"...Che cosa era mancato nell’educazione che avevo
ricevuto? Era successo ai miei genitori quel che sarebbe accaduto al padre di
una mia alunna qualche anno dopo. Vi racconto brevemente l’episodio.
Una volta è venuto a trovarmi il papà di una mia alunna (un po’ strana, un po’ fuori di testa), molto preoccupato e addolorato per la figlia che lo faceva tribolare. Suonò il campanello quella sera a casa mia, cenammo insieme, e alla fine, affrontando il problema che gli stava a cuore scoppiò a piangere, si tirò su la manica della camicia facendomi vedere le vene e, quasi urlando disperatamente, mi disse (siccome aveva capito che tra me e sua figlia, invece, un po’ di feeling era nato, ci si intendeva, insomma), mi disse, battendosi la mano sul braccio: “Professore, io la fede ce l’ho nel sangue, ma non la so più dare a nessuno. Può farlo lei? Lei può farlo: lo faccia, per carità, perché io ce l’ho nel sangue, ma non la so più comunicare nemmeno a mia figlia”.
Ecco, lì m’è venuta l’idea che il problema della Chiesa fosse il metodo, la strada, che tutta la genialità del contributo che don Giussani offriva alla Chiesa e al mondo era questo: la scoperta che la fede, tornando ad essere un avvenimento presente, fosse finalmente dicibile, comunicabile.
Poi ho capito che tutto il dramma di quel genitore era questo: pensava che tra lui e sua figlia ci fosse una generazione di differenza, e invece s’erano infilati tra lui e sua figlia quattrocento anni, cinquecento anni di una cultura che aveva negato tutta la sua tradizione e le cose di cui lui viveva, e che televisione e scuola – dal secondo dopoguerra in poi – avevano infilato tra lui e sua figlia.
Ecco cosa era mancato ai miei genitori e a quel padre: la consapevolezza di questa distanza e il metodo, la strada per superarla. E la si poteva superare solo riproponendo il cristianesimo nella sua elementare radicalità: una presenza viva, capace di illuminare le contraddizioni dell’esistenza in modo convincente.
Una volta è venuto a trovarmi il papà di una mia alunna (un po’ strana, un po’ fuori di testa), molto preoccupato e addolorato per la figlia che lo faceva tribolare. Suonò il campanello quella sera a casa mia, cenammo insieme, e alla fine, affrontando il problema che gli stava a cuore scoppiò a piangere, si tirò su la manica della camicia facendomi vedere le vene e, quasi urlando disperatamente, mi disse (siccome aveva capito che tra me e sua figlia, invece, un po’ di feeling era nato, ci si intendeva, insomma), mi disse, battendosi la mano sul braccio: “Professore, io la fede ce l’ho nel sangue, ma non la so più dare a nessuno. Può farlo lei? Lei può farlo: lo faccia, per carità, perché io ce l’ho nel sangue, ma non la so più comunicare nemmeno a mia figlia”.
Ecco, lì m’è venuta l’idea che il problema della Chiesa fosse il metodo, la strada, che tutta la genialità del contributo che don Giussani offriva alla Chiesa e al mondo era questo: la scoperta che la fede, tornando ad essere un avvenimento presente, fosse finalmente dicibile, comunicabile.
Poi ho capito che tutto il dramma di quel genitore era questo: pensava che tra lui e sua figlia ci fosse una generazione di differenza, e invece s’erano infilati tra lui e sua figlia quattrocento anni, cinquecento anni di una cultura che aveva negato tutta la sua tradizione e le cose di cui lui viveva, e che televisione e scuola – dal secondo dopoguerra in poi – avevano infilato tra lui e sua figlia.
Ecco cosa era mancato ai miei genitori e a quel padre: la consapevolezza di questa distanza e il metodo, la strada per superarla. E la si poteva superare solo riproponendo il cristianesimo nella sua elementare radicalità: una presenza viva, capace di illuminare le contraddizioni dell’esistenza in modo convincente.
Non la soluzione dei problemi ma un nuovo punto di vista da
cui affrontarli, non una teoria contrapposta ad altre teorie, ma, per dirla con
Guardini “l’esperienza di un grande amore nel quale tutto diventa avvenimento
nel suo ambito”
(Franco Nembrini)
“...che i bambini di oggi siano più
intelligenti è una menzogna, sono solo iperstimolati dalla televisione e da
tante altre cose, ma sono superficiali, non interiorizzano nulla, non hanno
giudizi o criteri propri, sono totalmente nelle mani del potere, di chi grida
di più, dei giornali che leggono, di quello che ascoltano. Così a trent'anni
possono avere una certa opinione al mattino quando si alzano, possono aver
cambiato opinione a mezzogiorno e averne un'altra ancora diversa alla sera.
Il cuore dell'uomo desidera unicamente conoscere la verità, mentre questi ragazzi crescono in un relativismo che fa loro dire: «Beh, in qualunque caso la verità non esiste!».
Il cuore dell'uomo ha la necessità di costruire qualcosa di buono, e invece questi ragazzi sono come impossibilitati a costruire, non portano a termine nulla, e per questo c'è uno scetticismo terribile e una paura grande ad affrontare la vita.”
Il cuore dell'uomo desidera unicamente conoscere la verità, mentre questi ragazzi crescono in un relativismo che fa loro dire: «Beh, in qualunque caso la verità non esiste!».
Il cuore dell'uomo ha la necessità di costruire qualcosa di buono, e invece questi ragazzi sono come impossibilitati a costruire, non portano a termine nulla, e per questo c'è uno scetticismo terribile e una paura grande ad affrontare la vita.”
- Franco Nembrini -
"Di padre in
figlio. Conversazioni sul rischio di educare"
"Ci servono amici per sostenere questo impegno,
questo sforzo di un «io» che si addentra nel mondo. Se mi chiedessero qual è la
ragione per cui Dio è venuto sulla terra, risponderei che è per dare la
possibilità dell' amicizia tra gli uomini, qualcosa di apparentemente
impossibile che comincia a essere possibile: «Vi ho chiamati amici!» (Gv 15, 15;
tra l'altro nel Vangelo l'unico a cui Gesù si è rivolto chiamandolo
direttamente «amico» è stato colui che lo ha tradito...).
- Franco Nembrini -
Da "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio
di educare"
«Le crisi di insegnamento non sono crisi di
insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che
non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società
moderna»
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