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domenica 23 settembre 2018

da: "Libero chi legge" - Fernanda Pivano

E' stato mio padre a insegnarmi l'amore per i libri. Ero poco più di una bambina ma ogni sabato pomeriggio mi accompagnava nella sua preziosa biblioteca di diecimila volumi e con una piccola cerimonia di un quarto d'ora ne sceglieva uno tra quelli di Fedor Dostoevskij, Lev Tolstoj e Anton Cechov, Gustave Flaubert e Guy de Maupassant, Thomas Mann e Alfred Doblin, Ljos Zilahy e Ferenc Kormendi (alla moda in quel momento), o della prosa d'arte italiana come per esempio America amara di Emilio Cecchi. Mi spiegava che cos'era e mi chiedeva cosa ne pensavo del libro che mi aveva dato il sabato prima.

Mi faceva leggere anche una minuscola rivista arrivata nelle sue mani per le vie dell'antifascismo, "La cultura", di cui aveva conservato le copie dei primi anni Trenta e dove Cesare Pavese aveva scritto articoli su Sherwood Anderson e John Don Passos, e soprattutto Edgar Lee Master: articoli che, in quel clima di "autarchia culturale", mi avevano aiutato a respingere il "principio di italianità" e a rivolgermi alla "plutocrazia decadente" e alla "democrazia giudaico-massonica" quali venivano definite le civiltà anglosassoni.

E' stato ancora lui a regalarmi la prima copia di Moby Dick, tradotto da Cesare Pavese nel 1932 e pubblicato dall'antica Frassinelli, gloria dell'editoria antifascista torinese.

Quello stesso Cesare Pavese sarebbe stato il mio supplente di italiano al liceo Massimo D'Azeglio di Torino. Nelle sue lezioni ci parlava di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce; un giorno sono tornata a casa e ho chiesto a mio padre, che si faceva chiamare babbo, se conosceva questi autori. E lui, senza dire niente, mi ha accompagnato nella sua biblioteca e mi ha fatto vedere i loro libri. Avreste dovuto vedere la faccia di quell'insolito professor Pavese quando il giorno dopo li ho portati in aula.

Pavese l'ho rivisto nel 1938, dopo il suo confino in Calabria. E' stato lui a farmi capire la differenza tra letteratura europea e letteratura americana, allora sconosciuta in Italia.

Nel 1941 Franklin Delano Roosvelt ha fatto il famoso discorso sulle quattro libertà: libertà di parola, di culto, dal bisogno e dalla paura. La libertà è a tutti i livelli: non avere paura, essere liberi, senza dittature. Questa era la base del sogno americano e della sua letteratura; la letteratura di cui mi sono innamorata. Per me l'America rappresentava la libertà in un periodo in cui la libertà in Italia non c'era.

Infatti poco dopo è scoppiata la guerra, e con la mia famiglia siamo stati costretti a sfollare a Mondovì, in un albergo presidiato dai nazisti. In quella stanza minuscola ho tradotto L'ultimo dei Mohicani di James Fenimore Cooper con mia madre che mi aiutava alla macchina da scrivere. Sognavo che Uncas arrivasse a liberarci.

Avevo già tradotto l'Antologia di Spoon River e da allora ho tradotto numerosi altri libri con la speranza di farli conoscere in Italia. Credo che non avrei potuto fare altro perchè questa è la mia passione.

Quando la libertà è arrivata anche nel nostro Paese, sono andata in America per cercare uno a uno quegli autori non ancora famosi tra noi, perché per me è fondamentale sapere chi è lo scrittore, chi frequenta, da dove viene: perché ha scritto quello che ha scritto.

Tutti i miei testi sono soltanto lettere d'amore; se scuotono dall'indifferenza qualcuno e lo inducono a interessarsi ad almeno uno dei libri descritti e al loro autore hanno raggiunto il loro scopo.

Oggi, molti, troppi anni dopo, ringrazio tutti gli autori americani che ho amato e dico anche a voi di ringraziarli, uno a uno. Tutte le volte che fate l'amore con un ragazzo che non è vostro marito, o con una ragazza che non è vostra moglie, dite grazie a Ernest Hemingway, a Jack Kerouac, a Gregory Corso. Dite grazie ai miei amici scrittori. E per farlo leggete i loro libri che sostengono la non corruzione, la non paura, la non violenza: che sostengono la libertà.

- Fernanda Pivano -
da: "Libero chi legge", Introduzione
Il volume raccoglie le 'lettere d'amore' di Nanda (18 luglio 1917-18 agosto 2009) ai 'suoi' autori americani.




La scuola serve solo per trovare lavoro?

"Se avessi dieci anni, ma non è detto che non li abbia, risponderei: «per niente». E, con un linguaggio appena un po’ più ingenuo di quello che userò, aggiungerei: «Alla mia età rivendico il diritto di potere ancora sognare e di non associare la felicità al possesso di beni materiali. Il lavoro e i soldi sono importanti, specie se non li hai. Ma dalla scuola mi aspetto che insegni anche altro. Che mi dia gli strumenti culturali per vivere meglio, per cogliere la bellezza in un’opera d’arte, per ammirare un tramonto e non solo una vetrina. Che, almeno alle elementari, mi spinga a fantasticare e a cercare dentro di me il talento unico e irripetibile che sicuramente posseggo, come tutti. 
Che non faccia di me solo un consumatore compulsivo e uno sbarratore di crocette nei questionari, ma un essere umano completo, capace di abitare la vita nella sua interezza o - come direste voi - totalmente."

- Massimo Gramellini -



Leggo perché mi piace leggere. 
Leggo perché non posso farne a meno. 
Leggo quando ho tempo, ma anche quando il tempo non mi basta. 
Leggo per ridere o per riflettere. 
Leggo quando sono felice perché la vita scorre facile, ma anche quando sono triste e ho bisogno di sorridere. 
Leggo perché a me ventiquattro ore non mi bastano e leggere mi allunga la giornata. 
Leggo in silenzio o anche in mezzo al caos. 
A volte leggo sorridendo da sola, altre volte piango per un personaggio di una storia chiusa tra le pagine del libro. 
Leggo perché voglio conoscere, perché voglio riflettere, perché mi piace. 
Leggo perché la vita è troppo breve. 
Leggo quando amo il silenzio. 
Leggo perché adoro il profumo delle pagine che scorrono. 
Leggo perché leggendo scopro che c’è tanto ancora da imparare.

- Alessia S. Lorenzi -
da “Come il Canto del Mare”




Buona giornata a tutti. :-)