"Quando mi presentai alla prova
scritta, il tema di italiano, non ricordavo neanche chi fosse Dante Alighieri.
I miei piedi erano ghiacci, lo stomaco contratto mi rimandava in bocca il
sapore dello zabaglione che la mamma mi aveva imposto per "tirarmi
su", l'angoscia mi strozzava. Ma poi ci comunicarono il tema: "Il
concetto di patria dalla polis greca ad oggi". E fu peggio che dar fuoco
alle polveri delle mie infantili rivolte, delle mie infantili utopie.
Il freddo
sparì, insieme al sapore di zabaglione, l'angoscia dileguò. Brandii la
stilografica, mi gettai come un lupo ringhioso sul foglio protocollo, e questo
(più o meno) è il riassunto di ciò che scrissi per otto colonne piene.
"Patria, che vuol dire patria. La
patria di chi?
La patria degli schiavi e dei cittadini che possedevan gli schiavi?
La patria di Meleto o la patria di Socrate messo a morte con le leggi della patria?
La patria degli ateniesi o la patria degli spartani che parlavano la stessa lingua degli ateniesi però si squartavano tra loro come molti secoli dopo avrebbero fatto i fiorentini e i senesi, i veneziani e i genovesi, i fascisti e gli antifascisti?
E' da quando ho imparato a leggere che mi si parla di patria: amor patrio, orgoglio patrio, patria bandiera. E ancora non ho capito cosa vuol dire.
Anche Mussolini parlava di patria, anche i repubblichini che nel marzo del '44 arrestarono mio padre e fracassandolo di botte gli gridavano se-non-confessi-domattina-ti-fuciliamo-al-Parterre. Anche Hitler. Anche Vittorio Emanuele III e Badoglio. Era patria la loro o la mia? E per i francesi la patria qual è? Quella di De Gaulle o quella di Pétain?
E per i russi del '17 qual era? Quella di Lenin o quella dello zar?
Io ne ho abbastanza di questa parola in nome della quale si scanna e si muore. La mia patria è il mondo e non mi riconosco nei costumi e nella lingua e nei confini dentro cui il caso mi ha fatto nascere."
La patria degli schiavi e dei cittadini che possedevan gli schiavi?
La patria di Meleto o la patria di Socrate messo a morte con le leggi della patria?
La patria degli ateniesi o la patria degli spartani che parlavano la stessa lingua degli ateniesi però si squartavano tra loro come molti secoli dopo avrebbero fatto i fiorentini e i senesi, i veneziani e i genovesi, i fascisti e gli antifascisti?
E' da quando ho imparato a leggere che mi si parla di patria: amor patrio, orgoglio patrio, patria bandiera. E ancora non ho capito cosa vuol dire.
Anche Mussolini parlava di patria, anche i repubblichini che nel marzo del '44 arrestarono mio padre e fracassandolo di botte gli gridavano se-non-confessi-domattina-ti-fuciliamo-al-Parterre. Anche Hitler. Anche Vittorio Emanuele III e Badoglio. Era patria la loro o la mia? E per i francesi la patria qual è? Quella di De Gaulle o quella di Pétain?
E per i russi del '17 qual era? Quella di Lenin o quella dello zar?
Io ne ho abbastanza di questa parola in nome della quale si scanna e si muore. La mia patria è il mondo e non mi riconosco nei costumi e nella lingua e nei confini dentro cui il caso mi ha fatto nascere."
- Oriana Fallaci - 🌹
«La storia è fatta da tutti o da pochi?
Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?
È un vecchio dilemma, lo so, che nessuno ha risolto e nessuno risolverà mai. È anche una vecchia trappola in cui cadere è pericolosissimo perché ogni risposta porta in sé la sua contraddizione. Non a caso molti rispondono col compromesso e sostengono che la storia è fatta da tutti e da pochi, che i pochi emergono fino al comando perché nascono al momento giusto e sanno interpretarlo. Forse. Ma chi non si illude sulla tragedia assurda della vita è portato piuttosto a seguire Pascal quando dice che, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della Terra sarebbe cambiata; è portato piuttosto a temere ciò che temeva Bertrand Russell quando scriveva: «Lascia perdere, quel che accade nel mondo non dipende da te.
Dipende dal signor Krusciov, dal signor Mao Tse-tung, dal signor Foster Dulles. Se loro dicono “morite” noi morremo, se loro dicono “vivete” noi vivremo».
Non riesco a dargli torto.
Non riesco a escludere insomma che la nostra esistenza sia decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi.
Quei pochi che attraverso le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, addirittura un semplice gesto, l’uccisione di un tiranno, cambiano il corso delle cose e il destino della maggioranza. Certo è un’ipotesi atroce.
È un pensiero che offende perché, in tal caso, noi che diventiamo?
Greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento?»
È un vecchio dilemma, lo so, che nessuno ha risolto e nessuno risolverà mai. È anche una vecchia trappola in cui cadere è pericolosissimo perché ogni risposta porta in sé la sua contraddizione. Non a caso molti rispondono col compromesso e sostengono che la storia è fatta da tutti e da pochi, che i pochi emergono fino al comando perché nascono al momento giusto e sanno interpretarlo. Forse. Ma chi non si illude sulla tragedia assurda della vita è portato piuttosto a seguire Pascal quando dice che, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della Terra sarebbe cambiata; è portato piuttosto a temere ciò che temeva Bertrand Russell quando scriveva: «Lascia perdere, quel che accade nel mondo non dipende da te.
Dipende dal signor Krusciov, dal signor Mao Tse-tung, dal signor Foster Dulles. Se loro dicono “morite” noi morremo, se loro dicono “vivete” noi vivremo».
Non riesco a dargli torto.
Non riesco a escludere insomma che la nostra esistenza sia decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi.
Quei pochi che attraverso le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, addirittura un semplice gesto, l’uccisione di un tiranno, cambiano il corso delle cose e il destino della maggioranza. Certo è un’ipotesi atroce.
È un pensiero che offende perché, in tal caso, noi che diventiamo?
Greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento?»
- Oriana Fallaci -
da: Intervista con la storia
Nei regimi dittatoriali o assolutisti,
spiega Tocqueville, il dispotismo colpisce grossolanamente il corpo.
Lo incatena, lo sevizia, lo sopprime
con gli arresti e le torture, le prigioni e le Inquisizioni.
Con le decapitazioni, le impiccagioni,
le fucilazioni, le lapidazioni.
E così facendo ignora l' anima che
intatta può levarsi sulle carni martoriate, trasformare la vittima in eroe.
Nei regimi inertemente democratici, al
contrario, il dispotismo ignora il corpo e si accanisce sull' anima.
Perché è
l' anima che vuole incatenare, seviziare, sopprimere.
Alla vittima, infatti, non dice: «O la
pensi come me o muori».
Dice: «Scegli. Sei libero di non pensare o di pensarla
come me. E se la penserai in maniera diversa da me, io non ti punirò con gli
autodafé. Il tuo corpo non lo toccherò, i tuoi beni non li confischerò, i tuoi
diritti politici non li lederò. Potrai addirittura votare. Ma non
potrai essere votato perché io sosterrò che sei un essere impuro, un pazzo o un
delinquente. Ti condannerò alla morte civile, ti renderò un fuorilegge, e la
gente non ti ascolterà. Anzi, per non essere a loro volta puniti coloro che la
pensano come te ti abbandoneranno».
Poi aggiunge che nelle democrazie
inanimate, nei regimi inertemente democratici, tutto si può dire fuorché la
verità.
Tutto si può esprimere, tutto si può diffondere, fuorché il pensiero che denuncia la verità. Perché la verità mette con le spalle al muro. Fa paura.
I più cedono alla paura e, per paura,
intorno al pensiero che denuncia la verità tracciano un cerchio invalicabile.
Un' invisibile ma insormontabile barriera all' interno della quale si può
soltanto tacere o unirsi al coro.
Se lo scrittore scavalca quel cerchio,
supera quella barriera, il castigo scatta alla velocità della luce.
Peggio: a
farlo scattare son proprio coloro che in segreto la pensano come lui ma che per
prudenza si guardano bene dal contestare chi lo anatemizza e lo scomunica.
Infatti per un po' tergiversano, danno un colpo al cerchio ed uno alla botte.
Poi tacciono e terrorizzati dal rischio che anche quell' ambiguità comporta s'
allontanano in punta di piedi, abbandonano il reo alla sua sorte.
In sostanza,
quel che fanno gli apostoli quando abbandonano Cristo arrestato per volontà del
Sinedrio e lo lasciano solo anche dopo la carognata di Caifa cioè durante la
Via Crucis.
- Oriana Fallaci -
da: La forza della
Ragione
Buona giornata a tutti :-)