Chiedere perdono è difficile e nel farlo pubblicamente si rischia di
cadere nella retorica.
E tuttavia vi sono
momenti nei quali non posso non riconoscermi nel senso di fatica e di
frustrazione di Pietro che dice: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e
non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5) ed esclama: “Signore, allontanati da me che
sono un peccatore!” (Lc 5,8).
Mi pare di avere compreso che il Signore
ci mette in posizioni di responsabilità anche perché sperimentiamo
ripetutamente che, per quanto riguarda noi, siamo immensamente fragili, poveri
e inadeguati.
Si giunge ad
esclamare con sorpresa: non pensavo di essere così debole!
Si ha davvero
l’impressione che il Signore ci spogli, ci purifichi, ci strizzi e ci sbatta
come un panno da lavare affinché ci rendiamo conto che “da noi stessi siamo
incapaci di pensare qualcosa come proveniente da noi” e che “la nostra capacità
viene da Dio” (cfr. 2 Cor 3,5).
Pesano su di noi
non solo le mancanze e i peccati personali ma anche le omissioni di fronte alle
molte cose che urgono e soprattutto quell’assillo quotidiano (cfr. 2 Cor 11,28s),
quella responsabilità per il cammino della Chiesa che ci fa interrogare con
ansia: ma ciò che stiamo facendo, ciò che sto proponendo è davvero secondo il
Vangelo?
Non stiamo per caso
tradendo il mandato di Gesù?
Non corriamo il
pericolo di trascurare ciò che è essenziale?
Non ci lasciamo
forse ingannare dalla routine, dalla pigrizia, da un vano timore, dall’amore
dei nostri comodi, dallo spirito mondano?
Queste e simili
interrogazioni lacerano il cuore e se non fosse per la fiducia nel Dio misericordioso
ne saremmo come schiacciati.
In questo quadro di
riconoscimento delle nostre fragilità vorrei sottolinearne in particolare
alcune.
Vorrei confessare a
Dio e a voi, il senso di inadeguatezza relativo ai rapporti di comunione (così
mirabilmente espressi nella NMI, nn.43-45).
Fermo restando
tutto quanto ho appena detto al Signore nella confessio laudis, devo ammettere
che spesso non ho coltivato le vicinanze, non ho saputo creare e intrattenere
con molti quei rapporti di affetto semplice e cordiale pur tanto desiderati.
Riconosco che da
una parte il mio stile, la mia educazione e il mio temperamento unito al peso
del ruolo, dall’altra le dimensioni oggettive della diocesi non mi hanno
consentito di fare di più, e me ne dolgo.
Spesso sono stato
giocato dalla fretta, dalla stanchezza, dalle urgenze che premevano, dai miei
limiti personali.
É proprio questo,
però, che mi fa cogliere ancor più l’eccesso della bontà divina a fronte della
mia povertà e pochezza.
L’affetto di cui
sono stato circondato non solo da tanti singoli, in particolare dai miei più
stretti collaboratori, ma anche dalla gente, dalle tante parrocchie e comunità
che ho visitato, mi commuove, mi arricchisce, mi sostiene.
In altre parole,
l’impatto con la Chiesa di Milano e anche con la società civile mi ha dato
immensamente più di quanto io non abbia saputo dare o avrei potuto
immaginare.
Chiedo perdono
comunque a quanti non si fossero sentiti amati come avrebbero desiderato o
atteso: ai vescovi e vicari episcopali, ai collaboratori di curia, ai
presbiteri e diaconi, tutti compagni preziosi e infaticabili del mio quotidiano
servizio; ai consacrati e alle consacrate che hanno sostenuto con la preghiera
e con tante opere di carità e di evangelizzazione la missione della Chiesa
milanese; ai laici, che a volte mi avrebbero voluto più dalla loro, nonostante
i tanti miei pronunciamenti a favore della corresponsabilità e dell’impegno
comune.
Chiedo perdono ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti che si fossero sentiti poco valorizzati o sostenuti da me.
Chiedo perdono ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti che si fossero sentiti poco valorizzati o sostenuti da me.
Ho sempre goduto di
fronte a testimonianze autentiche di vangelo vissuto, dovunque si trovassero,
ma ho avuto anche difficoltà nel comprendere alcune logiche che mi sembravano
particolaristiche e autoreferenziali.
Ho sognato che
parrocchie e movimenti potessero unire le energie, riconoscendo ciascuno i
propri doni e uscendo dai particolarismi, ma il cammino appare ancora lungo.
Come Vescovo ho sentito una istintiva preferenza per la centralità della pastorale diocesana e parrocchiale.
Come Vescovo ho sentito una istintiva preferenza per la centralità della pastorale diocesana e parrocchiale.
L’onestà
dell’intenzione non basta certo a soddisfare chi ritenesse di essere stato poco
curato o amato: per questo chiedo perdono, e affido alla misericordia di Dio la
maturazione dei semi di bene lanciati nel dialogo che mi pare di avere sempre
cercato.
Verso la città e il
territorio ammetto di avere spesso faticato a comprendere i complessi meccanismi
politico-sociali in atto.
Milano è stata in questi decenni il laboratorio e la patria di fenomeni di costume e di prassi politica che hanno segnato l’intera nazione.
Pur avendo
desiderato di essere presente e di declinare la Parola in relazione ai fenomeni
emergenti, positivi e negativi, denunciando pure la corruzione e le logiche
egoistiche talora soggiacenti ai comportamenti collettivi o di gruppi, mi
domando se non si poteva fare di più.
Non basta dire che
questo è compito soprattutto dei laici cristiani impegnati nel sociale: ognuno
di noi ha la propria parte di responsabilità e io non intendo sottrarmi alla
mia.
Avrei dovuto farmi più carico - anche come intercessore presso Dio - dei peccati più diffusi e degradanti: la corruzione, la droga, la prostituzione, la criminalità organizzata, i peccati contro la vita, le deviazioni sessuali, l’edonismo come stile di vita, le chiusure nel particolarismo...
Non a mia giustificazione, bensì a testimonianza della convinzione profonda che mi ha guidato, riconosco di aver sempre creduto più nella forza irradiante e contagiosa del bene che nella deplorazione del male: chiedo in ogni caso perdono per quanto si poteva compiere e non è stato compiuto.
La mia richiesta di
perdono si associa a quella che esprimo a nome della mia Chiesa.
Non è un espediente
per dividere a metà le responsabilità; è piuttosto l’espressione della
coscienza del mio indissolubile legame col popolo affidatomi da Dio.
Come ho lodato e
benedetto il Signore per i doni che mi ha consentito di discernere in esso,
così in comunione con tutti vivo la mia confessio vitae, affidandomi al
giudizio di Colui che è la Verità e ci accoglie nella sua misericordia senza
limiti: “Il mio giudice è il Signore! Egli metterà in luce i segreti delle
tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode
da Dio” (1 Cor 4,4-5).
(Carlo Maria Card.
Martini)
Fonte: Sulla tua Parola.
Lettera pastorale, 2001
In ogni uomo si trova una parte di solitudine che nessuna imtimità umana può colmare, neppure l'amore più forte tra due esseri.
Chi non acconsente a questo luogo di solitudine conosce la rivolta contro gli uomini,
contro Dio stesso.
Tuttavia tu non sei mai solo.
Lasciati sondare fino al centro di te stesso,
e vedrai che ogni uomo è stato reato per essere abitato.
Laggiù. nella profondità dell'essere,
là dove nessun uomo assomiglia agli altri, il Cristo attende.
Là capita "l'inatteso".
- Frère Roger - Comunità di Taizè -