Oggi i
giornali, le tv, i media esibiscono quotidianamente uomini e donne giovani,
belli, sani: questi per loro sono l'uomo o la donna!
La cultura di massa
nasconde costantemente la sofferenza e il disagio, mostrando i valori
esteriori all'uomo, la produttività, l'efficienza, l'apparenza ecc.
Nonostante
i proclami ufficiali e le leggi, spesso i malati e gli anziani sono trattati
come «oggetti»: si cura la malattia, non la persona malata.
A volte
la disperazione porta ad attribuire a Dio, il Padre, la nostra sofferenza: «Che
cosa ho fatto di male perché Dio mi debba castigare così?». Sia nelle prediche
sia nelle preghiere è ancora presente la concezione che «fare la volontà di
Dio» sia rassegnazione passiva all'ingiustizia, ai mali dell'esistenza, alla
fatalità.
Anche appellarsi al destino come a un fattore predeterminante, al di
fuori di ogni razionalità, pesa sull'esistenza di molti cristiani che, come i
pagani, prestano fede ai luoghi comuni: «È stato il destino!».
Dagli inizi dell’umanità ci si è posto
l’interrogativo: perché il male?
Perché le malattie?
Non potendo trovare la risposta nell’umano,
si è ricercata nel divino, nella religione anziché nella condizione
esistenziale dell’uomo. E la risposta della religione fu che esistevano due
divinità, una buona, ed era il Dio Creatore, quello della Vita, del Benessere, della
Salute, e una divinità malvagia, ed era il Dio della Morte, della Malattia,
della Povertà.
Questa spiegazione era molto semplice, ma risolveva
efficacemente il problema del perché della malattia, e della morte……
…. Questa relazione tra la malattia e la colpa
dell’uomo è penetrata mettendo le radici nell’intimo delle persone, e
nonostante Gesù abbia smentito categoricamente alcuna relazione tra la malattia
e il peccato, questo fa che le persone quando vengono a conoscenza di essere
affette da una malattia hanno dapprima una reazione di incredulità (Non è possibile!), poi di rifiuto/rabbia (Perché proprio a me?) e infine il devastante senso di colpa: Che cosa ho fatto di
male per meritare questo?
Enorme è la responsabilità della Chiesa che
ignorando il messaggio evangelico ha favorito la categoria veterotestamentaria
della malattia come conseguenza del peccato. E così il concetto del castigo
divino è stato inculcato generazione dopo generazione fin dalla più tenera età,
cominciando dai bambini, che venivano al mondo già gravati da una colpa,
il peccato
originale, e ai quali veniva fin dalla più tenera età insegnato l’Atto di
Dolore: Mi pento con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho
meritato i tuoi castighi…
Questa
orazione, strettamente legata al sacramento della Confessione, è stata
trasmessa inalterata di generazione in generazione con l’unica leggera variante
del passaggio dal voi al tu (da vostri a tuoi castighi).
- Padre Alberto Maggi -
da: "Sacralità della vita o dell'uomo"
12 novembre 2016, Congresso AIPO, Civitanova Marche (Italy)
Il cristiano guarda agli infermi con
realismo, partecipando con tutto il cuore alle loro sofferenze: tuttavia, non
può diventare un consolatore stucchevole. Va loro incontro con amore: esprime,
con la sua sollecitudine, la fiducia nella Provvidenza che tutto dispone
nell'esistenza per il nostro bene.
Non sappiamo spiegare il «perché» della sofferenza: non è una punizione né una fatalità.
Appartiene a un disegno misterioso, nascosto per ora alla nostra comprensione.
Solo la fede ci aiuta a infondere nei malati la speranza nella Provvidenza e nella presenza del Signore Gesù che dà la forza di affrontare ogni situazione, affidandosi a Lui.
Non sappiamo spiegare il «perché» della sofferenza: non è una punizione né una fatalità.
Appartiene a un disegno misterioso, nascosto per ora alla nostra comprensione.
Solo la fede ci aiuta a infondere nei malati la speranza nella Provvidenza e nella presenza del Signore Gesù che dà la forza di affrontare ogni situazione, affidandosi a Lui.
Il Signore non sempre ci libera dalla
sofferenza, ma ci preserva nella tribolazione.
Nella Bibbia alcuni passi del libro di Giobbe ci illuminano,
presentandoci la sua fiducia che Dio non lo abbandonerà anche nelle prove
della vita, nonostante le discussioni e le provocazioni degli amici: 42,1-6.
Anche il libro di Tobia ci racconta la storia edificante di un uomo colpito dalla sofferenza e dalle disgrazie, ma sempre accompagnato da Dio in ogni momento.
Alcuni Salmi ci offrono parole di conforto per rivolgerci a Dio: 41, «Beato l'uomo che ha cura del debole»; 71, «In te, Signore, mi sono rifugiato»; 121, «Alzo gli occhi verso i monti».
Anche il libro di Tobia ci racconta la storia edificante di un uomo colpito dalla sofferenza e dalle disgrazie, ma sempre accompagnato da Dio in ogni momento.
Alcuni Salmi ci offrono parole di conforto per rivolgerci a Dio: 41, «Beato l'uomo che ha cura del debole»; 71, «In te, Signore, mi sono rifugiato»; 121, «Alzo gli occhi verso i monti».
Gesù non ha prodotto nessuna teoria sul «perché» della sofferenza.
Egli ha agito guarendo i malati, integrando gli emarginati, vincendo la morte. Come Figlio di Dio si è fatto solidale con la nostra sofferenza, assumendola. Ci ha rivelato la «bella notizia» che anche i malati possono essere felici, se confidano in Dio.
Nel testo di Giacomo 5,14-15 si parla espressamente della cura della comunità verso i malati, attraverso laici e sacerdoti; si esprime la convinzione che i credenti non accolgono la sofferenza né con la rassegnazione passiva né come punizione di Dio, ma con la cura, la sollecitudine e la solidarietà sia nella preghiera sia nel comportamento pratico.
La misericordia di Dio si manifesta nella solidarietà del Figlio di Dio e nell'accoglienza della Chiesa verso i malati.
Egli ha agito guarendo i malati, integrando gli emarginati, vincendo la morte. Come Figlio di Dio si è fatto solidale con la nostra sofferenza, assumendola. Ci ha rivelato la «bella notizia» che anche i malati possono essere felici, se confidano in Dio.
Nel testo di Giacomo 5,14-15 si parla espressamente della cura della comunità verso i malati, attraverso laici e sacerdoti; si esprime la convinzione che i credenti non accolgono la sofferenza né con la rassegnazione passiva né come punizione di Dio, ma con la cura, la sollecitudine e la solidarietà sia nella preghiera sia nel comportamento pratico.
La misericordia di Dio si manifesta nella solidarietà del Figlio di Dio e nell'accoglienza della Chiesa verso i malati.