Una volta una bambina di undici anni mi scrisse:
Signora Bombeck, non capisco le mamme.
Com'è che mia madre riesce a colpire chiunque, ovunque e a qualunque distanza con una scarpa?
Come fa a capire, senza girare la testa, quando siamo in macchina, che sto facendo le boccacce a mio fratello sul sedile posteriore?
Come fa a guardare la televisione in soggiorno e a sapere che io sto rubando i biscotti in cucina?
Nemmeno i miei amici capiscono le mamme.
Vorrebbero sapere come fa la mamma ad accorgersi con una sola occhiata che hanno mangiato un pezzo di pizza e bevuto tre coche tornando da scuola prima di cena. O dove perderanno il maglione che odiano.
A volte il telefono suona e prima ancora che tiriamo su la cornetta lei dice: «Cinque minuti!» Fa venire i brividi!
Siamo tutti d'accordo sul fatto che nessuno al mondo possiede una vista, un udito e un odorato come quello delle mamme.
Un mio amico mi ha raccontato che una volta aveva un pezzetto di gomma da masticare avvolto nella stagnola e nascosto in una scarpa e sua madre ha detto: «Dammi quella gomma. Vuoi rovinare la suoletta?»
Dato che tu scrivi sempre di bambini, pensavamo che potessi spiegarci un po' le mamme. Cordialmente tua, Caterina.
Cara Caterina e amici:
La tua lettera è molto divertente.
In realtà, la maternità non ha nulla di sacro o di mistico. Siamo state tutte bambine normali come te, poi siamo cresciute e abbiamo sviluppato una normale vista a raggi X, due occhi dietro la testa, un udito bionico e un olfatto affinato dal continuo odore di scarpe da ginnastica bagnate.
(Non chiedermi che cosa significa «olfatto». Guarda sul dizionario.)
Noi mamme non abbiamo mai considerato eccezionali queste capacità.
Le definiamo istinti di sopravvivenza. Senza di esse saremmo mortali e vulnerabili. (Non fare quella faccia. Resterai congelata in quell 'espressione e allora che farai?)
Un giorno, quando si saranno sviluppati in te i geni della maternità, anche tu saprai chi sta rovistando nel frigorifero mentre partecipi alla riunione genitori-insegnanti. Saprai che le scarpe sono bagnate e piene di fango anche senza riuscire a trovarle. Capirai che il tuo bambino ti sta mentendo anche se ha la Bibbia in una mano, il rosario nell'altra e sta in piedi sotto un ritratto del papa.
Le mamme sono gente normale, davvero. Non abbiamo la pretesa di essere perfette o di sapere tutto sull'allevamento dei figli.
Ti dirò che dopo tutti questi anni ci sono ancora moltissimi aspetti dei bambini di cui non so assolutamente niente, lo confesso.
Per esempio...
Chi è non-lo-so?
Per quanto ricordi, la nostra casa ha sempre ospitato un quarto bambino... Non-lo-so. Tutti lo vedono tranne me. Io so soltanto una cosa, che è odioso. «Chi ha lasciato aperta la porta d'ingresso?» «Non-lo-so.»
«Chi ha lasciato il sapone a mollo nell'acqua?» «Non-lo-so.»
«Chi ha mangiato la banana che tenevo da parte per la torta?» «Non-lo-so.»
Sinceramente, Non-lo-so mi farà diventare matta.
Ha perso due ombrelli, quattro paia di stivali e una bicicletta. Deve restituire tredici libri alla biblioteca, da tre anni non porta a casa un compito in classe da firmare e una volta ha lasciato un thermos pieno di latte in macchina per tre settimane.
L'altro giorno ha suonato il telefono. Mi sono precipitata di corsa dalla cassetta delle lettere, mi sono fatta un taglio a una gamba, mi sono spezzata un'unghia aprendo la porta e sono arrivata al telefono in tempo per vedere mio figlio riappendere la cornetta.
«Chi era?» ho chiesto senza fiato. «Non-lo-so. Ha riattaccato.»
Quando ho raccontato questa storia alla mia vicina, mi ha detto: «Sta' allegra. Anch'io ho un bambino invisibile da anni».
«Come si chiama?»
«Nessuno.»
«È odioso?»
«Al confronto Pierino la Peste è un angioletto. Ha rotto il coperchio di un portadolci antico, fa a pezzi il giornale prima che qualcuno riesca a leggerlo, e una volta, mentre guidavo la macchina con tutti i bambini dentro, mi ha quasi steso con una mazza da baseball.»
«Ah!» ho detto io amaramente, «dovresti vedere Non-lo-so.
L'altra sera, quando è uscito, ha lasciato tredici luci accese.
Se mi chiedi per quanto ancora potrò sopportarlo, francamente, non-lo-so.»
Stamattina a colazione ho detto a mio marito: «Chi vuole il fegato per cena?»
Lui ha alzato gli occhi e ha detto: «Per-me-è-lo-stesso».
Questo può significare soltanto una cosa. Non-lo-so ha un fratello.
(Erma Bombeck)
Una mamma è mamma a tempo pieno, senza ferie o permessi, né congedo per pensione.
Una mamma è mamma per tutta la vita, tra alti e bassi, gioie e dolori.
La gravidanza non finisce dopo i nove mesi, continua nell'allattamento e poi per quanto la madre lotti per tagliare i cordone ombelicali di affetto sensazioni e pensieri (attaccamento psicologico) verso i figli, non ci riuscirà mai per il resto della sua vita.
Comportarti come una signora.
Mostrarti sempre curata e bella come una ragazzina.
Essere fragile ma dimostrarti sempre forte.
E lavorare come un mulo…
(Fabrice Hadjadj)
Una mamma è mamma per tutta la vita, tra alti e bassi, gioie e dolori.
La gravidanza non finisce dopo i nove mesi, continua nell'allattamento e poi per quanto la madre lotti per tagliare i cordone ombelicali di affetto sensazioni e pensieri (attaccamento psicologico) verso i figli, non ci riuscirà mai per il resto della sua vita.
Illustrazione: Monica Carretero
E' difficile essere donna perché devi:
Comportarti come una signora.
Mostrarti sempre curata e bella come una ragazzina.
Essere fragile ma dimostrarti sempre forte.
E lavorare come un mulo…
Dipinto: Cayetano De Arquer
"Il segno che la vita è continuamente ricevuta
per essere offerta è per esempio nel nostro ombelico.
Ma se davvero ti guardi l’ombelico, che cosa scopri?
Una cicatrice.
La tua prima cicatrice,
che è la testimonianza ineffabile
del tuo rapporto con un altro,
della tua relazione con tua madre,
che fu per te la prima dimora.
E se non l’avessi incontrata non saresti mai nato.
Cosicché il nostro ombelico
ci ricorda la nostra dipendenza originale da un altro,
ci ricorda che non ci siamo fatti da noi stessi
e che nel mezzo di noi stessi c’è questa ferita,
questa ferita che è il segno di un dono,
questa ferita che ci chiama a donare a nostra volta,
a non temere le ferite
se sono per dare la vita.
per essere offerta è per esempio nel nostro ombelico.
Ma se davvero ti guardi l’ombelico, che cosa scopri?
Una cicatrice.
La tua prima cicatrice,
che è la testimonianza ineffabile
del tuo rapporto con un altro,
della tua relazione con tua madre,
che fu per te la prima dimora.
E se non l’avessi incontrata non saresti mai nato.
Cosicché il nostro ombelico
ci ricorda la nostra dipendenza originale da un altro,
ci ricorda che non ci siamo fatti da noi stessi
e che nel mezzo di noi stessi c’è questa ferita,
questa ferita che è il segno di un dono,
questa ferita che ci chiama a donare a nostra volta,
a non temere le ferite
se sono per dare la vita.
(Fabrice Hadjadj)
Buona giornata a tutti. :-)
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