Così il cammino attraverso il quale un
uomo avrà accesso a Dio gli può essere indicato unicamente dalla conoscenza del
proprio essere, la conoscenza della propria qualità e della propria tendenza
essenziale. "In ognuno c'è qualcosa di prezioso che non c'è in nessun
altro". Ma ciò che è prezioso dentro di sé, l'uomo può scoprirlo solo se
coglie veramente il proprio sentimento più profondo, il proprio desiderio
fondamentale, ciò che muove l'aspetto più intimo del proprio essere.
È indubbio che l'uomo conosca spesso il proprio sentimento più profondo solo
nella forma della passione particolare, nella forma della "cattiva
inclinazione" che vuole sviarlo. Conformemente alla sua natura, il
desiderio più ardente di un essere umano, tra le diverse cose che incontra, si
focalizza innanzitutto su quelle che promettono di colmarlo. L'essenziale è che
l'uomo diriga la forza di quello stesso sentimento, di quello stesso impulso,
dall'occasionale al necessario, dal relativo all'assoluto: così troverà il
proprio cammino.
Uno zaddik insegna: "Alla fine di
Qoelet sta scritto: 'Al termine delle cose si ode il tutto: temi Dio!'.
Qualunque sia la cosa a capo della quale tu arrivi, là, al suo termine, tu
udrai immancabilmente questo: 'Temi Dio' e questo è il tutto. Non esiste cosa
al mondo che non ti indichi un cammino verso il timore di Dio e il servizio di
Dio: tutto è comandamento". Ma la nostra autentica missione in questo mondo
in cui siamo stati posti non può essere in alcun caso quella di voltare le
spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore;
al contrario, è proprio quella di entrare in contatto, attraverso la
santificazione del legame che ci unisce a loro, con ciò che in essi si
manifesta come bellezza, sensazione di benessere, godimento. Il chassidismo
insegna che la gioia che si prova a contatto con il mondo conduce, se la
santifichiamo con tutto il nostro essere, alla gioia in Dio.
Nel racconto del Veggente, il fatto
che, tra i vari cammini presi a esempio, accanto a quello che consiste nel
mangiare, ce ne sia anche uno che consiste nel digiunare sembra contraddire
quanto appena detto. Se tuttavia consideriamo questo nell'insieme dell'insegnamento
chassidico, ci accorgiamo che, se la presa di distanza dalla natura e
l'astinenza nei confronti della vita naturale possono effettivamente costituire
a volte l'inizio del cammino necessario a un uomo - così come lo stare in
disparte può essere indispensabile in certi momenti cruciali dell'esistenza -
esse non possono però mai rappresentare l'intero cammino. Ci sono uomini che
devono cominciare con il digiuno, e cominciare sempre da capo, perché è loro
peculiarità poter conseguire unicamente attraverso il mezzo dell'ascesi la
liberazione dall'asservimento al mondo, il più profondo ritorno a se stessi e,
di conseguenza, il legame con l'assoluto. Ma l'ascesi non deve mai pretendere
di dominare la vita dell'uomo. L'uomo deve allontanarsi dalla natura solo per
ritornarvi rinnovato e per trovare, nel contatto santificato con essa, il
cammino verso Dio.
"E stette sopra di loro, sotto l'albero, mentre essi mangiavano".