976, quando Luciano Benjamín Menéndez, generale dell'Esercito argentino, ordinò un rogo collettivo di libri, tra i quali si trovavano opere di Marcel Proust, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Pablo Neruda, Mario Vargas Llosa, Saint-Exupéry, Eduardo Galeano e molti altri.
Bruciare i libri non è solo un attacco alla
cultura, ma anche all’intelligenza, perché è quest’ultima a dar loro vita. Non
a caso, cinque anni prima del rogo berlinese, il pubblico ministero Michele
Isgrò, a conclusione della sua requisitoria fatta il 4 giugno 1928 chiedendo la
condanna di Antonio Gramsci, pronunciò le seguenti parole, alludendo proprio
all’intelligenza dello stesso Gramsci: “Per vent’anni dobbiamo impedire a
questo cervello di funzionare”.
I libri sono i silos in cui sono custodite le
idee che, come semi, possono germogliare e attecchire nella coscienza e
nell’intelligenza degli esseri umani. Dalle idee disseminate nei libri fiorisce
il senso critico e lo spirito di libertà, che è l’impulso creatore presente
nell’intelligenza dell’umanità. Ecco perché la cultura è sempre considerata
pericolosa da parte dei tiranni e dei demagoghi di ogni genere.
Ha scritto Paco Ignacio Taibo II sul rogo del
1933: “A Berlino, nella Opernplatz, non brucia la carta, bruciano le parole.
Bruciano i libri con le poesie di Bertolt Brecht, ma soprattutto bruciano i versi, le magnifiche parole:
Non lasciatevi sedurre, non esiste alcun ritorno.
Il giorno è alle porte, c’è già il vento della notte.
Non verrà un altro domani.
Non lasciatevi convincere che la vita è poco…
Racconto questa storia per ricordare. Per non dimenticare”.
Bruciano i libri con le poesie di Bertolt Brecht, ma soprattutto bruciano i versi, le magnifiche parole:
Non lasciatevi sedurre, non esiste alcun ritorno.
Il giorno è alle porte, c’è già il vento della notte.
Non verrà un altro domani.
Non lasciatevi convincere che la vita è poco…
Racconto questa storia per ricordare. Per non dimenticare”.
Anch’io non voglio dimenticare e invito tutti voi a fare altrettanto.
Il 10 maggio1933 si realizzò una profezia
espressa nel 1817, in occasione di un altro falò di libri, da un altro degli
autori bruciati sul rogo, Heinrich Heine: “Là, dove si bruciano i libri, si
finisce col bruciare anche gli uomini”.
Difendiamo i libri e la cultura: per tutelare
la nostra libertà.
- Stefano Marchesotti -
«Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini.»
Purtroppo
questa riflessione di Heine fu tristemente comprovata nel ventesimo secolo, con
l'avvento del regime Nazista.
Il 10 maggio 1933, nella Bebelplatz di Berlino, furono bruciati 25.000 libri.
Il 10 maggio 1933, nella Bebelplatz di Berlino, furono bruciati 25.000 libri.
Il preludio allo stermino di massa degli ebrei.
Migliaia di libri persi per sempre.
Il rogo di libri nella Berlino
del 10 maggio 1933 non fu organizzato dal governo di Hitler, bensì dagli
studenti tedeschi stessi, infervorati dalla propaganda del nazismo che
stigmatizzava gli intellettuali in genere, e in particolar modo quelli ebrei o
di sinistra. Gli studenti dell’Università di Berlino passarono settimane a
compilare liste di scrittori e libri ‘non tedeschi’, perlustrarono poi biblioteche
pubbliche e private alla ricerca dei volumi incriminati.
“L'uomo del futuro non sarà più un
uomo fatto di libri, ma un uomo fatto di carattere. È a questo scopo che noi vi
vogliamo educare”: non si tratta di un passo del celebre romanzo distopico di
Ray Bradbury “Fahrenheit 451”, bensì di una delle frasi più atroci e pericolose
pronunciate dall’uomo nel corso della Storia da Joseph Giebbels il 10 maggio 1933
Buona giornata a tutti. :-)