Ho ben 82 anni di vita e la malattia di Parkison e gli acciacchi dell’età si fanno sentire. Ma probabilmente, per quanto riguarda la preghiera, sono ancora a metà del guado. Sento che la mia preghiera dovrebbe trasformarsi, ma non so bene in che modo, e sento anche una certa resistenza a compiere un salto decisivo. So che posso dire come Isacco: «Io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte» (Gen 27,2), ma di questo non ho ancora tratto le conclusioni.
Cerco comunque di chiarirmi le idee riflettendo un po’
sull’argomento. Mi pare che si possa parlare in due modi della preghiera
dell’anziano. Si può considerare l’anziano nella sua crescente debolezza e
fragilità, secondo la descrizione metaforica (ed elegante) del Qohèlet (12,
1-4):
Ricordati del tuo Creatore
In questo caso il tema sarà la preghiera (qui evocata
dalle parole «Ricordati del tuo Creatore») di colui che è debole e fragile, di
colui che sente il peso della fatica fisica e mentale e si stanca facilmente.
La salute e l’età non consentono più di dedicare alla
preghiera i tempi lunghi di una volta: si sonnecchia facilmente e ci si appisola.
Mi pare quindi sia necessario imparare a utilizzare al meglio il poco tempo di
preghiera di cui si è in grado di disporre.
Non riuscendo più a dedicare alla preghiera lo stesso
tempo di quando si avevano più energie, e sentendola spesso come un po’ distante
e poco consolante, è possibile che il proprio spirito venga catturato da un
certo senso di scoraggiamento. Allora la tentazione sarà di accorciare
ulteriormente i tempi da consacrare alla preghiera, limitandosi allo
strettamente necessario.
Tuttavia questo accorciare i tempi dell’orazione
potrebbe essere molto pericoloso. Infatti la preghiera, per dare qualche
conforto, deve essere di norma un po’ prolungata. Se si restringe il tempo,
anche le consolazioni sorgeranno con maggiore difficoltà e si creerà una sorta
di circolo vizioso, che porterà a pregare sempre meno.
Ma la preghiera dell’anziano potrebbe anche essere
considerata la preghiera di qualcuno che ha raggiunto una certa sintesi
interiore tra messaggio cristiano e vita, tra fede e quotidianità.
Quali saranno allora le caratteristiche di questa preghiera? Non è facile stabilirlo in astratto e aprioristicamente: occorrerebbe piuttosto riflettere sull’esperienza dei santi, in particolare dei santi anziani.
Perciò bisognerebbe dedicare, con pazienza, un po’ di tempo alla ricerca. Anzitutto nella Bibbia . In molti Salmi si parla apertamente dell’anziano e della sua condizione con espressioni molto significative e suggestive.
Ad esempio: «Sono stato fanciullo e ora sono vecchio; non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane» (Sal 36,25).
Si veda anche l’esortazione del Salmo 148,12: «I vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore».
La Scrittura ci offre anche preghiere tipiche di un
anziano. La più nota è la preghiera dell’anziano Simeone al tempio quando
prende tra le sue deboli braccia il piccolo Gesù (Lc 2,29 ss.) :
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada
in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua
salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli»
La ricerca dovrebbe allargarsi ai Padri apostolici,
come Ignazio e Policarpo, quindi ai Padri del deserto e ai grandi oranti di
tutti i secoli.
Non essendo qui possibile percorrere una tale via
analitica, mi limiterò ad alcune riflessioni generali, aiutato anche dalla
testimonianza di qualche confratello più anziano di me. Mi chiederò, cioè,
quali potrebbero essere alcune caratteristiche positive nella preghiera di un
anziano. Mi pare che possano emergere tre aspetti: un’insistenza sulla
preghiera di ringraziamento; uno sguardo di carattere sintetico sulla propria
vita ed esperienza; infine una forma di preghiera più contemplativa e
affettiva, una prevalenza della preghiera vocale sulla preghiera mentale.
Sul primo di questi tre punti riporto la testimonianza
di un confratello: "Riguardo ai contenuti della mia preghiera in questi
anni di vecchiaia – ho 85 anni – si distingue la preghiera di ringraziamento.
Si sono sviluppati due motivi per ringraziare Dio: anzitutto per avermi
concesso un tempo in cui mi posso dedicare (vorrei quasi dire “a tempo pieno”)
a prepararmi alla morte. E ciò non è dato a tutti. In secondo luogo per avermi
mantenuto finora nel pieno dominio delle risorse mentali e, largamente, anche
di quelle fisiche" .
Là dove invece non c’è questo vigore fisico e/o
mentale la preghiera si colorerà soprattutto di pazienza e di abbandono nelle
mani di Dio, sull’esempio di Gesù che muore dicendo: «Padre, nelle tue mani
consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
È così che i Salmi ci insegnano a pregare:
«Tu salvi dai nemici chi si affida alla tua destra» (Sal 16,7);
«Mi affido alle tue mani: tu mi riscatti, Signore, Dio fedele» (Sal 30,6);
«Lo salverò, perché a me si è
affidato» (Sal 90,14).
Chi ha raggiunto una certa età è anche nelle
condizioni di volgere uno sguardo sintetico sulla propria vita, riconoscendo i
doni di Dio, pur attraverso le inevitabili sofferenze. Veniamo quindi invitati
a una lettura sapienziale della nostra storia e di quella del mondo da noi
conosciuto.
E beati coloro che riescono a leggere il proprio
vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui
tempi vissuti o anche sul tempo presente in confronto con quelli passati!
La terza caratteristica della preghiera dell’anziano
dovrebbe essere un crescere della preghiera vocale (e quindi una diminuzione
della preghiera mentale) insieme a un inizio di semplice contemplazione che
esprime con mezzi molto poveri la propria dedizione al Signore. Diminuisce la preghiera
mentale per la minore capacità di concentrazione dell’anziano. Ma
contemporaneamente bisogna aver cura di aumentare la preghiera vocale. Anche se
un po’ assonnata o distratta, essa è comunque un mezzo per avvicinarci al Dio
vivente.
Sarebbe ideale arrivare a contemplare molto
semplicemente il Signore che ci guarda con amore, oppure pensare a Gesù che ha
bisogno di noi per rendere piena la sua lode al Padre.
Ma qui sarà lo Spirito Santo che si farà nostro
maestro interiore. A noi non resterà che seguirlo che docilmente» .
- card. Carlo Maria Martini -
Tratto da: "Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera" – Mondadori editore