Carissimi,
l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta
stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti,
Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per
colpa propria o per gli scandali altrui».
Per prima cosa mi son chiesto se, nel
numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da
questa preghiera.
E mi sono ricordato dite, Giampiero,
che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della
parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.
L'altra sera ti ho incontrato per
caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina
mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare
le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male,
perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi
più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di
quelle che ti davano i preti.
Mi hai raccontato che a Torino hai
conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla
spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti
divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un
turco, e fuma lo spinello.
Quando all'improvviso ti ho chiesto se
eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché
dovevi scendere e poi era troppo tardi.
Addio, Giampiero! L'invocazione del
breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche
per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi
parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto
troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle
spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di
preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero
urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata
ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non
ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di
poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.
Non temere, Maria. Pregherò io per il
tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti
metta nel cuore una salutare inquietudine.
Vedo che non afferri il senso di una
preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso
che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo
io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione
su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano
sempre nel tuo amore».
E ora, visto che mi sono messo ad
assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur
non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo
nella vostra vita.
Per sè parrebbe un controsenso. Perché
Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire
i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla
sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio
di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è
tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello
spirito.
Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre
dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io
da confidarvelo.
A voi, per i quali il fardello più
pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete
accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che
fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega
all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte
gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo
qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie
del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra
perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con
un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre
da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere
d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.
A tutti voi voglio ripetere: non
abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita,
mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete
seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.
Ma se solo siete capaci di indicare
agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della
riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in
«prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.
O, se volete, non sarà più sete di
«cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere
ogni ansia di felicità.