domenica 24 novembre 2024

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature» Luna e Stelle

 LUNA

Vorrei essere molto semplice come la luna di stasera, per esempio, o una distesa verde. Di sicuro mi prendo ancora troppo sul serio.

Ho di nuovo gironzolato attorno all'IJsclub neanche fossi sbronza e rivolto sciocche osservazioni all'eterna luna. Mica è nata ieri, quella luna.

Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d'argento e d'eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio.

Non è passato neppure un mese, era il 27 agosto a mezzanotte, da quando Joop mi aveva scritto: “Eccomi di nuovo seduto con le gambe che penzolano fuori dalla finestra, ad ascoltare l'immenso silenzio. Il campo di lupini, ora senza i suoi colori esultanti, è immerso nella luce violenta e confortante della luna. Tutto è di una solennità e di una pace che mi rendono muto e serio. Salto giù dalla finestra, faccio pochi passi sulla sabbia soffice e guardo la luna”. E poi finisce quella lettera notturna, scritta con la sua calligrafia compatta e fitta su una brutta carta: “Capisco che si possa dire: qui si può solo fare un gesto: inginocchiarsi. No, non l'ho fatto, non lo trovo necessario, mi sono inginocchiato stando seduto sulla finestra e poi sono andato a dormire”.

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


STELLE

Ieri sera alle undici c'erano tre stelle nella cornice nera della mia finestra. Adesso c'è un sottile quarto di luna. Questa è l'ennesima mattina grigia in cui mi sono ritrovata alla mia pacifica scrivania, accanto al faretto di alluminio acceso. Dovrebbe essere vietato cominciare la giornata con il giornale e la radio. Questa mezz'ora è mia, tutta mia. Ci sono momenti in cui avverto molto intensamente questa sensazione: il momento è mio, tutto mio e il giorno può portare qualsiasi cosa, ma quest'attimo è ormai mia inalienabile proprietà. E poi penso solo a piccolezze; per esempio, alla burrascosa serata musicale da Leonie Wolff. A un tratto ho visto in un angolo, contro lo sfondo rosso scuro della tenda, quei fiori bianchi sul pavimento che se ne stavano lì a vivere quieti la propria vita. O all'unico inerme gesto infantile di Mien Kuyper quando si è fermata ad aspettare nel corridoio, quella sera a casa di Ungár, perché non sapeva se andarsene o rimanere. Quella donna è una martire del talento di Mischa. Certo, si potrebbe pure dire che è solo una vedova isterica dai capelli biondo paglierino con un'idea fissa. Ma quel gesto commovente fa anch'esso parte dell'immagine della persona.

Ieri sera a letto mi sentivo di nuovo come un piccolo vaso stracolmo di pensieri e sentimenti. Uno di questi giorni le cose cominceranno a fermentare in quel vaso. Che cosa non ho detto a quelle tre stelle! E da quale posto del mondo e attraverso quale finestra parlerò di nuovo a quelle stelle, pensando alla sera di ieri?

Stamattina un paio di stelle erano appese al cielo come lucidi frutti ai rami, scuri e spogli, dell'albero fuori dalla mia finestra.

Solo la notte prima le stelle pendevano ancora come luminosi frutti dai suoi rami scuri, e la notte seguente si arrampicavano, incerte, lungo lo spoglio tronco devastato. Già, quelle stelle: per alcune notti, forse un paio, sole e perdute, graffiavano ancora la superficie deserta, ampia del cielo.

Sì, quel Lunedì, quel Lunedì di Pasqua. Liesl e Werner, alle due di notte, come due monelli di strada parigini seduti sul bordo dei loro improvvisati letti da zingari nella sala. E io sul letto di Renate: ho tolto il cartone di oscuramento dalla finestra e improvvisamente sono apparse alcune stelle all'altro capo del letto. Non erano le stesse stelle che vedo davanti alla mia finestra, ma ho avuto comunque un contatto con loro e d'un tratto mi ha invasa la sensazione rassicurante che, in qualunque posto del mondo io mi trovi, mi sarà possibile osservare le stelle e lasciarmi cadere su un letto, o sul pavimento o chissà dove, e sentirmi a casa, dovunque.

Ero ferma sul piccolo ponte e ho guardato oltre il canale: mi sono sciolta nel paesaggio e ho offerto tutta la mia tenerezza a quella notte, al cielo con le sue stelle e all'acqua e al ponticello. È stato il momento migliore della mia giornata. Sentivo che quella era l'unica maniera per dare voce e corpo alle tante sensazioni di tenerezza che, nel profondo, si provano per un altro: affidarle alla natura, lasciarle scorrere sotto un cielo, notturno e libero, di primavera e sapere che non c'è altra via d'uscita. E così sarebbe dovuta terminare la mia giornata, sarei dovuta andare a dormire nel mio lettino da studentessa dietro la luccicante finestra senza tende, e gli alberi sarebbero stati ancora al loro posto.

Venerdì sera, mentre tornavo da casa sua in bicicletta, attraverso la notte primaverile, ho sparso il grande amore e l'immensa tenerezza che provo per lui nella notte, ne ho riversata un po' nelle stelle e ne ho lasciata un po' nei cespugli lungo il canale. E poi: bisogna saper reggere i propri sentimenti forti e sopportarli e farli avanzare. Non si deve sempre desiderare di liberarsene, bisogna saperne portare il peso e non lasciarsene distruggere, anzi, trarne energie e non solo per quell'unico uomo ma anche per molte altre creature di Dio, che pure hanno diritto alla nostra attenzione e al nostro amore.

Mi mancano tutti gli strumenti per completare il mio lavoro di cesello sulle parole, quel lavoro che molto spesso mi impegna la mente, ma nel quale rimango bloccata proprio perché mi mancano le parole. Non posso nominare nulla della terra con il suo nome: nessuna città, nessun fiore, nessun santo, nessun principe, nessuna stella, niente. Ho bisogno del cosmo intero come similitudine per dare un contesto a ciò che sta nascendo dal profondo della mia anima, con tanta potenza e colore. Devo imparare ancora molto: i nomi che le persone attraverso le epoche hanno dato alle loro città, ai loro fiori, alle loro stelle, per poi poterli aggiungere, come altrettanti colori, alla mia povera tavolozza di parole.

Noi in fondo abbiamo solo da esistere, ma con semplicità, con insistenza, come esiste la terra, docile alle stagioni, chiara, scura, nello spazio, non chiedendo di posare se non nella rete degli influssi e di forze in cui le stelle si sentono sicure”.

Quante volte ho pregato, neppure un anno fa: Signore, ti prego, rendimi un po' più semplice. E se quest'anno mi ha portato qualcosa, è stata proprio questa maggiore semplicità interiore. E credo che in futuro riuscirò anche a esprimere le cose difficili di questa vita con parole molto semplici. In futuro.

Dunque, con quell'unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo - ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle - non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”?

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


Buona giornata a tutti :-)





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