sabato 28 dicembre 2013

“Il Natale deve andarsene” (1933) - Gilbert Keith Chesterton -

Il Natale è assolutamente inadatto al mondo moderno.
Presuppone la possibilità che le famiglie siano unite, o si riuniscano, e persino che gli uomini e le donne che si sono scelti si parlino. Così, migliaia di spiriti giovani e avventurosi, pronti ad affrontare i fatti della vita umana e a incontrare la vasta varietà di uomini e donne come sono realmente, altrettanto pronti a volare fino ai confini della terra e a tollerare ogni qualità stravagante o accidentale dei cannibali o degli adoratori del demonio, sono crudelmente obbligati ad affrontare un’ora – no: talvolta persino due ore! – in compagnia di uno zio Giorgio o di qualche zia di Cheltenham che non trovano particolarmente simpatici.
Non si possono, in tempi come i nostri, sopportare tali abominevoli torture. 
Una fraternità più ampia, una sensibilità più vera, ha già insegnato a ogni donna giovane e ardente – con sufficiente ricchezza e tempo libero a disposizione – a sentirsi elettrizzata al solo pensiero di fare colazione con un malvivente, di pranzare con uno sceicco o cenare con un Apache a Parigi.
È quindi intollerabile che tale sensibilità possa patire il trauma della comparsa inaspettata della propria madre, se non addirittura quella del proprio figlio.
Nessuno ha mai neanche ipotizzato che i «Genitori» fossero inclusi in quella bellissima astrazione democratica chiamata «Popolo». Né che il concetto di fratellanza potesse estendersi ai propri fratelli.
Comunque, come dicevo, il Natale è inadatto alla vita moderna: la sua attenzione alla famiglia al completo fu concepita senza tener conto della dimensione e delle comodità dell’hotel moderno; il suo retaggio di rituali prescindeva dall’attuale consuetudine consolidata di conformarsi all’anticonformismo; il suo appello all’infanzia era in conflitto con le idee più progressiste sul concepimento; in base al Natale, i Bright Young Things dovrebbero sempre sentirsi vecchi e parlare come se fossero insulsi.
Quella scuola di buone maniere più libera e più schietta, che consiste nell’annoiarsi con chi c’è e nel dimenticare chi non c’è, è irrisa, nella sua prima parte, dalla vecchia abitudine di bere alla salute di qualcuno e di scambiarsi gli auguri, e, nella seconda parte, dall’abitudine di scrivere lettere o spedire cartoline di Natale. Sotto il peso di tali scambi tribali e collettivi, è impossibile preservare la fine sfumatura, la delicata raffinatezza che contraddistingue le maniere moderne: quella in accordo alla quale ci si dimentica del vicino della porta accanto se incontrato per strada e, semplicemente, lo si ignora se è seduto con noi a tavola.
Come potevamo aspettarci di estendere una tradizione che si basava sull’ospitalità a quel felice intermezzo nel mondo moderno e alla moda che ha rimpiazzato l’ospitalità con la violazione di domicilio?
Qualche variazione di frasario era senza dubbio necessaria: volendo essere precisi e rigorosi, si è chiamato «imbucarsi» quando fatto dalle classi superiori, e «violazione di domicilio» quando fatto dalle classi più umili. Ma il ladro che tracanna il tuo whisky senza che sia stato invitato a berne un bicchiere, e un esponente dei Bright Young Things che tracanna il tuo champagne senza che sia stato invitato a berne un bicchiere hanno inconsciamente unito le loro forze nella grande urgenza, sentita dal mondo più avanzato e progressista, di spazzar via la vecchia superstizione dell’ospitalità.
L’ospitalità ha comunque un centinaio di orrende implicazioni.
Comporta, per esempio, che la mia casa appartenga più a me più che a un giornalista intervistatore di un’agenzia di stampa miliardaria di Detroit. Per quanto calorosamente e con affetto io possa intrattenere e abbracciare una tale persona, c’è comunque un bizzarro pregiudizio legato alla situazione che frulla nella sua testa – per non dire ciò che accade nella mia –: la vecchia, inspiegabile e raccapricciante credenza di trovarsi nella casa di qualcun altro. Sarebbe senza dubbio liberato da quell’imbarazzo se ci incontrassimo in un grande hotel, o in una sala da tè ancora più grande e impersonale, o in una biblioteca pubblica, o in un ufficio postale, o nei corridoi ventosi di una stazione della metropolitana. I soli nomi di questi luoghi bastano a evocare quel calore più ricco, quella fraternità più piena, quel senso di altruismo fervente a tutti i livelli di rapporto umano, che sopraggiungono una volta che gli uomini abbiano rinunciato alla proprietà privata.
In ogni caso, non è necessario aggiungere altro alla lista delle prove che il Natale non sia adatto a questa vita più piena e più emancipata.
Il Natale deve andarsene! È letteralmente inadatto a questo grande futuro che si sta aprendo dinanzi a noi. 
Il Natale non è fondato sulla grande concezione comunitaria che solo nel comunismo può trovare la sua espressione finale.
Il Natale non favorisce veramente una più alta, più salutare e più vigorosa espansione del capitalismo.
Non ci si può aspettare che il Natale si adatti alle moderne speranze di un grande futuro sociale.
Il Natale contraddice il pensiero moderno ed è un ostacolo al progresso moderno.
Radicato nel passato, e persino nel passato remoto, quale utilità può avere per un mondo in cui l’ignoranza storica è l’unica prova evidente della conoscenza scientifica? Nato da miracoli che sono stati raccontati più di duemila anni fa, non può certo aspettarsi di fare colpo su quel robusto senso comune che resiste baldanzoso persino dinanzi all’evidenza più chiara e palpabile dei miracoli che accadono in questo istante.
Ovviamente, avendo a che fare con questioni puramente psichiche, non è di alcun interesse per gli psicologi; avendo determinato l’atmosfera morale di milioni di persone per più di sedici secoli, non è di alcun interesse in un’epoca che si occupa di medie e di statistiche.
Il Natale è inerente alla più felice delle nascite, ma è il principale nemico dell’eugenetica; porta con sé una tradizione di verginità volontaria, ma non contiene alcuna indicazione pratica per la sterilizzazione obbligatoria.
Su ogni punto lo scopriamo in opposizione con quel grande movimento progressivo grazie al quale – lo sappiamo bene – l’etica si trasformerà in qualcosa di più etico e di più libero da tutte le distinzioni etiche.
Il Natale non è moderno, il Natale non è marxista, il Natale non è modellato sulla falsariga di quella grande era della Macchina che promette alle masse un’epoca di felicità e di prosperità ancor più intense di quella cui fino adesso le ha condotte.
Il Natale è medievale, essendo sorto agli albori dell’Impero Romano.
Il Natale è una superstizione. Il Natale è un relitto del passato.
Ma è veramente necessario continuare a elencare i motivi per lodare il Natale? Tutti i suoi doni e le sue glorie sono icasticamente compendiate in un dato già a sufficienza tratteggiato: il suo essere un fastidio per tutte quelle persone che si riempiono la bocca delle assurdità del nostro tempo.
È un motivo d’irritazione per tutti gli uomini che hanno perso i loro istinti, la qual cosa corrisponde davvero all’equivalente intellettuale del perdere i propri sensi. È un fastidio perenne per i tutti cafoni: che siano essi magnati dell’industria, o dell’informazione e del giornalismo internazionale, o di ogni altra cosa che appartiene all’odierno paradiso dei cafoni.
È una sfida lanciata alla cafonaggine, perché ci ricorda l’esistenza di un mondo più grazioso fatto di cortesia e rispetto, e di abitudini che postulavano una sorta di dignità nelle relazioni umane. È un rompicapo per i saccenti, i quali – invischiati da un gelido odio in una contraddizione perenne e senza uscita – non sanno decidersi fra il denunciare il Natale perché è una Messa [Nota de Gli scritti, in inglese Christmas vuol dire letteralmente Messa di Cristo, cioè Messa di Natale] – o, peggio, una mera messinscena papista –, e il cercare di provare allo stesso tempo che si tratta, in realtà, di una festa integralmente pagana, e che, quindi, era un tempo degna di ammirazione, come qualsiasi altra cosa inventata dai pirati della Scandinavia pagana.
Il Natale continua a ergersi dritto, integro e spiazzante: per noi rappresenta una cosa ben precisa, per gli altri un marasma d’incongruenze. 
Il Natale giudica il mondo moderno, perciò vogliono che se ne vada. Infatti sta andando. E forte.

(Gilbert Keith Chesterton)


Fonte: dal sito della rivista Tempi un testo di Gilbert Keith Chesterton pubblicato il 26/12/2013. Il brano “Il natale deve andarsene” (1933) della raccolta “Lo spirito di Natale” di Gilbert Keith Chesterton. L’opera, edita da D’Ettoris Editori e pubblicata a ottobre, è a cura di Maurizio Brunetti. 


Se l'uomo riceverà senza vana superbia l'autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato cioè da Dio, l'onnipotente, l'artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà nell'amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto.

- sant'Ireneo - 


Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio;
hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo,
ma per opera dello Spirito santo. L'angelo aspetta la
risposta; deve fare ritorno a Dio che l'ha inviato.
Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. [...]
O Vergine, da' presto la risposta.
Rispondi sollecitamente all'angelo, anzi, attraverso l'angelo, al Signore.
Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina,
emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.

san Bernardo



Dio, Signore e
Creatore dell’universo, colui che ha dato origine
ad ogni cosa e tutto ha disposto secondo
un ordine, non solo ama gli uomini, ma è
anche longanime. [..]
Dopo aver tutto disposto dentro di sé assieme al Figlio,
permise che noi fino al tempo anzidetto rimanessimo in balia d’istinti disordinati
e fossimo trascinati fuori della retta via
dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro arbitrio.
Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li sopportava;
neppure poteva approvare quel tempo d’iniquità,
ma preparava l’era attuale di giustizia, perché,
riconoscendoci in quel tempo chiaramente
indegni della vita a motivo delle nostre opere,
ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché,
dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno,
ne diventassimo capaci
per la sua potenza.

Dalla «Lettera a Diognèto»


Con questa frase di un NON CRISTIANO, di un ATEO come Sartre ricordiamo la diversità del Dio cristiano,un Dio per cui la gloria non è stare assiso tra i cieli ma incarnarsi in un bambino, posto in una mangiatoia ,allattato dalla propria madre ,incredula che quel Dio si possa baciare e accarezzare, un Dio - bambino nato per portare la salvezza a tutti....ancora Buon Natale.

Stefania