sabato 4 giugno 2016

Da: "Indagine su Gesù" - Antonio Socci

Chi è Gesù diNazareth?
Il più bello fra i figli dell'uomo
Salmo 44,3

Nietzsche, che fu il suo nemico giurato, un giorno confessò: "(Gesù) ha volato più alto di chiunque altro".
Ed Ernest Renan, che pure sferrò un attacco terribile al cristianesimo e alla Chiesa, definì Gesù “una persona eccezionale”.
Scrisse: “Gesù è l’individuo che ha fatto fare alla sua specie il più grande passo verso il divino”, “Gesù è la più eccelsa di quelle colonne che indicano all’uomo donde venga e dove debba andare. In lui si è condensato tutto ciò che vi è di buono e di elevato nella nostra natura… 
Quali che possano essere i fenomeni imprevisti dell’avvenire, Gesù non sarà mai superato. 
Il suo culto ringiovanirà continuamente, la sua leggenda strapperà interminabili lacrime; le sue sofferenze commuoveranno i migliori cuori: tutti i secoli proclameranno che tra i figli dell’uomo non è mai nato uno più grande di Gesù”.
Ma chi è precisamente questo enigmatico Gesù che da duemila anni affascina tutti, perfino i nemici?
Chi è questo giovane rabbì ebreo, che doveva essere cancellato dalla faccia della terra 2000 anni fa con una feroce esecuzione capitale da schiavo, da maledetto, se oggi, dopo 20 secoli, quel suo supplizio è ricordato in ogni angolo del mondo?
Infatti, come scriveva Giovanni Papini, “la sua memoria è dappertutto. Sui muri delle chiese e delle scuole, sulle cime dei campanili, dei tabernacoli e dei monti, a capo dei letti e sopra le tombe… milioni di croci rammentano la morte del Crocifisso”.
Un ateo militante come Paul Louis Couchoud – mentre cercava di sferrare il suo attacco finale al cristianesimo – doveva ammettere: “Nella mente degli uomini, nel mondo ideale che esiste sotto i crani, Gesù è incommensurabile. 
Le sue proporzioni sono fuori di paragone, il suo ordine di grandezza è appena concepibile. La storia di Occidente, dall’impero romano in poi, si ordina intorno a un fatto centrale, a un evento generatore: la rappresentazione collettiva di Gesù e della sua morte. 
Il resto è uscito di là o si è adattato a ciò. Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all’ombra gigantesca della croce”.
Interroghiamo Jean Jacques Rousseau, che fu un nemico filosofico della Chiesa ed essendo stato un faro sia dei rivoluzionari francesi che dei romantici è un autore pressoché universale. Ecco quali pensieri e sentimenti rivela, parlando di Gesù, in un libro peraltro condannato sia nella Parigi cattolica che nella Ginevra calvinista:

“Vi confesso che la santità del Vangelo parla al mio cuore. Osservate i libri dei filosofi, con tutta la loro pompa! Come sono piccoli in confronto a quello… Può darsi che Colui di cui fa la storia sia egli stesso un uomo? 
E’ questo il tono di un invasato o di un settario ambizioso? 
Che dolcezza, che purità nei suoi costumi! Quale grazia toccante nei suoi insegnamenti, quale elevatezza nelle sue massime, quale saggezza nei suoi discorsi, quale presenza di spirito, quale finezza, quale esattezza nelle sue risposte! Quale dominio delle passioni! Dove è l’uomo, dove è il saggio che sa agire, soffrire e morire senza debolezza e senza ostentazione? Quando Platone descrive il suo giusto immaginario coperto da tutto l’obbrobrio del delitto e degno di tutti i premi delle virtù, dipinge tratto per tratto Gesù Cristo; la somiglianza è così sorprendente che tutti i Padri l’hanno sentita e che non è possibile ingannarsi (…). Ma dove aveva Gesù preso i suoi precetti, presa questa morale elevata e pura, di cui Egli solo ha dato gli insegnamenti e gli esempi? (…) La morte di Socrate che filosofeggia tranquillamente coi suoi amici, è la più dolce che si possa desiderare; quella di Gesù che spira fra i tormenti, ingiuriato, canzonato, maledetto da tutto un popolo, è la più orribile che si possa temere. Socrate che prende la coppa avvelenata benedice colui che gliela offre e che piange; Gesù, nello spaventoso supplizio, prega per i suoi accaniti carnefici. Sì, se la vita e la morte di Socrate sono quelle di un saggio, la vita e la morte di Gesù sono di un Dio”.

Ed ancora:

“Questo libro divino (il Vangelo, nda), il solo che sia necessario a un cristiano, il più utile di tutti anche a chi non lo sia, non deve che essere meditato per portare nell’anima l’amore del suo autore e la volontà di obbedire ai suoi precetti. La virtù non ha mai parlato un linguaggio così dolce; mai la saggezza più profonda si è espressa con tanta energia e tanta semplicità. Non si abbandona la sua lettura senza sentirsi meglio di prima”..

Stupisce anche lo sguardo su Gesù del giovanissimo Karl Marx (prima di immergersi nell’hegelismo e nell’ideologia dove si sarebbe perduto).
Egli infatti scrisse che “l’unione con Cristo dona un’elevazione interiore, conforto nel dolore, tranquilla certezza e cuore aperto all’amore del prossimo, ad ogni cosa nobile e grande, non già per ambizione né brama di gloria, ma solo per amore di Cristo, dunque l’unione con Cristo dona una letizia che invano l’epicureo nella sua filosofia superficiale, invano il più acuto pensatore nelle più riposte profondità del sapere, tentarono di cogliere; una letizia che solo può conoscere un animo schietto, infantile, unito a Cristo e attraverso di Lui a Dio, una letizia che innalza e più bella rende la vita”.
Indagando, interrogando, Gesù emerge sempre come l’uomo più sconvolgente di tutti i tempi (com’è noto il tempo stesso, in buona parte del mondo, da secoli, si computa a partire dalla sua nascita). Non c’è nessun individuo che gli si possa paragonare per l’importanza, la vastità e la durata della sua influenza.
Nessuno scatena amore e odio come lui. E’ anche il più rappresentato e cantato dall’arte di tutti i tempi. Anche la letteratura moderna ne è testimone.
“Sembra che molti autori” scrive Luigi Pozzoli “pur non riconoscendo il Cristo della fede, siano pronti a condividere le parole e i sentimenti che Dostoevskij ha confidato un giorno a una persona amica”.
Ecco le parole dello scrittore russo: “Non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo” e “non solo non c’è, ma non può esserci”.
A tal punto che “se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità”. Certo in Dostoevskij l’incontenibile ammirazione per Gesù arriva al paradosso, ma la sua osservazione esprime davvero il sentimento di molti:
“Quest’uomo fu il più eccelso sulla terra, la ragione per cui la terra esiste. Tutto il nostro pianeta, con tutto ciò che contiene, sarebbe una follia senza quest’uomo. Non c’è stato e non ci sarà mai nulla che gli sia paragonabile. E’ qui il grande miracolo”.
In effetti l’attrazione che la personalità di Gesù continua ad esercitare, attraverso i secoli, sorprende anche per come tocca i non credenti.
Dice Alfredo Oriani: “Creduli o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa”.
Perfino il simbolo del laicismo italiano, Gaetano Salvemini, rimase folgorato dall’altezza sublime della sua figura e del suo insegnamento.
Raccontò, in “Empirici e Teologi”, di essersi trovato in una stagione della vita come “sperduto nel buio e fu una impressione disperata”. Si sentì illuminato allora da una pagina di Pascal in cui una vecchietta dice: “io non so dimostrare a me stessa che c’è un Dio. Ma mi regolo come se ci fosse”.
Salvemini spiega: “quella vecchierella mi insegnò la via da seguire. Debbo aggiungere che nel seguire quella via, ho trovato un’altra guida e mi sono trovato bene a lasciarmene guidare. E questa guida è stato Gesù Cristo che ha lasciato il più perfetto codice morale che l’umanità abbia mai conosciuto. Io non so se Gesù Cristo sia stato davvero figlio di Dio o no. Su problemi di questo genere sono cieco nato. Ma sulla necessità di seguire la moralità insegnata da Gesù Cristo non ho nessun dubbio”.
Sfogliando il diario del turbolento e inquieto autore di “On the road”, Jack Kerouac, ci si può imbattere in questa annotazione: “so che soltanto Gesù conosce la risposta definitiva”. 
Nell’itinerario tormentato di Giovanni Testori perfino la “bestemmia” è segno dell’impossibilità di dimenticarlo e proprio perché non si può sradicare dal cuore è spada che lacera. 
Nel tempo della sua lontananza dalla Chiesa il poeta lombardo scriveva:

T’ho amato con pietà
Con furia T’ho adorato.
T’ho violato, sconciato,
bestemmiato.
Tutto puoi dire di me
Tranne che T’ho evitato

Sembra che sia rimasta nel mondo – per chi non è cristiano – una nostalgia incolmabile di lui. Con altrettanta drammaticità infatti Pier Paolo Pasolini grida al vuoto divorante della sua assenza:

“Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto
in ogni mio intuire. Ed è volgare,
questo non essere completo, è volgare,
mai fui così volgare come in questa ansia,
questo ‘non avere Cristo’ ….”.

Resta diffuso e inestirpabile, a quanto pare, il desiderio di sentirsi guardati dagli occhi di lui, da cui furono guardati i diversi personaggi dei Vangeli.
Il poeta libanese Gibran, in “Gesù Figlio dell’uomo”, mette in scena varie voci che, tutte, parlano di Gesù. 
Le parole della Maddalena: “Amico mio, io ero morta, sappilo (…). Ma quando i suoi occhi d’aurora guardarono i miei occhi, tutte le stelle della mia notte si dileguarono”.
Jorge L. Borges, da non credente, ritiene che tutti vorrebbero essere come colui che poté vedere quel suo volto:
“Gli uomini hanno perduto un volto, un volto irrecuperabile e tutti vorrebbero essere quel pellegrino (…) che a Roma vede il sudario della Veronica e mormora con fede: Gesù Cristo, Dio mio, Dio vero, così era dunque la tua faccia? (…) Abbiamo perduto quei lineamenti come si può perdere un numero magico, fatto di cifre abituali, come si perde per sempre un’immagine nel caleidoscopio. Possiamo scorgerli e non riconoscerli”.
Lo scrittore argentino confessa di “non vedere” personalmente il volto di Cristo nella sua vita, tuttavia “insisterò a cercarlo fino al giorno dei miei ultimi passi sulla terra”.
Il fascino di Gesù però raggiunge tutti, non solo gli artisti. Pur rifuggendo dalla retorica un famoso giornalista dei nostri anni come Enzo Biagi, solitamente ironico e disincantato, di fronte al gigante che riempie le pagine dei Vangeli non nasconde il suo stupore: “Gesù (…) ha detto cose che a tutt’oggi sono insuperabili. E credo che nessuno abbia conosciuto l’uomo come lui. Gesù è una figura misteriosa, difficile da spiegare solo con l’umano. Regge da 2002 anni. Non vedo paragoni in giro”.
Tutti parlano di lui come di un uomo sublime, di tale statura, bellezza e nobiltà, che neanche la fantasia avrebbe potuto pensarlo.
Secondo un intellettuale laico come Umberto Eco, quand’anche Gesù fosse – per assurdo – un personaggio inventato dagli uomini, il fatto che “abbia potuto essere immaginato” da noi “bipedi implumi”, di per sé, “sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede”.
Un grande scrittore ebreo, Franz Kafka, interpellato dall’amico Janouch con una domanda inattesa: “E Cristo?”, dette la sensazione di una scossa all’anima: “chinò il capo. ‘E’ un abisso pieno di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi’ ”. Anche il laico Albert Camus accusa il colpo: “Io non credo nella risurrezione però non posso nascondere l’emozione che sento di fronte a Cristo e al suo insegnamento. Di fronte a lui e di fronte alla sua storia non provo che rispetto e venerazione”.
Umberto Saba, poeta triestino, ebreo, confidandosi in alcune sue lettere con l’amico monsignor Giovanni Fallani, dichiarava di non avere la fede, ma scriveva anche: “io amo Gesù come l’uomo che più si è avvicinato al divino o, almeno, a quello che i poveri uomini immaginano essere il divino. Sì, amo infinitamente Gesù, ma (se così oso dire) lo amo come un ponte fra l’uomo e il Divino. Lo amo come un ‘fratello’; infinitamente grande, infinitamente buono e amabile. Ho bisogno di credere, di appoggiare, in ogni caso, la mia disperazione a Gesù”.
E in un’altra lettera, raccontando del suo calvario nell’assistere la moglie malata:
“Quando mia moglie era ancora a casa e, almeno a tratti, in sé, le ho parlato un giorno di Gesù (…). Si era a tavola e pareva molto commossa, tanto che, appena l’aiutai a mettersi a letto, le dissi: Lina mia, vuoi che ci baciamo in Gesù? La povera vecchia mi rispose: Magari! Abbiamo provato entrambi momenti di grande dolcezza. Ci siamo baciati e abbiamo pianto”.
E’ sorprendente che un uomo – a distanza di duemila anni – possa commuovere a tal punto da medicare le ferite della vita di un uomo e una donna del XX secolo, come una carezza buona che arriva fin nel profondo dell’anima. Non è mai accaduto nella storia.
Oltretutto nel caso di Gesù – lo stiamo considerando al momento come un semplice uomo - è inspiegabile questa capacità di attraversare e invadere i secoli e i cuori.

- Antonio Socci - 
Fonte:  “Indagine su Gesù” di Socci, 2008, Rizzoli Editore





«Don Camillo guardò in su verso il Cristo dell'altar maggiore e disse: “Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non funzionano”.
“Non mi pare”, rispose il Cristo. “Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano.»

- Giovanni Guareschi - 




Nel deserto della storia è nato un giorno un fiore che è umanamente inspiegabile. Nulla di simile si è mai visto, né mai si vedrà. 
Per questo il fascino umano di Gesù da sempre stupisce e attrae tutti, perfino i suoi nemici.
Tanto che J. Malegue ha scritto: “Oggi il difficile non è l’accettare che Cristo sia Dio; il difficile sarebbe accettare Dio se non fosse Cristo”.


- Antonio Socci - 


Buona giornata a tutti. :-)