Cogli
occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi,
in atto addolorato e grave,
Sorreggendo
le donne affrante e smorte,
Ascendono
la nave
Come
s'ascende il palco de la morte.
E
ognun sul petto trepido si serra
Tutto
quel che possiede su la terra.
Altri
un misero involto, altri un patito
Bimbo,
che gli s'afferra
Al
collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono
in lunga fila, umili e muti,
E
sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido
ancora il desolato affanno
Degli
estremi saluti
Dati
ai monti che più non rivedranno.
Salgono,
e ognuno la pupilla mesta
Sulla
ricca e gentil Genova arresta,
Intento
in atto di stupor profondo,
Come
sopra una festa
Fisserebbe
lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati
là come giumenti
Sulla
gelida prua morsa dai venti,
Migrano
a terre inospiti e lontane;
Laceri
e macilenti,
Varcano
i mari per cercar del pane.
Traditi
da un mercante menzognero,
Vanno,
oggetto di scherno allo straniero,
Bestie
da soma, dispregiati iloti,
Carne
da cimitero,
Vanno
a campar d'angoscia in lidi ignoti.
Vanno,
ignari di tutto, ove li porta
La
fame, in terre ove altra gente è morta;
Come
il pezzente cieco o vagabondo
Erra
di porta in porta,
Essi
così vanno di mondo in mondo.
Vanno
coi figli come un gran tesoro
Celando
in petto una moneta d'oro,
Frutto
segreto d'infiniti stonti,
E
le donne con loro,
Istupidite
martiri piangenti.
Pur
nell'angoscia di quell'ultim'ora
Il
suol che li rifiuta amano ancora;
L'amano
ancora il maledetto suolo
Che
i figli suoi divora,
Dove
sudano mille e campa un solo.
E
li han nel core in quei solenni istanti
I
bei clivi di allegre acque sonanti,
E
le chiesette candide, e i pacati
Laghi
cinti di piante,
E
i villaggi tranquilli ove son nati!
E
ognuno forse sprigionando un grido,
Se
lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe
a morir sopra i nativi
Monti,
nel triste nido
Dove
piangono i suoi vecchi malvivi.
Addio,
poveri vecchi! In men d'un anno
Rosi
dalla miseria e dall'affanno,
Forse
morrete là senza compianto,
E
i figli nol sapranno,
E
andrete ignudi e soli al camposanto.
Poveri
vecchi, addio! Forse a quest'ora
Dai
muti clivi che il tramonto indora
La
man levate i figli a benedire…
Benediteli
ancora:
Tutti
vanno a soffrir, molti a morire.
Ecco
il naviglio maestoso e lento
Salpa,
Genova gira, alita il vento.
Sul
vago lido si distende un velo,
E
il drappello sgomento
Solleva
un grido desolato al cielo.
Chi
al lido che dispar tende le braccia.
Chi
nell'involto suo china la faccia,
Chi
versando un'amara onda dagli occhi
La
sua compagna abbraccia,
Chi
supplicando Iddio piega i ginocchi.
E
il naviglio s'affretta, e il giorno muore,
E
un suon di pianti e d'urli di dolore
Vagamente
confuso al suon dell'onda
Viene
a morir nel core
De
la folla che guarda da la sponda.
Addio,
fratelli! Addio, turba dolente!
Vi
sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V'allieti
il sole il misero viaggio;
Addio,
povera gente,
Datevi
pace e fatevi coraggio.
Stringete
il nodo dei fraterni affetti.
Riparate
dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi
i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate
uniti e stretti
L'imperversar
de le sciagure umane.
E
Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E
tornare ai villaggi umili e cari,
E
ritrovare ancor de le deserte
Case
sui limitari
I
vostri vecchi con le braccia aperte.
- Edmondo De Amicis -
Nel 1884 Edmondo De Amicis si imbarca sul piroscafo
Galileo alla volta dell'Argentina come corrispondente per il "Nacional”.
Dal suo viaggio nacque il libro “Sull'Oceano”, una fotografia della società
dell’epoca scattata tra le murate di una nave che raccoglieva passeggeri
d’ogni ceto sociale, trasportando speranze, tristezze, gioie e paure.
Un
resoconto di viaggio che ci riporta in altri tempi, un’epoca in cui una
traversata atlantica era, per i passeggeri di terza classe, un viaggio
all’inferno da cui molti non sarebbero più usciti.
…Quando arrivai, verso sera, l'imbarco degli emigranti
era già cominciato da un'ora, e il Galileo, congiunto alla calata da un piccolo
ponte mobile, continuava a insaccar miseria: una processione interminabile di
gente che usciva a gruppi dall'edifizio dirimpetto, dove un delegato della
Questura esaminava i passaporti.
La maggior parte, avendo passato una o due
notti all'aria aperta, accucciati come cani per le strade di Genova, erano
stanchi e pieni di sonno. Operai, contadini, donne con bambini alla mammella,
ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina di latta
dell'asilo infantile passavano, portando quasi tutti una seggiola pieghevole
sotto il braccio, sacche e valigie d'ogni forma alla mano o sul capo, bracciate
di materasse e di coperte, e il biglietto col numero della cuccetta stretto fra
le labbra. Delle povere donne che avevano un bambino da ciascuna mano,
reggevano i loro grossi fagotti coi denti; delle vecchie contadine in zoccoli,
alzando la gonnella per non inciampare nelle traversine del ponte, mostravano
le gambe nude e stecchite; molti erano scalzi, e portavan le scarpe appese al
collo. Di tratto in tratto passavano tra quella miseria signori vestiti di
spolverine eleganti, preti, signore con grandi cappelli piumati, che tenevano
in mano o un cagnolino, o una cappelliera, o un fascio di romanzi francesi
illustrati, dell'antica edizione Lévy.
Poi, improvvisamente, la processione
umana era interrotta, e veniva avanti sotto una tempesta di legnate e di
bestemmie un branco di bovi e di montoni, i quali, arrivati a bordo, sviandosi
di qua o di là, e spaventandosi, confondevano i muggiti e i belati coi nitriti
dei cavalli di prua, con le grida dei marinai e dei facchini, con lo strepito
assordante della gru a vapore, che sollevava per aria mucchi di bauli e di
casse.
Dopo di che la sfilata degli emigranti ricominciava: visi e vestiti
d'ogni parte d'Italia, robusti lavoratori dagli occhi tristi, vecchi cenciosi e
sporchi, donne gravide, ragazze allegre, giovanotti brilli, villani in maniche
di camicia, e ragazzi dietro ragazzi, che, messo appena il piede in coperta, in
mezzo a quella confusione di passeggieri, di camerieri, d'ufficiali,
d'impiegati della Società e di guardie di dogana, rimanevano attoniti, o si
smarrivano come in una piazza affollata. Due ore dopo che era cominciato
l'imbarco, il grande piroscafo, sempre immobile, come un cetaceo enorme che
addentasse la riva, succhiava ancora sangue italiano.
…..da “ sull’Oceano” di
Edmondo de Amicis
…Ma lo spettacolo eran le terze classi, dove la
maggior parte degli emigranti, presi dal mal di mare, giacevano alla rinfusa,
buttati a traverso alle panche, in atteggiamenti di malati o di morti, coi visi
sudici e i capelli rabbuffati, in mezzo a un grande arruffio di coperte e di
stracci.
Si vedevan delle famiglie strette in gruppi compassionevoli, con quell'aria d'abbandono e di smarrimento, che è propria della famiglia senza tetto: il marito seduto e addormentato, la moglie col capo appoggiato sulle spalle di lui, e i bimbi sul tavolato, che dormivano col capo sulle ginocchia di tutti e due: dei mucchi di cenci, dove non si vedeva nessun viso, e non n'usciva che un braccio di bimbo o una treccia di donna.
…E il peggio era sotto, nel grande dormitorio, di cui s'apriva la boccaporta
vicino al cassero di poppa: affacciandovisi, si vedevano nella mezza oscurità
corpi sopra corpi, come nei bastimenti che riportano in patria le salme degli
emigrati chinesi; e veniva su di là, come da uno spedale sotterraneo, un
concerto di lamenti, di rantoli e di tossi, da metter la tentazione di sbarcare
a Marsiglia.
…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis
Nella copertina de “L’Illustrazione italiana” il
naufragio dell’Utopia, un bastimento inglese che,
partito da Trieste e fatta tappa a Napoli, trasportava 3 passeggeri in 1ª
classe, 3 clandestini, 59 membri equipaggio e 813 migranti italiani. Arrivato
davanti al porto di Gibilterra la sera del 17 marzo 1891 con un tempo pessimo e
visibilità ridotta, sbagliò manovra e andò a sbattere contro il rostro di una
corazzata alla fonda.
Colò a picco in pochi minuti, facendo 576
vittime. Quasi tutte meridionali.
…Dalla boccaporta spalancata vidi una donna che
singhiozzava forte, col viso nella cuccetta: intesi dire che poche ore prima
d'imbarcarsi le era morta quasi all'improvviso una bambina, e che suo marito
aveva dovuto lasciare il cadavere all'ufficio di Pubblica Sicurezza del porto,
perché lo facessero portare all'ospedale.
…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis
…Quando salii sul palco di comando, poco dopo le otto, che era l'ora della colezione, la prua offriva l'aspetto tra d'un mercato di campagna e d'un accampamento di zingari, che avessero disfatto le tende. Ciascun gruppo d'emigranti aveva preso il suo posto, dove passava la maggior parte della giornata, e i posti presi, per consuetudine tradizionale, eran rispettati da tutti. Dovunque si potesse star seduti senza ingombrare il passaggio, in tutti i cantucci che formavan le torri di cordami e i mucchi di fieno o di merci addossati all'opera morta, s'era ficcata, come una covata di gatti, una brigatella di conoscenti o una famigliuola, con le sue seggiole e qualche cuscino o coperta, e alcune eran così ben rimpiattate, che vi si sarebbe potuto passar davanti dieci volte senza scoprirle; poiché la povera gente si adatta a tutti i vani come l'acqua. |