Il 6 agosto 1945. L’ho ricordato anche
in passato, ma ogni volta cerco di narrarlo con qualche elemento nuovo, qualche
particolare in più, per quanto triste possa essere, stante l’oggetto del
ricordo.
Il 6 agosto del 1945 era un lunedì. Il mattino di quel giorno, a Hiroshima, il
cielo era chiaro e sereno.
Ne erano lieti gli abitanti. Anche i bambini, che si accingevano a fare una
povera colazione: una focaccina di riso e una
tazza di te amaro.
In realtà non era una fortuna, anzi. Fu proprio la giornata
serena a far scendere l’inferno sulla città. Non l’inferno di Dio, quello
umano, perché l’uomo è più efficace di Dio nel creare inferni.
La notte era stata turbolenta.
L'allarme aereo delle 0,25 era terminato alle 2,10.
La gente era tornata a dormire quando alle 7,09 un altro allarme aereo la
svegliò. Un semplice aereo da ricognizione americano ad alta quota e quindi
fine allarme alle 7,31. Nessuno immaginava il motivo della ricognizione e che,
pochi minuti dopo il rapporto sulle condizioni metereologiche a Hiroshima, le
ultime disposizioni sarebbero state notificate al colonnello Paul Tibbets, già
in rotta per il Giappone a bordo del bombardiere denominato Enola Gay.
Enola Gay: il nome della madre di Tibbets.
Intanto a Hiroshima la gente, dopo una frugale
colazione, usciva per avviarsi al lavoro.
I raid aerei americani avevano già devastato una gran
parte delle maggiori città giapponesi. In preparazione a tale eventualità,
Hiroshima si organizzò nel preparare zone da cui operare lo spegnimento dei
fuochi. A questo scopo fu necessario demolire un gran numero di edifici, così
da fungere da barriere antifiamme.
Il 6 agosto, squadre composte principalmente da
veterani, corpi di volontariato della città e dei dintorni, corpi studenteschi
(bambini di seconda e terza media inferiore, la maggior parte dei quali di 12 o
13 anni), bambini e bambine delle classi maggiori delle scuole elementari si
preparavano per questi lavori di demolizione.
Scigheo, un bambino di 10 anni, racconta nel
celebre libro “Il gran sole di Hiroshima”: “La nostra scuola è chiusa già da
tanto tempo. I maestri sono andati a fare il soldato. Le maestre lavorano per
la guerra. Io devo badare a mia sorella. Le nostre vicine sono tutte nelle
fabbriche, meno la signora Kumakici, perché è molto vecchia”. Dei circa 8.400
bambini impegnati quel giorno, circa 6.300 vennero uccisi all’istante dalla
bomba.
Hiroshima fu scelta per caso, solo per le buone
condizioni atmosferiche di quella mattina.
Il famoso aereo ricognitore delle 7,09, infatti,
comunicò implacabilmente: “a Kokura cielo coperto in prossimità del suolo per
nove decimi; a Nagasaki coperto totalmente; a Hiroshima quasi sereno,
visibilità 10 miglia".
L'Enola Gay sorvolò la zona a 10.500 metri di
altezza e alle 8,15 venne sganciato l'ordigno.
Il pilota scese in picchiata,
guadagnò velocità, virò di 180 gradi e si allontanò. Aveva 45 secondi di tempo.
A 600 metri dal suolo la bomba esplose, creando una palla di fuoco che
abbagliava come un piccolo sole. Più di un milione di gradi Celsius al suo
centro e le superfici vicine all'epicentro arrivavano a 3.000-4.000 gradi.;
dopo 7 secondi il silenzio fu rotto da un tuono assordante: vennero distrutti
tutti gli edifici nel raggio di tre chilometri, 30.000 persone morirono sul
colpo, altre decine di migliaia nel giro dei due giorni seguenti. Centinaia di
migliaia nei mesi e negli anni a venire.
Una colonna di fumo si alzò lentamente
a forma di fungo fino a 17.000 metri dal suolo. Iniziò a cadere una pioggia
viscida. I fiumi strariparono e invasero ciò che rimaneva della città
giapponese.
Molti esseri umani sull'asfalto avevano lasciato
solo l'ombra di un sole devastatore fabbricato da altri umani; la loro anima
era salita in cielo insieme a quel lampo che aveva visto il pilota, ma pure i
loro corpi stavano salendo in cielo insieme al grande fungo, perché tutti corpi
erano diventati ormai molecole, atomi.
Non vorrei annoiarvi, ma la tragedia di Hiroshima
credo mi autorizzi a dilungarmi un poco, riportandovi il racconto della signora
Keiko Ogura, 78 anni, miracolosamente sopravvissuta, riportato dal quotidiano
“La Stampa”: “Ero a casa, 2,4 chilometri a nord dall’epicentro dello scoppio.
Mio padre aveva voluto che restassi a casa; erano passati molti aerei nei
giorni precedenti e temeva iniziassero i bombardamenti.
Scoprimmo dopo che si
trattava di voli di ricognizione. Erano le 8 e un quarto di mattina: fui
colpita da una luce fortissima e violenta, che mi scaraventò a terra, svenuta.
Quando ripresi conoscenza tutti i vetri erano in mille pezzi, i mobili erano in
frantumi. Mio fratello maggiore, come molti altri ragazzi, era stato mandato a
costruire muri tagliafuoco, perché si temeva che anche Hiroshima avrebbe subito
i bombardamenti che avevano carbonizzato Tokyo. Così molti studenti erano nel
centro della città, e lì sono morti.
Mio fratello vide l’aereo e poi,
l’esplosione. Per tornare a casa dovette salire sulla collina, da dove vide la
città completamente in fiamme. Hiroshima bruciò per tutta la notte e tutto il
giorno dopo. Eravamo confusi, perché per bruciare una città intera ci sembrava
ci fosse bisogno di molte bombe, e ne era caduta una sola. Poi arrivarono i
superstiti. Camminavano come fantasmi: tenevano le braccia in avanti mentre la
pelle cadeva a brandelli. Avevano addosso solo lembi di vestiti bruciati, erano
così sfigurati, gonfi e ustionati da essere irriconoscibili. Alcuni avevano i
capelli dritti sulla testa, erano quasi nudi, con i corpi così malridotti che
non si capiva se fossero uomini o donne. All’inizio, nessun medico era in grado
di aiutare nessuno: pensavano che si fosse trattato di un qualche gas velenoso,
non si sapeva come soccorrere i sopravvissuti. Eravamo un esperimento. I feriti
più gravi chiedevano acqua disperatamente. Io sapevo che non si doveva dare
acqua agli ustionati, ma le loro grida erano troppo insistenti e ho portato
acqua ad alcuni di loro. Mi sento colpevole della loro morte, non ho mai potuto
dimenticarlo. Non avevamo niente per aiutarli.
Alcuni mettevano fettine di
patate sulle bruciature, ma la vera lotta era contro la fame. Altri ragazzi
della nostra età erano stati evacuati sulle montagne. Tornarono scoprendo di
essere diventati orfani, e che le loro case non esistevano più. Anche per molti
di loro però la distanza non era stata sufficiente: perdevano i capelli,
avevano nausee fortissime, poi sopravveniva la febbre e morivano. Il fiume era
pieno di cadaveri”.
Sono certo che avrete colto un espressione della
signora Ogura, tagliente come una lama, che dovrebbe ferire le coscienze di
tutti: “Eravamo un esperimento”. Non più essere umani, ma cifre da statistica,
palline da spostare sull’abaco dell’efficienza bellica.
Cavie per capire gli
effetti delle radiazioni sul corpo umano.
Ancora una storia. La racconta Roberto Olla su RAI
News. Ci parla di Sunao Tsuboi . Eccola: “«Sul mare luccica l'astro d'argento,
placida è l'onda, prospero è il vento, venite all'agile barchetta mia, Santa
Lucia, Santa Lucia». Così cantava Sunao Tsuboi alla sua fidanzata la sera del 5
agosto 1945.
Si, proprio in italiano. L'Italia era di gran moda in Giappone e
"Santa Lucia" era la canzone d'amore per eccellenza. Aveva vent'anni.
Prima o poi la guerra sarebbe finita e lui voleva sposarsi.
Al tramonto di
quella calda giornata estiva, dopo una lunga passeggiata, lui e la sua ragazza
avevano scelto un ponte tra i tanti che offre Hiroshima, la città dei fiumi.
Sunao cantava, bella voce, conosceva tutto il testo a memoria.
Lei ascoltava e
lo pregava di ricominciare ancora una volta. Rimasero così per ore, a
desiderarsi nel buio tra i luccichii dell'acqua. Quella maledetta guerra
sarebbe finita. Certo. Tutte le guerre prima o poi finiscono. In qualche modo.
E allora, il loro amore.....
Alle 8,15 del giorno dopo, sul cielo sopra
Hiroshima esplose una bomba. Una sola. Un lampo. Un istante. In quell'istante,
8,15 del 6 agosto 1945, la fidanzata di Sunao Tsuboi scomparve, evaporata
assieme ad altri 70.000 abitanti di Hiroshima, evaporata assieme ai tram e alle
case, assieme agli alberi e alle panchine, assieme alle macchine e agli
animali. Di quella ragazza che la notte prima ascoltava "Santa Lucia"
non rimase la minima traccia. Nel raggio di cinquecento metri dal ground zero,
la verticale su cui esplose la bomba, non sopravvisse nessuno e di nessuno
furono trovati resti.
Una donna aspettava l'apertura della sua banca seduta sui
gradini. Di lei è rimasta solo un'ombra scura sulla pietra. Degli altri edifici
non sono rimasti neppure i gradini. Tutto è finito nella colonna di vapore
rovente e nero. Sunao Tsuboi negli anni, ha ricostruito la sua faccia e
sorridere lo metteva in pace con la sua anima. Lui ha fatto della sua lunga
vita una missione di pace. Ma sempre combattendo con gli effetti delle
radiazioni.
Per due volte ha avuto il cancro. L'hanno salvato sottoponendolo a
"bombardamenti di radiazioni". E lo diceva ridendo: "Ma cosa
vuole che mi facciano un altro po' di radiazioni! A me!". Sorrideva
sempre, anche quando raccontava la sua storia d'amore. Di lei, di quella bella
ragazza voleva ricordare la notte sul fiume di Hiroshima: venite all'agile
barchetta mia! Santa Lucia, Santa Lucia”.
Gli effetti delle radiazioni andarono ben oltre ciò
che poteva essere visto a occhio nudo subito dopo l'esplosione della bomba
atomica.
Conseguenze si susseguirono per decadi a venire e continuano a
persistere ancora al giorno d'oggi.
All'inizio del 1946, le cicatrici di alcuni
superstiti si innalzarono prendendo la forma di cordoncini chiamati cheloidi.
Superstiti che al momento dell'esplosione si trovavano nell'utero nacquero con
microlissencefalia con le conseguenti limitazioni mentali e fisiche. Intorno al
1950, il numero di casi legati alla leucemia levitarono sostanzialmente.
A partire dal 1955 tiroide, cancro al seno e ai
polmoni incrementarono. Ancora al giorno d'oggi spiegazioni sugli effetti delle
radiazioni sono inadeguate.
Era necessario ai fini dell’esito bellico il
sacrificio delle centinaia di migliaia di civili che morirono ad Hiroshima e,
qualche giorno dopo, a Nagasaki?
Probabilmente no. Gli U.S.A. avevano infatti già
ricevuto una richiesta di pace da parte del Giappone e i rapporti
dell'aviazione affermavano che lo stato nipponico si sarebbe arreso certamente
entro la fine dell'anno anche senza che si dimostrassero necessari lo sgancio
dei due ordigni o le invasioni sul territorio giapponese. Nel '45 il timore di
vedere la Germania vittoriosa non esisteva più e il Giappone era sul punto di
arrendersi, ma gli U.S.A. avevano utilizzato le uniche due bombe di cui erano a
disposizione con una fretta ingiustificabile. I più autorevoli scienziati
statunitensi avevano inoltre ammonito il presidente di non utilizzare la bomba
contro civili.
“Anche senza i bombardamenti atomici”, riferì il
Rapporto sui Bombardamenti Strategici degli Stati Uniti del 1946, “la
supremazia aerea nei confronti del Giappone avrebbe esercitato una pressione
sufficiente a indurre la resa incondizionata e a evitare la necessità
dell’invasione. Basandosi su un’indagine dettagliata dei fatti, e con il
sostegno delle testimonianze dei leader giapponesi sopravvissuti coinvolti
nella questione, è opinione del Rapporto che il Giappone si sarebbe arreso
anche se le bombe atomiche non fossero state sganciate, anche se la Russia non
fosse entrata in guerra, e anche se non fosse stata prevista o contemplata
un’invasione”.Gli Archivi Nazionali di Washington contengono
documenti del governo americano che registrano aperture di pace da parte dei
giapponesi già nel 1943. Non ne venne presa in considerazione nessuna.
Perché il presidente aveva agito comunque? Alcuni
scrittori indicano quale motivo il fatto che Stalin si era impegnato ad
attaccare il Giappone per l'8 agosto. Era chiaro che se la Russia fosse
riuscita a scontrarsi vittoriosamente con il Giappone finché gli Stati Uniti
erano fermi a Okinawa, ne avrebbe ricavato un grande prestigio internazionale,
a danno degli Usa. Così, sganciate le due bombe, l'attacco russo riuscì, ma
passò inosservato, a causa del clamore provocato dall'utilizzo della bomba
nucleare. Qualcuno arriva così a dire che il lancio delle bombe può già essere
considerato il primo atto della guerra fredda.
Non a caso il comunicato della Presidenza degli
Stati Uniti, nel celebrare la carneficina, affermava: "Siamo in grado di
dire che usciamo da questa guerra come la nazione più potente del mondo. La
nazione più potente, forse, di tutta la storia". Chissà se il presidente
di allora degli Stati Uniti d'America, Harry Truman, dormì bene le notte successive
all’ordine di usare le bombe atomiche. Ma forse era assuefatto alle stragi di
civili compiute dall’aviazione americana. In Germania il sistematico
bombardamento delle città tedesche causò centinaia di migliaia di vittime, che
culminarono con il bombardamento di Dresda che causò la morte di 35 000 persone
e la distruzione di una delle maggiori città d'arte tedesche. Stessa sorte
toccò peraltro all'Italia, che vide pesantemente bombardati i maggiori centri
industriali e portuali di tutta la penisola con enormi devastazioni e
tantissime perdite umane.
Molti scienziati rimasero inorriditi dall’uso
militare dell’energia atomica. Si giunse al “Manifesto di Russell-Einstein”,
una dichiarazione presentata il 9 luglio 1955 a Londra in occasione di una
campagna per il disarmo nucleare e che aveva avuto come promotori Bertrand
Russell e Albert Einstein. Nel documento - controfirmato da altri 11 scienziati
e intellettuali di primo piano - Einstein e Russell invitavano gli scienziati
di tutto il mondo a riunirsi per combattere i rischi per l'umanità prodotti
dall'esistenza delle armi nucleari. Tra i redattori del Manifesto vi fu anche Joseph
Rotblat, che fu uno degli scienziati coinvolti nel progetto della bomba atomica
e che abbandonò il lavoro a causa di contrasti di natura morale. Rotblat
diresse la conferenza stampa di presentazione del Manifesto a Caxton Hall, a
Londra. Fu sua la celebre frase: “Ricordatevi della vostra umanità, e
dimenticate il resto”.
Ma se Rotblat si ritirò dal progetto, vi fu anche
chi rifiutò di entrarvi. Fu un italiano: il fisico Franco Rasetti.
Nel gennaio del 1943, mentre dirigeva il nuovo
dipartimento di Fisica dell'Università di Quebec, rifiutò di partecipare al
progetto anglo-canadese per lo sviluppo dell'energia nucleare a scopi militari.
Negli anni successivi tenne sempre ferma questa sua scelta e criticò duramente
quegli scienziati che avevano fatto la opzione opposta rivendicando non solo
l'importanza delle scoperte scientifiche, ma anche l'eticità della loro
applicazione. Dopo la guerra, con il conseguente sganciamento delle bombe
atomiche, abbandonò gli studi fisici dedicandosi con successo alla botanica e
alla paleontologia.
"La fisica non può vendere l'anima al
diavolo", disse Franco Rasetti dopo Hiroshima e Nagasaki.
Al contrario il presidente degli Stati Uniti Harry
Truman, una volta appresi gli effetti del bombardamento di Hiroshima dichiarò:
“E' il più grande giorno della storia".
Chissà che cosa gli avrebbero risposto, se avessero
potuto, le decine di migliaia di bimbi che quel giorno e nei mesi a venire
morirono atrocemente a Hiroshima prima ed a Nagasaki poi?
6 agosto 1945. Poteva essere un’occasione per
riflettere sulle potenzialità distruttive della guerra combattuta con le armi
frutto dei progressi scientifici. Ma naturalmente così non è stato, perché,
come scrisse Antonio Gramsci, “l'illusione è la gramigna più tenace della
coscienza collettiva; la storia insegna, ma non ha scolari”. Ecco allora che la
successiva proliferazione delle armi nucleari durante la Guerra fredda tra Usa
e Urss ha portato le due superpotenze a costruire bombe sempre più potenti: gli
Stati Uniti si dotarono della B-41, (anche conosciuta come Mk-41) un ordigno da
25 megatoni (mille e seicento volte più potente della bomba che distrusse
Hiroshima). La risposta di Mosca arrivò con la bomba Zar, che venne testata il
30 ottobre del 1961: aveva una capacità distruttiva di 50 megatoni. Attualmente
l'atomica più potente negli arsenali americani è la B83: la sua capacità è di
"soli" 1,2 megatoni.
Nonostante i proclami e i programmi di disarmo, nel
mondo si stima ci sono ancora 15.700 testate nucleari: la Russia ne ha 7.500 e
detiene il primato mondiale degli armamenti nucleari. Seguono gli Usa con 7.200
testate, mentre al terzo posto si trova la Francia con 300 testate e non ci
sono dati certi sull'arsenale di Pechino. Le stime parlano di 250 testate ma
un dato è certo: l'arsenale cinese è in aumento, insieme a quello indiano e
pakistano.
Secondo alcuni calcoli, se in un conflitto globale
ognuno degli Stati del "club dell'atomica" utilizzasse l'equivalente
di 50 bombe simili a quelle fatte esplodere a Hiroshima, il nostro pianeta si
troverebbe nel mezzo di un inverno nucleare senza precedenti, che durerebbe per
molti anni e che porterebbe all'estinzione di molte forme di vita terrestri.
Uomo compreso.
Permettetemi di chiudere con le bellissime e forti
parole di Karl Bruckner autore del bellissimo libro per ragazzi “Il gran sole
di Hiroshima”:
“In questo secondo, l’uomo, che Dio aveva creato a
propria immagine e somiglianza, aveva compiuto, con l’aiuto della scienza, il
primo tentativo per annientare se stesso. Il tentativo era riuscito”.
- Stefano Marchesotti -
Buona giornata a tutti :-)