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domenica 29 settembre 2024

Babij Jar - Asatolij Vasil'evič Kuznecov (Oggi 29 settembre ricordiamo la strage del 1941)

 INTROIBO

Il 28 settembre 1941 i Tedeschi ordinarono agli ebrei di Kiev di presentarsi il giorno successivo nella zona dei Cimiteri pena la fucilazione. Alle prime luci dell'alba del 29 settembre una grande folla si radunò nel luogo stabilito. Le famiglie avevano cotto il pane per il viaggio. Noleggiato carri e calessi. I vecchi procedevano sorreggendosi l’un l’altro. Le madri tenevano in braccio i neonati. Spingevano le carrozzine. Trascinavano sacchi gli ebrei di Kiev, casse e valigie. La folla procedeva come la corrente di un fiume. Sui marciapiedi tedeschi in pattuglia. Questa processione di morte durò tre giorni e tre notti. La città ammutolì. Migliaia di persone, soprattutto vecchi, donne e bambini avanzavano verso Babij Jar. 

Ah Signore quanti bambini. I vecchi presto non ce la facevano più ed erano sorretti dai figli, dai parenti. Avanzavano in silenzio. Come condannati a morte. Poi alla fine della strada, delle scrivanie come in un ufficio postale. C'era un posto di blocco prima di un burrone orrendo. Documenti e oggetti di valore venivano ritirati. Per terra si alzò presto uno strato di carte d’identità, di passaporti. 

I tedeschi obbligavano tutti a spogliarsi. Via i bagagli, i cappotti, le scarpe. In un minuto restavano tutti nudi e indifesi. Non c'era nessuna distinzione fra uomini donne bambini. Poi a tutti sparavano alla nuca e facevano cadere i corpi in un dirupo e tutti si accorsero all'improvviso che cos’era Babij Jar.

da: Babij Jar , editore Adelphi

 

Vostro onore, non riuscivo ancora a comprendere quello che stava succedendo quando imboccai un lungo passaggio tra due file di soldati che tenevano in mano manganelli di gomma e grossi bastoni. Se qualcuno indugiava gli strappavano a forza i vestiti e lo picchiavano a sangue, ubriachi di odio e di rabbia, in una sorta di frenesia incontenibile. Non si vedeva bene che cosa ci fosse oltre quella scoscesa parete sabbiosa ma era da là che provenivano gli spari e le raffiche della mitraglia. Guardai giù e mi vennero delle vertigini e dei conati di vomito nello scorgere un mare di corpi insanguinati, accatastati uno sull’altro, come i pezzetti di un puzzle abbandonati da un bambino capriccioso. Un istante dopo ero in quella vasca di sangue, un odore fetido e nauseante mi costrinse ad intuire che ero ancora viva anche se rischiavo di morire soffocata dai corpi che venivano continuamente catapultati giù insieme a tonnellate di sabbia. Da lontano riuscii a scorgere tedeschi e polizei ucraini che selezionavano e ammucchiavano oggetti, altri uomini in divisa, dopo aver stuprato due ragazze, le pugnalarono velocemente e le gettarono giù nella voragine come fossero bambole di pezza. Le immagini cominciarono a farsi indistinte, immaginai di avere ancora accanto i volti di mio padre e mia madre che mi dicevano: “Bambina mia, andiamo a pagare il nostro ultimo debito a Dio”. Sono trascorsi cinque anni vostro onore, ed io ho provato a raccontare quell’orrore, ho tentato di combattere con i miei demoni e con le mie crisi cardiache, ho denunciato quell’inferno a cui sono miracolosamente scampata ma nessuno mi crede, sento intorno a me lo stesso astio e la stessa antica diffidenza nei confronti degli sporchi giudei e allora… tanto vale confidare i miei incubi solo alle marionette del Teatro di Kiev dove lavoravo come attrice e burattinaia, magari per provare a convincere me stessa che Babij Jar era stato un gioco, una recita di marionette vocianti e pupazzi dipinti di un rosso acceso che, chissà perché, mi avevano turbata e spaventata….- Dina –

da: Babij Jar , editore Adelphi



Sul bordo del dirupo mi strapparono di mano la mia borsa. Mi presero a bastonate e subito avevo il sangue sul cappotto. 

Mi dissero di spogliarmi e un cane mi morse un braccio mentre cadevo nudo sui primi corpi abbattuti come agnelli. In basso vidi uno strato di corpi su cui gettavano la terra e le persone ancora si muovevano. Mi hanno sparato alla tempia senza uccidermi nel trambusto colossale. Caddi nel vuoto come un sasso. Mi ritrovai sotto un carico di corpi sanguinanti e non potevo muovermi. 

I tedeschi scendevano e sparavano a qualsiasi cosa si muoveva. Avevo una bambina morta sulla faccia. Ero nascosto sotto i suoi capelli rossi. Trattenevo il respiro. Un soldato mi calpestò il petto credendomi morto poi piovve terra per un tempo infinito . Respiravo sotto la schiena di una donna. Poi venne la sera e una luna beffarda splendeva sul massacro. Si sentivano gemiti, lamenti e subito dopo colpi di pistola. Nel silenzio dell'alba strisciai fuori dai corpi come una serpe insanguinata. Ero magro, agile allora tanto che cominciai a risalire il dirupo di corpi aggrappandomi a spalle, teste, braccia. Trovai una catasta di cappotti, ne presi uno militare e mi gettai in un buco aperto in fondo alla collina. Mi nascosi per riprendere le forze. Avevo nelle orecchie la voce di una bambina che diceva -ma perché mi gettate della sabbia negli occhi in questo modo?-

da: Babij Jar , editore Adelphi



Quando mio padre mi disse che saremmo partiti la mia gioia fu grande. Volevo andarmene da Kiev. La gente intorno a me non sorrideva più e non era più un’abitudine guardarsi negli occhi. Passeggiando per le strade della città, mi accorsi che molti mi squadravano, mi osservavano dall’alto verso il basso con una strana espressione che non sono riuscita a decifrare, ma che di sicuro mi metteva una certa angoscia. Così diedi un leggero strattone alla giacca di mio padre e lo guardai negli occhi come per chiedere: “Perché? Cos’ho che non va?”. Lui distolse subito lo sguardo e non rispose. Mi accorsi solo dopo che una lacrima gli aveva rigato la guancia. 
La notizia della partenza aveva acceso un lume di speranza negli occhi di molte persone. Tanti erano euforici. Volevano ripartire da zero in un’altra città. La tristezza che si respirava nel nostro quartiere, adesso si era dissolta del tutto, lasciando spazio alla spensieratezza, ai pianti di gioia. Osservando gli altri appartamenti dalla finestrella della cucina, il naso appiccicato al vetro, mi accorgevo di come l’impazienza crescesse nelle persone in concomitanza con l’ottimismo che nei loro occhi non avevo mai visto e di come ognuno si dedicasse con attenzione e scrupolo alla preparazione dei propri bagagli. 
Io non mi preoccupavo molto di cosa mi sarebbe stato utile, mi soffermavo piuttosto ad immaginare la mia vita nuova di zecca, perciò andò a finire che scaraventai in una borsa le prime cose che mi capitarono sotto mano, per poi tornare ad esaminare i comportamenti altrui. 
Il giorno della partenza era il 29 settembre e noi fummo tra i primi a partire. 
A svegliarci fu il trambusto che c’era per strada: gente che si accalcava per raggiungere la prima fila, amici e parenti che si abbracciavano in segno di riconoscenza e bambini che schiamazzavano e correvano facendo infuriare i genitori. Uscimmo di casa giusto in tempo per avvertire il grido di un soldato vestito di tutto punto e con un fucile a tracolla, il quale ci ordinò di fare silenzio, disporci in file ordinate e seguirlo. Il cuore mi batteva forte per l’emozione. Ci incamminammo con un certo ritmo e col passare dei minuti mi tranquillizzai. Guardavo le persone che mi trovavo intorno: un uomo di mezza età, barba e capelli grigi, con una borsa di cuoio ed un enorme orologio da polso; due giovani innamorati che camminavano mano nella mano, rallentando a volte per scambiarsi carezze e occhiate piene d’amore . 

Pensai: “Chissà se mi innamorerò mai anch’ io…”. Avevamo già percorso tanta strada e qualcuno iniziò ad essere inquieto per il proprio destino. Ad un certo punto lo stesso soldato che ci aveva dato il segnale della partenza ci arrestò e iniziò ad urlare parole al vento che non capivo ma quando mi voltai verso mio padre per chiedergli spiegazioni, era come pietrificato. 

Vidi l’intera folla trasformarsi in un ammasso di scarafaggi che si buttavano l’uno addosso all’altro per cercare una via di fuga da non so che cosa, le madri in lacrime spingevano i figli più lontano possibile gridando loro di fuggire e di non voltarsi mai, di non preoccuparsi per loro perché prima o poi si sarebbero rivisti. Si levò un coro di voci terrorizzate che mandò in frantumi qualcosa dentro di me, una parte remota in fondo al mio stomaco. L’ultima immagine che vedo con chiarezza è mio padre cadere in ginocchio e abbracciarmi come non aveva mai fatto prima. Percepii il battito del suo cuore attraverso la pelle e mi sentii felice un’ultima volta, finché lui non mi fu strappato via insieme alla mia stessa vita. Il nostro viaggio era terminato, eravamo arrivati a destinazione. Ora ne comprendo il significato. Mi mancherai.

da: Babij Jar , editore Adelphi

                                          Monumento in ricordo della strage

Io, Asatolij Vasil'evič Kuznecov, autore di questo libro, nato il 18 agosto 1929 nella città di Kiev. Mia madre è ucraina, mio padre russo. Sul mio passaporto interno era scritto “nazionalità russa”.
Sono cresciuto a Kurenëvka, alla periferia di Kiev, non lontano dal grande burrone il cui nome al tempo era noto solo agli abitanti del posto: Babij Jar.
Come gli altri dintorni di Kurenëvka, era un luogo dei nostri giochi, un luogo, come si dice, della mia infanzia.
Poi di colpo, in un solo giorno, diventò famoso.
Per più di due anni fu zona proibita, con un recinto di spinato ad alta tensione, con un campo di concentramento, dei cartelli ammonivano che si sarebbe aperto il fuoco contro chiunque si fosse avvicinato............

l'autore: Asatolij Vasil'evič Kuznecov


Buona giornata a tutti :-)





lunedì 10 maggio 2021

10 maggio 1933 Quando il nazismo bruciò la cultura europea

Ogni anno, il 10 maggio, ricordo un tragico evento, purtroppo ormai dimenticato dai mezzi di informazione.
La data che voglio rammentare è quella del 10 maggio 1933. 
Quella sera, a Berlino, nella piazza del Teatro dell'Opera, l’Opernplatz, i nazisti organizzarono un gigantesco rogo nel quale bruciarono oltre 25.000 libri. 
Altri roghi simili si svolsero in numerose città tedesche, raccontati in diretta e con giubilo da Radio Germania. 
Il falò di Berlino fu organizzato con estrema attenzione poiché doveva essere un esempio per il Reich. Fu una vera e propria cerimonia ufficiale, quasi una liturgia a futura memoria. Si prestò attenzione, come amava fare il regime nazista, agli aspetti scenografici, alle musiche, ai canti. 
Persino all'illuminazione. 
I libri da bruciare erano accompagnati da una marcia alla quale presero parte i professori in toga, gli studenti, soldati delle SA e delle SS. 
Una lugubre processione, una celebrazione del più becero oscurantismo. 
L’obiettivo del regime era stato raggiunto: ormai divenuta "Judenrein" ("depurata dagli ebrei"), liberata dall’intellettualismo, la Germania hitleriana, dopo quella sera, fu un vero e proprio deserto culturale. 
I pochissimi intellettuali che restarono in Germania (è il caso di Martin Heidegger, uno dei più importanti filosofi del Novecento) dovettero rassegnarsi ad una cieca neutralità, chiudendo occhi e orecchie per non vedere e non sentire quanto accadeva intorno a loro. Ma la gran pare di loro abbandonò il Paese. 
Ebbe inizio, nel 1933, il più massiccio esodo intellettuale che la storia moderna abbia conosciuto: una vera e propria diaspora dell'intelligenza tedesca.
Con i roghi di Berlino e delle altre città, Goebbels, da poco nominato ministro della propaganda, lanciò la sua campagna contro i libri "non tedeschi" e contro la cosiddetta "arte degenerata". 
Si trattava della celebrazione dell’imbarbarimento della vita culturale tedesca dopo l'avvento del regime nazista. L'intento dichiarato di Goebbels era quello di cancellare qualunque testimonianza degli intellettuali che nel XIX e XX secolo avevano dato sviluppo alla moderna cultura europea.
Durante il rogo, Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Reich, tenne un violento discorso contro la cosiddetta “cultura degenerata”, affermando: “L’era dell’esagerato intellettualismo ebraico è giunto alla fine. Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito quale sia la strada della Germania e il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale scopo che vogliamo educarvi. 

Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita. 
Vogliamo educare i giovani a ripudiare la paura della morte allo scopo di condurli a rispettare la morte. 
Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato”.

Nei roghi finirono migliaia di opere letterarie e artistiche di autori che secondo il nazismo avevano "corrotto" e "giudaizzato" una presunta "cultura tedesca" pura: opere di autori lontani nel tempo, come Heinrich Heine e Karl Marx, ma soprattutto dei grandi intellettuali del periodo weimariano: gli scrittori Thomas Mann, Heinrich Mann, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Joseph Roth. I filosofi Ernst Cassirer, Georg Simmel, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Max Horkheimer, Ernst Bloch, Ludwig Wittgenstein, Max Scheler, Hannah Arendt, Edith Stein, Edmund Husserl, Max Weber, Erich Fromm, Martin Buber, Karl Löwith. L'architetto Walter Gropius. I pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian. Gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud. I musicisti Arnold Schönberg e Alban Berg. I registi cinematografici Georg Pabst, Fritz Lang e Franz Murnau. E centinaia di altri artisti e pensatori che avevano gettato le basi intellettuali dell'intera cultura del Novecento.

Era la cultura europea tutta che bruciava in quei roghi.
In un’Europa impotente a difendere le sue opere migliori come lo sarebbe stata in seguito nel difendere i suoi cittadini.
Il delirio nazista si estese presto all’accesso all’istruzione, dove vennero ribadite gerarchie razziali, arrivando a negare l’accesso alla scuola per gli ebrei e a proibire la letteratura e ogni rudimento di alfabetizzazione per gli slavi nei territori occupati durante la guerra. 

E’ emblematico l’atteggiamento di uno degli uomini più potenti del Reich nazista, Hermann Göring, che quando sentiva parlare di cultura, “metteva mano alla pistola”.
Fu anche un tentativo di risposta alla frustrazione delle masse, avvilite, nel giro di pochi anni, da due epocali crisi economiche. Folle abbacinate da soluzioni semplici quanto violente. 
Masse che saranno poi complici di un ancor più grande disegno di distruzione e di morte.
Le crisi, infatti, sono da sempre pessimi aruspici: leggono nelle viscere del disagio, profetizzando esclusivismi e demagogiche dittature.
Ogni dittatura ha sempre avuto tra i propri obiettivi abbattere la cultura e la letteratura. Ossia quelle oasi di pensiero dove più forte soffia la brezza della libertà. 
Pensiamo al rogo del 212 a.C., nella Cina di Qin Shi Huangdi, primo imperatore della dinastia Qin. 
Alla distruzione della Biblioteca di Alessandria d’Egitto, la più grande e ricca biblioteca del mondo antico. 
Al rogo di libri e di opere d’arte a Firenze, il 7 febbraio 1497, nel corso del cosiddetto "Falò delle vanità", promosso da Girolamo Savonarola. 
Sino al 1976, quando Luciano Benjamín Menéndez, generale dell'Esercito argentino, ordinò un rogo collettivo di libri, tra i quali si trovavano opere di Marcel Proust, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Pablo Neruda, Mario Vargas Llosa, Saint-Exupéry, Eduardo Galeano e molti altri.
Bruciare i libri non è solo un attacco alla cultura, ma anche all’intelligenza, perché è quest’ultima a dar loro vita. Non a caso, cinque anni prima del rogo berlinese, il pubblico ministero Michele Isgrò, a conclusione della sua requisitoria fatta il 4 giugno 1928 chiedendo la condanna di Antonio Gramsci, pronunciò le seguenti parole, alludendo proprio all’intelligenza dello stesso Gramsci: “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”.
I libri sono i silos in cui sono custodite le idee che, come semi, possono germogliare e attecchire nella coscienza e nell’intelligenza degli esseri umani. Dalle idee disseminate nei libri fiorisce il senso critico e lo spirito di libertà, che è l’impulso creatore presente nell’intelligenza dell’umanità. Ecco perché la cultura è sempre considerata pericolosa da parte dei tiranni e dei demagoghi di ogni genere.
Ha scritto Paco Ignacio Taibo II sul rogo del 1933: “A Berlino, nella Opernplatz, non brucia la carta, bruciano le parole. 
Bruciano i libri con le poesie di Bertolt Brecht, ma soprattutto bruciano i versi, le magnifiche parole: 
Non lasciatevi sedurre, non esiste alcun ritorno. 
Il giorno è alle porte, c’è già il vento della notte. 
Non verrà un altro domani. 
Non lasciatevi convincere che la vita è poco… 
Racconto questa storia per ricordare. Per non dimenticare”.

Anch’io non voglio dimenticare e invito tutti voi a fare altrettanto.
Il 10 maggio1933 si realizzò una profezia espressa nel 1817, in occasione di un altro falò di libri, da un altro degli autori bruciati sul rogo, Heinrich Heine: “Là, dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini”.

Difendiamo i libri e la cultura: per tutelare la nostra libertà.

- Stefano Marchesotti - 



«Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini.»

Purtroppo questa riflessione di Heine fu tristemente comprovata nel ventesimo secolo, con l'avvento del regime Nazista.
Il 10 maggio 1933, nella Bebelplatz di Berlino, furono bruciati 25.000 libri. 
Il preludio allo stermino di massa degli ebrei.



Migliaia di libri persi per sempre. Il rogo di libri nella Berlino del 10 maggio 1933 non fu organizzato dal governo di Hitler, bensì dagli studenti tedeschi stessi, infervorati dalla propaganda del nazismo che stigmatizzava gli intellettuali in genere, e in particolar modo quelli ebrei o di sinistra. Gli studenti dell’Università di Berlino passarono settimane a compilare liste di scrittori e libri ‘non tedeschi’, perlustrarono poi biblioteche pubbliche e private alla ricerca dei volumi incriminati.



“L'uomo del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo fatto di carattere. È a questo scopo che noi vi vogliamo educare”: non si tratta di un passo del celebre romanzo distopico di Ray Bradbury “Fahrenheit 451”, bensì di una delle frasi più atroci e pericolose pronunciate dall’uomo nel corso della Storia da Joseph Giebbels il 10 maggio 1933




Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 27 gennaio 2021

Il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa apriva i cancelli di Auschwitz

Il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa apriva i cancelli di Auschwitz.
Faceva freddo in quelle notti del gennaio 1945. 
Sempre più spesso i prigionieri di Auschwitz udivano forti esplosioni. Era il segnale che l'Armata Rossa si stava avvicinando. Ogni giorno un poco di più. Già il 18 gennaio, per paura di essere catturati, i gerarchi nazisti avevano iniziato la ritirata. 
Tutti i prigionieri sani furono evacuati: le SS portarono con sé più di 60.000 detenuti per un’ultima e terribile marcia verso i lager più occidentali. Pochissimi di loro arrivarono. Quasi nessuno sopravvisse a quella tragica e disumana marcia nel gelo.
Per cancellare le tracce dei loro crimini, inoltre, il 20 gennaio, ad Auschwitz, i nazisti avevano fatto saltare i forni crematori 2 e 3, dove erano stati bruciati i corpi di centinaia di migliaia di ebrei.
La notte tra il 25 e il 26 fu la volta del crematorio 5.
Il giorno dopo le truppe sovietiche della prima armata si trovarono di fronte il cancello del lager, dove campeggiava una delle insegne più tristemente famose dello scorso secolo: "Arbeit Macht Frei": il lavoro rende liberi.
Entrarono quindi nel campo di sterminio, trovando 7.000 prigionieri ancora in vita. Erano quelli abbandonati dai nazisti perché considerati malati.
Quando entrarono nel campo principale, i soldati dell'Armata Rossa trovarono i corpi di circa 600 prigionieri giustiziati dai nazisti in fuga o morti di stenti. I restanti uomini, donne e bambini ancora vivi versavano in condizioni strazianti. 
Appena dopo l'ingresso nel lager, il corpo di Sanità sovietico organizzò il primo ospedale da campo, nel quale furono chiamati a prestare servizio numerosi volontari polacchi dalla vicina cittadina di Oswieçim, che i tedeschi chiamavano appunto Auschwitz. 
Molti dei prigionieri erano gravi e costretti a letto. Tra questi vi erano oltre 400 bambini vittime, oltre che della fame e delle disperate condizioni igienico-sanitarie, anche degli esperimenti del medico delle SS Josef Mengele. 
La maggior parte degli ex-internati dovette attendere 3 o 4 mesi di riabilitazione prima di poter fare ritorno a casa, poiché il loro fisico non era più in grado di ricevere un'alimentazione normale. Molti dei bambini rimasti orfani nel lager furono portati in orfanotrofi o case-famiglia nei mesi di febbraio e marzo 1945. Soltanto pochissimi avrebbero avuto la fortuna di riunirsi con i propri genitori.
Primo Levi l’ha ribadito in numerose occasioni: la liberazione non ebbe niente di festoso, ma fu accompagnata – in chi non era troppo malato o denutrito, per rendersi conto di quanto accadeva – da un insieme di sentimenti contrastanti: la consapevolezza dell’offesa subita, la vergogna per essere sopravvissuti, il rimorso per azioni immorali compiute durante la prigionia o per omissioni di soccorso nei confronti di compagni in difficoltà. 
In altri soggetti, il delirio, la follia o il mutismo totale denotavano che l’esperienza del lager li aveva completamente devastati; in tutti i superstiti, avrebbe lasciato segni profondi e del tutto indelebili.
Il tentativo di annientamento degli ebrei d’Europa perpetrato dal nazismo e dai suoi alleati, nel segno di una ideologia criminale che si abbatté anche contro altre categorie, teorizzando la supremazia di uomini su altri uomini e portando l’Europa e il mondo a una immane catastrofe, è una parte della nostra storia collettiva che scuote le coscienze, spingendo le persone a chiedersi come possa essere accaduto.
Nei campi di sterminio non perirono soltanto donne, bambini e uomini ebrei. Non dobbiamo scordarlo.
Le vittime furono complessivamente fra i 13 e i 19 milioni.



Gli ebrei nei campi di sterminio erano contraddistinti da una stella a 6 punte gialla. 
I popoli rom e i sinti avevano invece il triangolo nero.
Ma la difesa della razza era anche lo sterminio dei disabili fisici o mentali. Già prima della guerra era stato predisposto il programma Aktion T4. 
Questo programma di eugenetica mirava all'eliminazione dei bambini disabili ed alla pratica dell'eutanasia sugli adulti ricoverati o portatori di malformazioni congenite. Si stima che l'esecuzione del programma sia costata la vita di oltre 200.000 persone.
In Germania, la Legge per la prevenzione delle nascite affette da malattie ereditarie, promulgata il 14 luglio 1933, aveva richiesto ai medici di registrare qualsiasi caso di malattie ereditarie, ad eccezione di quelle che affliggessero le donne al di sopra dei 45 anni. La violazione delle norme sulla registrazione era punibile mediante multe. 
Nel 1934, il primo anno di entrata in vigore della legge, circa 4.000 persone presentarono ricorsi amministrativi contro le decisioni delle autorità responsabili per la sterilizzazione. 3.559 ricorsi furono respinti. 
Tra il 1933 e la caduta del regime nazista, ebbe luogo l'istituzione di oltre 200 "Corti per la salute ereditaria" (Erbgesundheitsgerichten), che disposero la sterilizzazione coatta di oltre 400.000 persone.
Gli scienziati tedeschi elaborarono dunque una vera e propria teoria dell’eutanasia sociale, secondo cui bisognava porre fine alle vite non degne di essere vissute, le Lebensunwertes Leben. 
In tal modo si sarebbero risparmiate inutili sofferenze a individui irrecuperabili ed in più si sarebbe garantito che non riproducendosi non avrebbero indebolito la razza. I malati psichici furono spesso utilizzati come cavie umane dagli scienziati nazisti.


Gli omosessuali portavano il triangolo rosa.
Il triangolo rosso cucito sugli abiti nei lager segnalava un altro tipo di prigionieri: gli oppositori politici. 
Milioni tra comunisti, liberali, antifascisti in genere furono deportati con accuse quali resistenza ideologica, sabotaggi, tentata evasione. 
Per i nazisti erano in odore di marxismo anche i cosiddetti “Bibelforscher“, i Testimoni di Geova. Il loro triangolo era viola. Gli aderenti a questo movimento rifiutavano il servizio militare e il saluto nazista, il celebre “Heil Hitler”, in quanto incompatibili con il loro credo: secondo la loro convinzione, infatti, esiste un solo Dio, Geova, e solo a lui, e a nessun altro potente, nemmeno a Hitler, potrebbe mai essere indirizzato un saluto di siffatta riverenza. 
Negli anni del Terzo Reich circa 10.000 Testimoni di Geova, per la maggior parte di nazionalità tedesca, vennero imprigionati e uccisi nei campi di concentramento: la metà degli aderenti al movimento!


Secondo i documenti britannici e le rilevazioni dell’Armata Rossa le vittime potrebbero essere così suddivise, seppure a grandi linee:
- 5,9 milioni di ebrei
- 3 milioni di prigionieri sovietici
- 2 milioni di polacchi (non ebrei)
- 500 mila di Rom e Sinti
- 200 mila disabili e portatori di handicap
- 50 mila cristiani pentecostali
- 200 mila massoni
- 15 mila omosessuali
- 10 mila Testimoni di Geova
- 2,5 milioni di oppositori politici
- 1,5 milioni di prigionieri slavi

Alfred Hitchcock, nel 1945, ha diretto un documentario sull’Olocausto rimasto segreto fino al 1985. Era il re dell'orrore, o perlomeno stava per diventarlo, ma le immagini che si trovò davanti in una saletta dei “Pinewood Studios” fecero arretrare inorridito anche lui.
Prodotto da Sidney Bernstein su ordine del Comando Supremo delle Potenze Alleate in Europa, il documentario fu girato da cineoperatori inglesi al seguito dell’esercito, in dieci campi di concentramento, inclusi Dachau, Buchenwald, Bergen-Belsen e Mauthausen. 
Successivamente fu montato da Hitchcock. 
La pellicola avrebbe dovuto inchiodare la Germania alle sue responsabilità, ma il vento della Realpolitik iniziò presto a soffiare e, per mantenere i rinati equilibri tra vincitori e sconfitti, che hanno dato il via alla cosiddetta “guerra fredda”, si accantonò il documentario, considerato troppo crudo: mostrava montagne di cadaveri scheletrici, cumuli di capelli, di occhiali, valigie e giocattoli. Nel filmato si vedono prigionieri con ancora addosso l'uniforme a strisce dei lager, internati che fanno la doccia per la prima volta senza il timore di finire in una camera a gas o che lottano ostinatamente per sradicare il tifo.
Nel 1985 la pellicola fu rinvenuta negli archivi di Stato britannici e si è dovuto aspettare altri vent’anni, fino al 2014, perché l’antropologo André Singer mettesse le mani sul materiale e lo portasse finalmente alla luce nel suo documentario “Night will fall” (Perché non scenda la notte).


E’ purtroppo vero che anche le grandi democrazie hanno una responsabilità nell’Olocausto: Usa, Canada, Gran Bretagna e altri Paesi avrebbero potuto accogliere i rifugiati ebrei già alla fine degli anni Trenta, ma si rifiutarono. Nel 1938, alla conferenza sui rifugiati ebrei che si tenne a Evian-les-Bains, in Francia, parteciparono 32 Paesi. Nessuno, tranne la Repubblica Dominicana e la Bolivia, rivide le proprie quote d’immigrazione.
Così come dobbiamo rammentare che proprio 80 anni fa, nel 1938, l’Italia si rese protagonista di una vergognosa legislazione anti-ebraica. 
Il 22 agosto del 1938 ebbe luogo il censimento speciale nazionale degli ebrei, ad impostazione razzista. Vennero censite 58.412 persone aventi per lo meno un genitore ebreo; di esse, 46.656 si dichiarano apertamente ebree. Si trattava di circa l’1 per mille della popolazione della penisola. Successivamente, il 2 settembre dello stesso anno, il Consiglio dei ministri approvò un primo gruppo di decreti antiebraici. Essi contenevano tra l’altro provvedimenti immediati di espulsione degli ebrei dalla scuola e di espulsione della maggior parte degli ebrei stranieri giunti nella penisola dopo il 1918.
Dopo che il 6 ottobre il Gran consiglio del fascismo approvò la “Dichiarazione sulla razza”, testo che dettava le linee generali della legislazione antiebraica, il 10 novembre del 1938 il Consiglio dei ministri approvò un secondo e più organico gruppo di leggi antiebraiche. 
Esse tra l’altro contenevano la definizione giuridica di “appartenente alla razza ebraica” e disposero il divieto di matrimonio tra “ariani” e “semiti”; inoltre recavano provvedimenti di espulsione degli ebrei dagli impieghi pubblici, dalla scuola e di limitazione del loro diritto di proprietà.



Assenza fatale

Un giorno Dio si assentò dalla Terra
per trascorrere interminabili anni di vacanze…
lasciando che il disordine degli eventi si manifestasse.
Le nubi oscurarono la luce dei cuori… e si scatenò l’inferno.
Campi di grano di spighe vuote inondati di sangue
di fiori morti… dai rigogliosi sprezzi e copiosi odi.
Coglievan le bestie a piene mani le vite innocenti
tra sordi e ciechi… e indifferenti macere coscienze.
Invano la Terra implorava pietà!
ma fu… la catastrofe dei popoli e dei valori umani.
Dio tornò e urlò alle genti… vergogna!
Marchiando l’uomo a bestia per sempre… e pianse.
Inondando la Terra da colpose lacrime per esser mancato…
e tornò alla luce, pian piano… la pace in Terra e nei cuori.

- Marco Spyry - 






Buona giornata a tutti. :-)




martedì 26 gennaio 2021

Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! - Voltaire

 Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo, ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato, a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura. Fa' sì che questi errori non generino la nostra sventura.

Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l'un l'altro, ne delle mani per sgozzarci a vicenda; fa' che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera.
Fa' sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati "uomini" non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.
Fa' in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera; che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo.
Fa' che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio del fango di questo mondo, e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano "grandezza" e "ricchezza", e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell'attività pacifica! Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace, ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.


Voltaire, Trattato sulla tolleranza, 1763


Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

Elie Wiesel, La notte 




“Non lontano da noi delle fiamme salivano da una fossa, delle fiamme gigantesche. Vi si bruciava qualche cosa. Un autocarro si avvicinò e scaricò il suo carico: erano dei bambini. Dei neonati! Sì, l’avevo visto, l’avevo visto con i miei occhi…dei bambini nelle fiamme. C’è dunque da stupirsi se da quel giorno il sonno fuggì i miei occhi?”

Elie Wiesel, La notte 




“Un giorno riuscii ad alzarmi, dopo aver raccolto tutte le mie forze. Volevo vedermi nello specchio che era appeso al muro di fronte: non mi ero più visto dal ghetto. Dal fondo dello specchio un cadavere mi contemplava. Il suo sguardo nei miei occhi non mi lascia più”. 

- Elie Wiesel -





Domani è la giornata in cui si ricorda lo sterminio perpetuato dai nazisti e da ... 
 tanta brava gente
Per non dimenticare .... buona giornata a tutti. :-)

sabato 29 settembre 2018

29 settembre 1941, il massacro di Babij Jar - Evgenij Evtushenko

Menorah 1991 (a 50anni dalla strage)

Il 29 settembre 1941 a Babi Yar, nei dintorni di Kiev, le SS naziste con la collaborazione della polizia ucraina massacrarono a colpi di mitragliatrice 33.771 ebrei. 
Un terzo di loro erano bambini. 
Il massacro continuò fino al 3 ottobre e i corpi furono gettati gli uni sugli altri in una fossa. Alcune vittime respiravano ancora e fu loro dato il colpo di grazia con le granate. Nei tre anni successivi, nello stesso luogo e con lo stesso sistema, furono uccisi sessantamila persone tra rom, comunisti, prigionieri di guerra russi tra cui i marinai della flotta del Mar Nero catturati durante la conquista di Sebastopoli. Si calcola che alla fine i morti furono 100.000


Nell'agosto del 1943, alla vigilia della liberazione di Kiev da parte dell' Armata Rossa i nazisti impiegarono 327 prigionieri per esumare e bruciare i corpi.

Per molto tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale  ci fu la volontà di "censurare" e "rimuovere" la memoria dei masacri compiuti a Babij Jar. 

monumento costruito "solo" nel 1976


Venti anni dopo, nel settembre 1961, un giovane poeta russo, Evgenij Evtushenko, sconvolto dalla scoperta del massacro degli ebrei di Kiev (taciuto dall'Unione Sovietica) scrisse "Babi Yar", la poesia che ispirò a Dimitrij Shostakovitch la sua celebre tredicesima sinfonia.

«Non c'è segno di ricordo a Babi Yar.
Le scogliere a picco sono là come tante pietre tombali.
Mi fa paura.
Mi sento vecchio,
vecchio come il popolo degli ebrei.
Mi sembra di essere un ebreo.
Attraverso a piedi l'antico Egitto.
Qui, io muoio, inchiodato ad una croce,
e ancora oggi porto le ferite dei chiodi.
Mi sembra di essere Dreyfus.
I borghesi sono delatori e giudici.
Sono imprigionato,
perseguitato, calunniato e ricoperto di sputi.
Signore che a stento frenano il riso,
vestite con incredibili abiti di trine ,
mi punzecchiano il viso con i loro ombrelli.
Poi mi sembra di essere un ragazzo di Białystok.
Il sangue ricopre il pavimento.
I brutti ceffi della taverna puzzano di vodka e cipolla.
Mi colpiscono al fianco con uno stivale.
Invano chiedo un po' di pietà a questi massacratori.
Alcuni commercianti di grano violentano mia madre.
Oh, mio popolo russo!
Lo so che sei internazionale
Ma alcuni, con la coscienza sporca,
troppo spesso hanno trasformato
questo tuo sacro nome
in un simbolo di malvagità.
Conosco la mia terra, la sua bontà.
Questi antisemiti sono spregevoli.
Senza esitazione si definiscono:
"Unione del popolo russo"!
Penso a me come se fossi Anna Frank,
traboccante di vita come un ramo all'inizio di aprile
Sono innamorato e non ho bisogno di parole vuote,
ma ho bisogno di guardarci l'uno nell'altro.
Quanto poco possiamo vedere o sentirci!
Le foglie ed il cielo ci sono negate,
ma ci sono molte cose che possiamo fare -
possiamo delicatamente abbracciarci l'uno all'altro
nell'oscurità della stanza!
"Stanno arrivando!"
"Non temere.
È il delicato suono della primavera
Dammi le tue labbra..."
"Stanno abbattendo la porta!"
"No, è il ghiaccio che si sta rompendo nei fiumi..."
Su Babi Yar si sente il fruscio dell'erba.
Gli alberi sono minacciosi, come giudici.
Ogni cosa grida nel silenzio e,
scoprendomi la testa,
sento lentamente i miei capelli diventare bianchi.
E io divento un urlo continuo,
sulle migliaia e migliaia di persone seppellite qua.
Io sono ognuno degli anziani fucilati qui.
Io sono ognuno dei bambini fucilati qui.
Niente dentro di me dimenticherà, mai!
Che suoni l'Internazionale fino a quando
l'ultimo antisemita sulla terra
sarà seppellito, per i secoli dei secoli.
Nel mio sangue non c'è sangue ebraico.
Nella loro follia, tutti gli antisemiti
dovrebbero ora odiarmi come se fossi un ebreo.
E per questo sono un vero russo!»


- Evgenij Evtushenko -



Per non dimenticare.