domenica 30 aprile 2023

I Bruchi - don Bruno Ferrero

C’era una volta un gelso centenario, pieno di rughe e di saggezza, che ospitava una colonia di piccoli bruchi. Uno di questi bruchi si chiamava Giovanni e chiacchierava spesso con il gelso: “Sei fortunato, vecchio mio.

Sai che dopo l’estate verrà l’autunno, poi l’inverno e poi tutto ricomincerà. Per noi, invece, la vita è così breve…”.

Il gelso, dopo avergli sentito dire più volte queste parole, gli disse: “Ti ho già spiegato che non morirai. Diventerai una stupenda creatura, invidiata e ammirata da tutti”. Ma Giovanni non gli credeva, si confidava con i suoi compagni che la pensavano come lui e quindi non era affatto rincuorato.

Ben presto i tiepidi raggi del sole cominciarono a illuminare tanti piccoli bozzoli bianchi, sparsi qua e là sulle foglie del vecchio gelso.

Un mattino anche Giovanni si svegliò tutto intorpidito e si rivolse al gelso: “Ti devo salutare; è la fine. Devo costruirmi anch’io la mia tomba… sono rimasto l’ultimo”.

Il gelso sorrise e gli disse: “Arrivederci, Giovanni!”. “E’ un addio amico, è un addio!”, rispose il bruco. Ma l’albero sussurrò: “vedrai, vedrai…”.

In primavera una farfalla stupenda, dalle ali rosse e nere, volava leggera intorno al gelso. “Hai visto, Giovanni, che avevo ragione io? Hai già dimenticato com’eri poco tempo fa!”.

- Don Bruno Ferrero - 

Come i bruchi della storia, anche gli uomini credono innanzitutto in ciò che vedono e toccano. 

Non tutti credono che come Gesù anche noi risorgeremo a Vita Eterna. Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti … e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. (1Cor 15, 20-22) 

Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti … e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. (1Cor 15, 20-22)


- Buongiorno signora.
- Buongiorno.
- Va tutto bene? E’ freddo oggi, Cosa fa lì ferma?
- Sto aspettando mio figlio. E' andato a comprare qualcosa un po' di tempo fa, ma sembra che sia in ritardo.
Rispose l’anziana signora guardando il suo orologio.
- Allora, mentre aspetta, potrei farle compagnia io, se non la disturbo…
- Grazie, non si preoccupi. Sono sicura che un bel giovanotto come lei ha cose migliori da fare che far compagnia ad una vecchia come me.
- Non è un disturbo signora, glielo assicuro.
L’ uomo si sedette su quella panchina a fianco della signora.
E cosi Michele, come ogni mattina, stava seduto accanto alla sua vecchia madre, che aspettava un figlio che non le era mai stato più vicino di così...

- autore sconosciuto - 


Buona giornata a tutti :-)








 

venerdì 28 aprile 2023

Riguardo alla rabbia (De Ira) - Thich Nhat Hanh

 Un monaco decide di meditare da solo. Lontano dal suo monastero, prende una barca e va in mezzo al lago, chiude gli occhi e inizia a meditare.

Dopo alcune ore di silenzio imperturbabile, improvvisamente sente il colpo di un'altra barca che colpisce la sua. Con gli occhi ancora chiusi, sente crescere la sua rabbia e, quando li riapre, è pronto a gridare al barcaiolo che ha osato disturbare la sua meditazione.

Ma quando ha aperto gli occhi, ha visto che era una barca vuota, non legata, che galleggiava in mezzo al lago.

In quel momento, il monaco raggiunge l'autorealizzazione e capisce che la rabbia è dentro di lui; ha semplicemente bisogno di colpire un oggetto esterno per provocarlo.

Dopodiché, ogni volta che incontra qualcuno che irrita o provoca la sua rabbia, si ricorda; l'altra persona è solo una barca vuota.

La rabbia è dentro di me.

- Thich Nhat Hanh - 

 


10 LEZIONI DI VITA DI Thích Nht Hnh

1. Non sottostimare mai il potere di una parola gentile, un tocco o un sorriso.

2. Se ami qualcuno, il regalo più importante che puoi fargli è la tua presenza. Esserci, senza vergognarsi dei propri difetti e della propria storia personale, ha un valore immenso, è un segnale di grande amore. Al contrario, non esserci (soprattutto mentalmente) significa provare un totale disinteresse. Circondati di persone che ci sono e sarai felice.

3. Essere belli significa essere se stessi.

La massima bellezza di una persona si nota quando smette di indossare maschere e nascondersi ma inizia ad essere se stessa e sprigionare la propria essenza.

4. Cammina come se stessi baciando la terra con i tuoi piedi.

5. Finché sei vivo, tutto è possibile.

6. Quando una persona ti fa soffrire è solo perché soffre profondamente con se stessa. Le cattiverie nei nostri confronti ci fanno male, ma quando le subiamo dovremmo sempre comprendere che solo chi soffre vuol far soffrire gli altri.

7. Dare la colpa agli altri non ha alcun effetto positivo.

8. Lascia andare ciò che non ti serve e sarai felice

9.Il vero amore è libero da legami. Amare una persona significa volerla accompagnare nel percorso della vita senza cambiarla.

10. Il momento presente è tutto ciò che hai. L’unica cosa che abbiamo realmente è il momento presente. Ieri è un passato irraggiungibile, domani un futuro incerto.

Vivere al massimo il momento presente è tutto ciò che davvero ci serve per essere felici.

Thích Nht Hnh -


Buona giornata a tutti :-)





martedì 25 aprile 2023

L'eroismo di Gordio - Dagli Acta Sanctorum

Gordio era un valoroso centurione delle legioni romane. Apparteneva a una nobile famiglia di Palestina, che in segreto, per timore delle persecuzioni, si era convertita al cristianesimo.

I suoi genitori avevano tentato di instillargli l'amore per il Vangelo e avrebbero preferito si dedicasse agli studi, ma lo sfrenato desiderio di onori e vittorie aveva prevalso nel suo cuore su ogni altra aspirazione.

Aveva scelto la vita militare e la sua spiccata intelligenza gli aveva fruttato una fulminea carriera.

Gordio, dopo essersi distinto per il proprio coraggio e le virtù di stratega, aveva raggiunto tutto ciò che desiderava: era onorato dai propri legionari, possedeva terre, schiavi e ricchezze, e aveva anche conosciuto l'amore. Eppure, nonostante le gioie e i privilegi di cui poteva godere, il giovane centurione era tormentato da un'ansia inestinguibile e da un profondo turbamento.

L'insoddisfazione per quella vita agiata generava nella sua anima un perenne conflitto di desideri e sentimenti.

Cominciò a viaggiare. Abbandonò la vita familiare, i lussi, i doveri dell'esercito, e intraprese una vita errabonda. Era certo che la meraviglia di luoghi sconosciuti avrebbe incantato la sua anima e spento le sue ansie interiori. Era sicuro di trovare ciò che cercava, anche se non sapeva ancora che cosa fosse. Viaggiò e viaggiò. Visitò città e paesi, superò montagne, colline e deserti, attraversò fiumi e laghi e navigò per mare per lunghi anni. Ammirò terre lussureggianti. Si lasciò stupire da altri mondi e da altri popoli. Conobbe nuove lingue e nuove culture. Imparò moltissimo dai suoi viaggi. Ma al termine di ogni avventura, raggiunta la mèta che si era prefisso, veniva assalito da un acuto struggimento dell'anima e quell'ansia inestinguibile che gli toglieva il respiro tornava a farsi sentire. Allora, ripartiva verso un nuovo itinerario e una nuova destinazione.

Finché un giorno non incontrò un anziano monaco che viveva con alcuni compagni nel deserto di Qumran. Il monaco lo accolse nella sua comunità, lo rifocillò e si fece raccontare la sua storia.

Dopo qualche giorno, il monaco propose a Gordio di fermarsi per qualche tempo nel deserto, per condurre insieme agli altri monaci la vita povera e contemplativa del monastero.

Gordio accettò. Era stanco di viaggiare e aveva perso le speranze di trovare un briciolo di pace per il proprio cuore.

In quei giorni, riascoltò le parabole evangeliche che nella preghiera venivano lette dai monaci. Le aveva sentite raccontare tante volte dalla flebile voce della propria giovane madre, ma era come se le udisse per la prima volta. Erano come una musica che scendeva nell'anima e restituiva vigore al corpo. Erano come una pioggia fresca sull'arsura insopportabile che gli ardeva nel petto.

Gordio divenne monaco del deserto.

Ogni anno, si celebrava a Cesarea di Palestina una grande festa in onore di Marte, con giochi pubblici e spettacoli nell'anfiteatro. Quell'anno, sarebbe stato presente anche l'imperatore.

Il giorno dell'inaugurazione, tutto il popolo era radunato nello stadio. Nessuno mancava. C'erano giudei e gentili, greci e latini, uomini e donne, giovani e vecchi, soldati e laici. Una folla immensa sedeva scomposta sui gradini marmorei della cavea, in attesa dello spettacolo straordinario che stava per cominciare di lì a poco. Una corsa di cavalli guidati dai più esperti aurighi di Palestina avrebbe dato inizio alle gare.

Ed ecco che, proprio in quel momento di febbrile attesa, apparve Gordio, uscito dalla sua solitudine. Facendosi largo tra la folla, ruvido, la barba incolta, i capelli lunghi, il viso torrefatto dal sole, vestito di pelle caprina, avanzava con passo deciso al centro dell'arena, dove era stato eretto un podio.

Salì su quel palco e con voce alta e sicura si rivolse al pubblico presente: «Sono venuto dal deserto per confessare la mia fede di cristiano, per condannare il culto degli dei bugiardi. Non temo le vostre minacce e non indietreggerò di fronte alla ferocia dei carnefici, se sarà necessario. Quanto più essi saranno crudeli verso di me, tanto maggiore sarà il premio che avrò nel cielo».

Queste parole coraggiose fecero scendere un silenzio assoluto nell'arena. Cessò il rumore dei carri. Si zittì il nitrire dei cavalli. Tacquero le grida degli aurighi e gli accordi di prova degli strumenti musicali. Tutti si alzavano in piedi per vedere quel pezzente, così strano e intrepido, che si proclamava cristiano.

Per ordine del prefetto, Gordio fu interrogato davanti a tutti.

Conosciuta la sua origine nobile, la sua fama e il suo grado di centurione romano, si volle sapere perché aveva abbandonato la carriera militare, le ricchezze e la famiglia.

«Nella mia vita sono stato amato dalle donne e dai miei legionari, ho posseduto terre, schiavi e ricchezze, ma le gioie di questa vita non mi hanno reso un uomo felice. Sono partito in cerca di qualcosa che potesse dare un po' di quiete e di serenità al mio cuore sconvolto, ma dopo aver a lungo viaggiato, non ho trovato il bene prezioso che cercavo. Quando mi sono fermato, ho compreso che nessuno affronta un viaggio tanto lungo e ardimentoso come colui che intraprende il pellegrinaggio all'interno del proprio cuore. Il mio cuore ora è a servizio di un altro Imperatore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e per Lui sono disposto anche a morire, pur di annunciare a tutti il bene prezioso che mi ha elargito.»

Sdegno, proteste e insulti si levarono da ogni parte del pubblico, i giudei presenti si stracciarono le vesti.

Alla presenza dell'imperatore, il prefetto condannò Gordio per direttissima alla decapitazione nello stesso anfiteatro.

Gordio, con il volto radioso e il passo risoluto, si avvicinò ai carnefici, ma nell'istante in cui la sua testa cadde tagliata di netto dalla mannaia, scoppiò in cielo un tuono violentissimo e una tempesta spaventosa obbligò gli spettatori ad abbandonare l'anfiteatro.

La pioggia cadde per sette giorni e sette notti riducendo l'arena a un pantano melmoso. L'imperatore fu costretto a ripartire. Quell'anno i giochi di Marte non furono disputati.

Dagli Acta Sanctorum 

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 



25 aprile 

Forse non farò
cose importanti,
ma la storia
è fatta di piccoli gesti anonimi,
forse domani morirò,
magari prima
di quel tedesco,
ma tutte le cose che farò
prima di morire
e la mia morte stessa
saranno pezzetti di storia,
e tutti i pensieri
che sto facendo adesso
influiscono
sulla mia storia di domani,
sulla storia di domani
del genere umano
.

- Italo Calvino - 


Buona giornata a tutti :-)






domenica 23 aprile 2023

Amici... - Vinicius De Moraes

 Ho amici che non sanno quanto sono miei amici.
Non percepiscono tutto l'amore che sento per loro né quanto siano necessari per me.
L'amicizia è un sentimento più nobile dell'amore. Questo fa sì che il suo oggetto si divida tra altri affetti, mentre l'amore è imprescindibile dalla gelosia, che non ammette rivalità.
Potrei sopportare, anche se non senza dolore, la morte di tutti i miei amori, ma impazzirei se morissero tutti i miei amici!
Anche quelli che non capiscono quanto siano miei amici e quanto la mia vita dipenda dalla loro esistenza...
Non cerco alcuni di loro, mi basta sapere che esistono. Questa semplice condizione mi incoraggia a proseguire la mia vita. Ma, proprio perché non li cerco con assiduità, non posso dir loro quanto io li ami. Loro non mi crederebbero.
Molti di loro, leggendo adesso questa "crônica" non sanno di essere inclusi nella sacra lista dei miei amici. Ma è delizioso che io sappia e senta che li amo, anche se non lo dichiaro e non li cerco.
E a volte, quando li cerco, noto che loro non hanno la benché minima nozione di quanto mi siano necessari, di quanto siano indispensabili al mio equilibrio vitale, perché loro fanno parte del mondo che io faticosamente ho costruito, e sono divenuti i pilastri del mio incanto per la vita.
Se uno di loro morisse io diventerei storto.
Se tutti morissero io crollerei.
E' per questo che, a loro insaputa, io prego per la loro vita.
E mi vergogno perché questa mia preghiera è in fondo rivolta al mio proprio benessere. Essa è forse il frutto del mio egoismo.
A volte mi ritrovo a pensare intensamente a qualcuno di loro. Quando viaggio e sono di fronte a posti meravigliosi, mi cade una lacrima perché non sono con me a condividere quel piacere...
Se qualcosa mi consuma e mi invecchia è perché la furibonda ruota della vita non mi permette di avere sempre con me, mentre parlo, mentre cammino, vivendo, tutti i miei amici, e soprattutto quelli che solo sospettano o forse non sapranno mai che sono miei amici.
Un amico non si fa, si riconosce.

di Vinicius De Moraes



Io cerco la persona che sia capace di amare l’altro senza per questo punirlo, senza renderlo prigioniero o dissuaderlo; cerco questa persona del futuro che sappia realizzare un amore indipendente dai vantaggi o svantaggi sociali, affinché l’amore sia sempre fine a se stesso e non solo il mezzo in vista di uno scopo.

Carl Gustav Jung a Sabina Spielrein



Ogni relazione si deve basare sulla fiducia, a partire dalle relazioni di amore, fino a tutte le altre. 
Se si vive una vita basata sulla fiducia nell’altro, si vive più pienamente e si riescono a sviluppare le nostre e le altrui potenzialità.

- Roberto Mancini -


L'amore e l'amicizia hanno tre cose in comune:

Nascono dallo stesso seme:''La stima"
Crescono sotto la stessa luce: "Il rispetto"
E per vivere hanno bisogno della stessa linfa: "Esserci"

G. Donadei




Buona giornata a tutti. :-)







venerdì 21 aprile 2023

Ti ho perso ed altre poesie - Anileda Xeka

 Ti ho perso per ben due volte e questo è tutto quel che so.
Non sono come tanti, non voglio, 
né cerco un’alternativa diversa,
affinché sembri meno assurda o ingiusta la tua scomparsa.
Il vuoto che in me è senza misura.
Potrei pensare che la tua essenza continui ad esistere
sotto forma di una stella, magari.
Per intere notti, starei a guardare il cielo, se così fosse,
cercando di immaginare quale, tra le più splendenti, tu sia.
Potrei pensare che tu sia diventato un angelo e che da lassù
mi guardi e proteggi, che la tua casa sia un giardino di rose
dai profumi che da sempre in te abitano, che non si senta altro
rumore che il fruscio di un un arcobaleno di petali
che lo sgorgare dell’acqua dalla fonte…
Potrei, ma questo non accadrà.
in questo non/dolore, non/vita 
ho disimparato in fretta a mentirmi.
Benché tenti ad ingannarmi lo squillo del tuo 
telefono ogni qualvolta
che ti chiamo, di certo non sarà la tua voce a rispondermi.
Se metterò piede, in quel che era la mia casa, mia non perché
li nacqui e crebbi, 
ma perché spesso fui per te un figlio con fierezza.
  A dispetto, poi dei trent’anni che pesano sulla bilancia
fui la tua eterna bambina, con ammirazione profonda, 
con una tale gratitudine
che baciarti le mani di continuo non mi bastò mai.
Se tornavo,
tornare è un verbo che non so svolgere che in passato,
come tanti altri d’altronde, li in mezzo alle tue rose e i ligustri,
non saranno le tue braccia ad accogliermi,
pur essendo anche loro tuoi figli, poesie dalle tue mani scritte,
fratelli miei e sorelle.
"Il mio cuore era troppo piccolo" 
mi convince l’unico occhio che è
senza palpebra e in me sentenzia come il peggior giudice.
"Ti amavo tanto" in mia difesa 
sussurrano un tremolio di foglie cadenti.
Vano tentativo, come quello di disseppellire il mio cuore, sperando
che avrei potuto amare quel che tu amavi
ma non si sente che il ronzio fastidioso di una sveglia
che non sa mai zittirsi. Intrappolata sta nel mio torace 
e avvia per quanto assurdo sembri
l’ingranaggio arrugginito che ormai è diventato il mio corpo.

Anileda Xeka -



Non so dare un nome a ciò che provo
e se ha una qualunque importanza
ma ti porto.
negli occhi insonni del pensiero
come un attimo scattato di indelebile
nostalgia.

- Anileda Xeka -



Mi lascerò guidare dalle tue labbra
arrivare sino ai più intimi segreti
quelli che ho chiuso a chiave
nelle mille stanze della mia anima
quelli che saprebbero dirti chi sono.
Ascolterò le mille preghiere
inconfessate a Dio, a me.
Saranno il mio filo di Arianna
per uscire dai labirinti
che da sola costruisco per non trovarmi,
per perdermi senza ritorno
nel buio del battito che tace.
Mi lascerò spogliare dalle tue mani.
Non coprirò il mio viso
la mia pelle
per paura che il tuo desiderio
mi penetri cosi in profondo
da veder me stessa nei suoi occhi
ah i tuoi occhi!
Mi lascerò cercare dalla tua bocca
sarò il tuo bacio atteso
ad ogni sfiorarsi delle labbra
sarò la tua sete la tua acqua
mi lascerò bere
sino all’ultima goccia di me
mi lascerò amare.

- Anileda Xeka -



Non posso salvarti
da me
non chiedermi questo!
Sarebbe come se
elemosinassi
un pezzo di pane
al mendicante
che bussa alla porta
all’ora di pranzo
e
di là in cucina
hai già apparecchiato
per due.

- Anileda Xeka -







Buona giornata a tutti. :-)




martedì 18 aprile 2023

La lezione del contadino - Eirik Duke

Un contadino che coltivava mais di ottima qualità.

Ogni anno vinceva il premio per il miglior mais coltivato.

Un anno un giornalista lo intervistò e imparò qualcosa di interessante su come lo coltivava.

Il giornalista scoprì che il contadino condivideva i semi del suo mais con i suoi vicini.

- "Come puoi permetterti di condividere i tuoi semi di mais migliori con i tuoi vicini, quando ogni anno entrano in competizione con il tuo mais?"_ chiese il giornalista.

- "Perché, signore"_ disse il contadino _"non lo sa? Il vento raccoglie il polline dal mais in maturazione e lo fa roteare da un campo all'altro. Se i miei vicini coltivano mais inferiore, l'impollinazione incrociata degraderà costantemente la qualità del mio mais. Se voglio coltivare del buon mais, devo aiutare i miei vicini a coltivare del buon mais."

Così è con le nostre vite.

Chi vuole vivere bene e in modo significativo deve contribuire ad arricchire la vita degli altri, perché il valore di una vita si misura in base alle vite che tocca.

E chi sceglie di essere felice deve aiutare gli altri a trovare la felicità, perché il benessere di ciascuno è legato al benessere di tutti.

Chiamatelo potere della collettività. Chiamatelo principio di successo. Chiamatelo legge della vita.

Il fatto è che nessuno di noi vince veramente, finché non vinciamo tutti!

- Eirik Duke - 


“Non tutte le tempeste arrivano per distruggerti la vita, alcune arrivano per pulire il tuo cammino.”

Seneca 

Tu hai in mano il timone della tua vita attraverso i tuoi pensieri. Quelli negativi non devono spaventarti, hai bisogno invece di capirli (mai avere paura di un proprio pensiero!) e imparare a scegliere.

Guardiamo tutti gli stessi programmi televisivi. Alla radio ascoltiamo tutti le stesse cose, parliamo tutti delle stesse cose. Non c’è rimasta più nessuna sorpresa. Tutto uguale sempre di più. Solo ripetizioni. Siamo cresciuti tutti con gli stessi show televisivi. È come se avessimo tutti lo stesso impianto di memoria artificiale. (…) Abbiamo tutti gli stessi traguardi. Tutti le stesse paure. Il futuro non è radioso. Molto presto, avremo tutti gli stessi pensieri allo stesso momento. Andremo perfettamente all’unisono. Sincronizzati. Connessi. Uguali. Gli stessi. Come formiche. Insetti. Pecore.

(Chuck Palahniuk)


Buona giornata a tutti :-)




domenica 16 aprile 2023

Pietro e il mago

San Pietro era per temperamento un uomo focoso e, detto fra noi, anche un po' irascibile ma, proprio per queste sue caratteristiche, dinamismo e iniziativa non gli facevano certo difetto.

Quest'apostolo di Gesù si distinse in ogni occasione per lo spessore della sua figura che non passava mai inosservata, anzi il più delle volte dove c'era Pietro c'era scompiglio.

Alla morte del Maestro il suo zelo si raddoppiò e si narra d'innumerevoli conversioni e miracoli da lui compiuti. Ora voglio raccontarvi di come Pietro sfidò Simone il mago e come coinvolse Satana in quest'impresa.

Simone viveva in un villaggio della Samaria dove era conosciuto come "il mago", per alcuni poteri occulti appresi nei suoi viaggi in Siria. In quelle terre lontane egli aveva studiato su antichi libri l'alchimia delle lettere e dei numeri, così come il complicato cammino delle stelle nei cieli.

Tutti avevano una gran reverenza per lui, considerandolo una sorta di essere sovrannaturale, e il timore suscitato da quel suo "sapere" misterioso aumentava l'alone di magia che lo avvolgeva.

Pietro e Simone si conobbero proprio in terra di Samaria, dove l'apostolo si era recato per portare l'insegnamento di Gesù e soprattutto per predicare ai nuovi battezzati la discesa, per suo tramite, dello Spirito Santo su di loro.

Simone, che era fortemente attratto dalla conoscenza di ogni nuova dottrina, rimase

affascinato dallo spettacolo di quell'uomo possente che, ponendo le mani sulla testa dei battezzati, invocava a gran voce il potere di questo Spirito divino. Il "mago" pensò quindi di avvicinare Pietro e offrirgli del denaro affinché gli insegnasse come ottenere egli stesso quella facoltà.

Potete immaginare la reazione del buon santo a quelle parole. Per prima cosa fulminò Simone già con lo sguardo, poi lo ammonì duramente con queste parole: «Come osi barattare un dono divino con del denaro? Tu non hai nessuna facoltà né volontà personale; Dio elargisce gratuitamente come, dove e quando vuole. Ora vattene e rifletti su quanto ti ho detto, perché vedo in te legami malvagi che ti porteranno soltanto del male».

Come primo incontro non prometteva affatto bene e il futuro non fece che confermare quanto questi due uomini fossero destinati a contrapporsi.

Passato del tempo dal suo incontro con Pietro, Simone si trasferì a Gerusalemme, dove ben presto acquistò grande fama di astrologo e taumaturgo, tanto da farsi chiamare "la prima verità", promettendo ai suoi seguaci addirittura l'immortalità. Si diceva in città che nulla gli fosse impossibile: sia tramutare i metalli in materia animata come dar vita a pietre e statue, sia far parlare gli animali come tramutarne la forma.

Il caso volle che anche san Pietro venne a trovarsi in quella città, cosa che subito giunse alle orecchie di Simone. Così questi fece in modo di incontrarsi con il santo, verso il quale aveva maturato in quegli anni un'avversione sempre più profonda.

Pietro non cercava il contrasto con quell'uomo, ma non era neppure disposto a inchinarsi di fronte al potere di una mente proterva e astuta. Il giorno del loro incontro a Gerusalemme finse quindi di non ricordare l'episodio di Samaria ma, conoscendo ormai l'animo di quell'uomo, già sapeva che il suo precedente atteggiamento aveva scavato fra loro un solco probabilmente incolmabile.

«Pace a voi, fratelli che amate la verità» disse l'apostolo incrociando Simone e i suoi seguaci.

«Noi non abbiamo bisogno della tua pace» rispose pronto il mago «dato che tra due che si combattono la pace nasce quando l'uno è vinto e mi sembra che noi due siamo ancora vivi e vegeti».

«Come mai la parola pace ti spaventa tanto? Le battaglie nascono dagli anfratti oscuri del male, ma dove vi sono una mente chiara e un cuore saldo là vi è la pace» gli rispose Pietro.

«Non sprecare tante parole e guarda ciò di cui sono capace». Così dicendo, Simone mise in atto alcuni dei suoi prodigiosi giochi di magia.

Gli astanti si erano fermati con il fiato sospeso chiedendosi cosa sarebbe successo. Pietro stesso, colto di sorpresa, non poté che ammirare l'abilità di quell'uomo che sapeva servirsi sia della credulità altrui sia dei segreti della natura in modo assai raffinato.

Il potere del santo andava però molto al di là di quanto Simone pensasse, per il semplice motivo che non era lui a operare ma la forza divina che lo attraversava senza trovare ostacoli, così come il vento passava sul deserto.

Pietro non ebbe quindi grandi difficoltà a contrastare il mago né a far sembrare scherzi da nulla i suoi complicati incantesimi finché, sconfitto ancora una volta,

Simone preferì ritirarsi sdegnosamente.

La voce che il vecchio cristiano aveva tenuto testa a Simone il mago fece il giro di tutta Gerusalemme, tanto che l'orgoglioso incantatore di Samaria preferì lasciare la città per trasferirsi a Roma.

Indubbiamente Simone possedeva grande fascino e sapere, egli conosceva l'arte di evocare i corpi sottili dell'uomo e di risvegliare le forze nascoste nella materia inanimata, così come conosceva i nomi e le abitazioni dei demoni, ma non aveva scoperto che ogni conoscenza umana è solo un'illusione che facilmente si frantuma di fronte al mistero di Dio.

Passò ancora del tempo durante il quale il mago stupì tutta Roma conquistando la fiducia dello stesso imperatore Nerone, mente i cristiani combattevano la loro dura battaglia nel tentativo di dar voce all'insegnamento del loro maestro.

Nella grande città della penisola italica giunse un giorno anche Pietro, portandovi la sua autorità di apostolo di Gesù, testimone diretto di fatti incredibili e depositario di insegnamenti segreti.

Il mago e il santo si trovavano di nuovo nello stesso luogo, l'uno forte nella certezza delle proprie illusioni, l'altro pronto ad accogliere ogni accadimento come pura espressione della volontà divina.

L'imperatore aveva trovato in Simone il più straordinario degli indovini, affidandosi ormai completamente a lui per il buon andamento della sua vita e per quella del popolo romano. Ogni mattina quindi il mago scrutava le sue misteriose carte invocando il nome di oscure potenze affinché vegliassero sul palazzo imperiale e sulla città.

Proprio una mattina, mentre era chino su quegli strani segni, Simone intuì la presenza di Pietro. Lo vide chiaramente rientrare nella sua vita come un turbine che scompaginava ogni cosa. Chiese allora alle carte come comportarsi ma, per la prima volta, non riuscì a leggervi alcuna risposta.

Pietro fu ben presto informato del grande potere di cui Simone il mago godeva presso l'imperatore; così, senza pensarci due volte, decise di recarsi a palazzo per smascherare colui che manipolava le ombre facendosi credere simile a Dio.

Il sant'uomo volle portare con sé l'amico Paolo, che da più tempo dimorava in città, e sapeva quindi meglio destreggiarsi tra le complicate burocrazie di palazzo. Insieme chiesero udienza e quindi, giunti al cospetto del grande Nerone, gli spiegarono il motivo della loro presenza.

Se raccontassimo una storia normale, a questo punto l'imperatore avrebbe dovuto scacciare, anzi addirittura arrestare, i due impudenti che osavano interferire nell'operato del suo prezioso indovino, ma nel nostro caso il corso degli eventi doveva prendere una strada inusuale perché così era già stato stabilito.

La curiosità s'insinuò quindi nella mente dell'imperatore, che decise di accontentare quei due "buffoni" e far chiamare il mago.

«Se, come tu affermi, attraverso le sue opere la divinità si manifesta in lui» gli disse Pietro, «allora ordinagli di svelarti quello che io penso e che rivelerò solo a te segretamente».

Dal canto suo Simone si era già preparato a quell'incontro, passando più di una notte in profonda meditazione per permettere alla sua mente di fronteggiare senza

cedimenti l'incontro con l'odiato palestinese. Aveva più volte sfogliato i testi di magia, soffermandosi a lungo sulle pagine dedicate alle invocazioni più potenti, conscio di doversi confrontare con una potenza in parte a lui sconosciuta, della quale non riusciva a decifrare l'origine.

Giunse quindi a palazzo protetto da uno scudo di forza impenetrabile che si palesava nello sguardo cupo e fiero, chinò lievemente il capo in un cenno di saluto per l'imperatore e ignorò l'uomo che lo aveva chiamato in campo.

Nerone si rivolse al mago, sicuro che presto avrebbe avuto un'ulteriore conferma della sua natura divina: «Simone, quest'uomo afferma che nessun potere sovrannaturale opera in te e che solo l'abilità di manipolare forze presenti nella tua mente ti rende capace di plasmare ciò che ti circonda. Ora io ti chiedo di dimostrare che questa non è la verità e che il Dio, per conto del quale quest'uomo afferma di parlare, nulla può contro di te».

Così dicendo, fece cenno a Pietro di avvicinarsi e di bisbigliargli all'orecchio quello che pensava. Il santo formulò allora segretamente questa strana richiesta all'imperatore: «Fammi portare tre pani d'orzo senza che nessuno veda».

La richiesta venne esaudita e un servo chiamò in disparte Pietro dandogli le pagnotte, che lui subito benedisse con un gesto veloce della mano e una breve preghiera, nascondendole poi nell'ampia manica della tunica.

L'apostolo rientrò quindi nella sala e affrontò direttamente il mago: «Dimmi tu adesso quello che ho pensato, detto e fatto».

«Dica prima Pietro quello che ho pensato io» rispose Simone.

«Quello che tu hai pensato non vi è necessità che io lo dica; basterà il mio comportamento per dimostrare che so quello che è passato nella tua mente.»

Allora Simone con voce tonante urlò quest'invocazione: «Per il potere che Dio mi concede vengano i cani e si avventino su costui, sbranandolo all'istante!».

Fra le grida generali apparvero nella sala tre enormi cani neri che ringhiando e sbavando si avventarono su Pietro. Questi fu pronto però a estrarre dalla manica i pani benedetti e a lanciarli verso le fauci delle belve che, con latrati spaventosi, fuggirono scomparendo alla vista degli astanti.

«Ecco come ho dimostrato, non con le parole ma con i fatti, di aver previsto quello che Simone aveva escogitato contro di me» disse Pietro rivolto all'imperatore che, ancora tremante per la spaventosa scena, si aggrappava ai braccioli del suo scranno.

Il mago era livido per la rabbia e l'umiliazione subita. Non voleva a nessun costo ammettere che quell'uomo, contro il quale aveva giurato vendetta, fosse realmente portatore dello Spirito Santo, così come egli predicava quel lontano giorno in Samaria.

Pensò allora di giocare la sua carta più potente rivolgendosi all'imperatore e alla folla radunatasi tutt'attorno: «Ho sempre protetto la città di Roma e il suo imperatore, ma ora voi tutti mi ripagate lasciando che questo sciocco palestinese si faccia beffe di me con qualche misero trucco. La terra non merita la mia divina presenza; quindi domani, nell'ora in cui il sole sarà allo zenit, io la lascerò salendo sulla torre più alta e volando verso il cielo, così voi mi perderete per sempre».

Quella notte Pietro fu assalito dall'angoscia più profonda: avrebbe preferito portare a Dio quell'uomo piuttosto che perderlo, ma lasciò alla divina Saggezza ogni scelta.

Da parte sua il mago non volle ascoltare i molti segni che avevano attraversato la sua vita, preferendo aggrapparsi a quello che credeva il signore supremo: Satana.

Il giorno seguente, l'imperatore e tutta la popolazione romana attesero l'ora stabilita, radunandosi sotto la più alta torre del Campidoglio. Ed ecco che d'improvviso il mago apparve proprio sulla sua cima nel preciso istante in cui il sole si trovava perpendicolarmente sopra di essa.

Abbacinati dallo splendore di quella luce, tutti guardavano verso l'uomo sulla torre, che sembrava davvero l'incarnazione di un dio sfolgorante di gloria. Simone allargò le braccia e si lasciò scivolare nell'aria come in un mare tranquillo. Tra lo stupore di tutti egli cominciò a roteare sopra di loro scrutandoli con occhi rapaci come un'aquila possente sopra dei pulcini.

Nerone si voltò verso Pietro e Paolo che osservavano in silenzio: «Guardate! Quest'uomo è nella verità e voi non siete altro che cialtroni al servizio di qualche ingannatrice divinità degli inferi».

Paolo guardò allora l'amico che sembrava indugiare, chiedendosi per quale motivo non ponesse fine a quella terribile situazione in cui cielo e terra pareva stessero rabbrividendo sferzati da una forza maligna.

Solo allora Pietro sembrò scuotersi da un'immobilità simile alla morte. Alzando un braccio e puntando l'indice verso il mago, pronunciò queste parole: «Angeli di Satana che sorreggete nell'aria con le vostre ali quest'uomo, io vi intimo nel nome di Gesù Cristo, scintilla del Principio divino, di ubbidire alla Legge e lasciarlo al suo destino, così come è scritto».

Nell'attimo stesso in cui l'ultima parola fu pronunciata, Simone il mago crollò al suolo e morì.

Quell'istante avrebbe potuto segnare la gloria di Pietro e del popolo cristiano, ma ciò non avvenne perché ancora così non era scritto.

Dalla Leggenda aurea

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


La Disputa tra Simon Mago e san Pietro (Filippino Lippi)

Buona giornata a tutti :-)