vi metto qui per scritto quello che avrei
detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch'io possa venire a Roma
perché sono da tempo malato.
Allego un certificato medico e vi prego di
procedere in mia assenza.
La malattia è l'unico motivo per cui non
vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di Porta Pia i preti italiani
sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa è proprio
l'accusa che mi si fa in questo processo.
Ma essa non è fondata per moltissimi miei
confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore
imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali
degli uomini.
Una precisazione a proposito del difensore.
Le cose che ho voluto dire con la lettera
incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote. In
queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore
d'ufficio di non prendere la parola.
Ma egli mi ha spiegato che non me lo può promettere né come avvocato né come uomo.
Ma egli mi ha spiegato che non me lo può promettere né come avvocato né come uomo.
Ho capito le sue ragioni e non ho
insistito.
Un'altra precisazione a proposito della
rivista che è coimputata per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per
conto mio la lettera incriminata fin dal 23 Febbraio.
Solo successivamente (6 Marzo) l'ha
ripubblicata Rinascita e poi altri giornali.
È dunque per motivi procedurali cioè del
tutto casuali ch'io trovo incriminata con me una rivista comunista.
Non ci troverei nulla da ridire se si
trattasse d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essere fatta
bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non
violenza.
Il fatto non giova alla chiarezza cioè
all'educazione dei giovani che guardano a questo processo.
Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il
dovere di scrivere la lettera incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come
mai oltre che parroco io sia anche maestro.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando
ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I
ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e
disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita
di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa.
Così da undici anni in qua, la più gran
parte del mio ministero consiste in una scuola.
Quelli che stanno in città usano
meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima
che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica)
per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da
ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li
sacrifico.
La questione appartiene a questo processo
solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non
sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me.
Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme.
(continua)
Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme.
(continua)
(Don Lorenzo Milani)
Non vedremo sbocciare dei santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale.
"(...) La scuola invece siede tra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
È l’arte delicata
di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare loro il senso
della legalità (...) dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso
politico.
"(...) E
allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i < segni dei
tempi >, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno
chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. (...)".
"Non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra diseguali"
- don Milani -
-
“Se voi avete diritto di
dividere il mondo in
italiani e stranieri allora
vi dirò che, nel vostro
senso, non ho Patria
e reclamo il diritto di
dividere il mondo in
diseredati e oppressi
da un lato,
privilegiati e oppressori
dall'altro.
Gli uni son la mia Patria,
gli altri i miei stranieri.”
Lorenzo Milani