NATURA
Per un attimo, mentre me ne stavo una
mezz'ora al sole sulla nostra terrazzina di pietra, seduta sul bidone dei
rifiuti, la testa appoggiata al mastello, con i raggi che cadevano sui rami
forti, scuri e ancora senza foglie del castagno, ho sentito nettamente la
differenza tra prima e adesso. Ora riesco a esprimere in breve ciò che ho
provato, laddove stamattina avevo ancora bisogno di molte parole: quel sole sui
rami scuri, gli uccelli cinguettanti e io sul bidone, al sole. Anche in passato
restavo spesso a sedere così, ma non mi sono mai sentita come oggi, tranne
qualche rara volta. Prima osservavo un albero sotto al sole soltanto con la
mente: volevo dire a me stessa il motivo per cui lo trovavo tanto bello, volevo
trovare le parole e comprendere come l'insieme funzionasse; desideravo
scandagliare con la mente quella profonda sensazione, quell'impulso
primordiale, almeno credo. Volevo quindi assoggettare la natura, vale a
dire il tutto; volevo contenerlo. E il bello invece è - ed è davvero semplice -
che adesso sono io a sentirmi assoggettata al tutto. Mi aggiro di qua e di
là, invasa da questa profonda sensazione, ma essa non mi prosciuga più l'anima:
al contrario, mi dà forza. Nelle mie vene scorre un sano flusso vitale, tanto
che, mentre me ne stavo al sole, ho inconsapevolmente piegato la testa, come se
potessi assimilare meglio quel nuovo senso di vitalità. D'un tratto ho compreso
come una persona, il volto nascosto dietro le mani giunte, possa crollare
violentemente sulle ginocchia e poi aver pace.
Un desiderio di silenzio. Ora il silenzio è
tornato da me e io lo porto con me, continuamente. Devo dirlo a Liesl che
afferma di sentirsi bene solo nella natura. Bisogna portare la natura
dentro di sé, si può viverla in un fiore, in una nuvola, in una sensazione che
ti scorre nelle vene. Una persona può racchiudere tutto in se stessa e
portarselo dentro. È possibile. Ma non si possono sempre inseguire le
cose, e non bisogna neanche esserne dipendenti.
Ero ferma sul piccolo ponte e ho guardato
oltre il canale: mi sono sciolta nel paesaggio e ho offerto tutta la mia
tenerezza a quella notte, al cielo con le sue stelle e all'acqua e al
ponticello. È stato il momento migliore della mia giornata. Sentivo che quella
era l'unica maniera per dare voce e corpo alle tante sensazioni di tenerezza
che, nel profondo, si provano per un altro: affidarle alla natura,
lasciarle scorrere sotto un cielo, notturno e libero, di primavera e sapere che
non c'è altra via d'uscita. E così sarebbe dovuta terminare la mia
giornata, sarei dovuta andare a dormire nel mio lettino da studentessa dietro
la luccicante finestra senza tende, e gli alberi sarebbero stati ancora al loro
posto.
La mia rosa tea sta appassendo tra la
macchina da scrivere, un fazzoletto e un rocchetto di filo nero. È quasi
insostenibilmente bella e tenera. Appassendo gentilmente, e con rassegnazione,
si prepara ad abbandonare questa breve, fredda vita. È così tenera e amabile, e
ha una tale grazia nella sua lenta morte che potrebbe facilmente spezzarmi il
cuore. Ma bisogna lasciar morire in pace anche una rosa tea e non cercare
fervidamente e disperatamente di trattenerla. In passato riuscivo a essere
inconsolabile e inspiegabilmente triste per un fiore che appassiva. Ma
bisogna imparare ad accettare anche l'appassire della natura, senza opporvi
resistenza. E sapere che ci sarà sempre una nuova fioritura.
Vorrei scrivere un intero libro su un
sassolino di ghiaia e su un paio di violette. Potrei vivere molto a lungo con
una singola pietruzza, e avere la sensazione di vivere nella natura potente di
Dio. Ho scoperto solo ora che la pietruzza di ghiaia di quel pomeriggio
sul tetto, nel sole, proveniva direttamente dai giorni della creazione, e la
mia sorpresa per aver scoperto all'improvviso così tanta eternità in una
pietruzza non si è ancora sgretolata fino a oggi.
Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»
SOLE
Per un attimo, mentre me ne stavo una
mezz'ora al sole sulla nostra terrazzina di pietra, seduta sul bidone dei
rifiuti, la testa appoggiata al mastello, con i raggi che cadevano sui rami
forti, scuri e ancora senza foglie del castagno, ho sentito nettamente la
differenza tra prima e adesso. Ora riesco a esprimere in breve ciò che ho
provato, laddove stamattina avevo ancora bisogno di molte parole: quel sole sui
rami scuri, gli uccelli cinguettanti e io sul bidone, al sole. Anche in passato
restavo spesso a sedere così, ma non mi sono mai sentita come oggi, tranne
qualche rara volta. Prima osservavo un albero sotto al sole soltanto con la
mente: volevo dire a me stessa il motivo per cui lo trovavo tanto bello, volevo
trovare le parole e comprendere come l'insieme funzionasse; desideravo
scandagliare con la mente quella profonda sensazione, quell'impulso
primordiale, almeno credo. Volevo quindi assoggettare la natura, vale a dire il
tutto; volevo contenerlo. E il bello invece è - ed è davvero semplice - che adesso
sono io a sentirmi assoggettata al tutto. Mi aggiro di qua e di là, invasa da
questa profonda sensazione, ma essa non mi prosciuga più l'anima: al contrario,
mi dà forza. Nelle mie vene scorre un sano flusso vitale, tanto che, mentre me
ne stavo al sole, ho inconsapevolmente piegato la testa, come se potessi
assimilare meglio quel nuovo senso di vitalità. D'un tratto ho compreso come
una persona, il volto nascosto dietro le mani giunte, possa crollare
violentemente sulle ginocchia e poi aver pace.
A Deventer le mie giornate erano come
grandi pianure illuminate dal sole, ogni giornata era un tutto ininterrotto, mi
sentivo in contatto con Dio e con tutti gli uomini - probabilmente perché
non vedevo quasi nessuno. C'erano campi di grano che non dimenticherò mai e
dove mi sarei quasi inginocchiata, c'era l'IJssel, con i parasole colorati, il
tetto coperto di canne, i pazienti cavalli. E poi il sole, che assorbivo da tutti
i pori. Qui, invece, le giornate sono fatte di mille pezzetti, la grande
pianura è sparita e così pure Dio, e se andrà avanti di questo passo io
rimetterò tutto in questione: e questa non è profonda filosofia, ma un segno
che non sto bene. E poi c'è quella strana irrequietezza che non so ancora come
sistemare. Ma chissà che essa non possa dare buon frutto nel mio lavoro, quando
saprò incanalarla.
Stasera il sole pendeva come una palla
infuocata tra i due alberi neri di una nave. Un treno giocattolo scorreva in
lontananza lungo il ponte ferroviario. C'era un glorioso cielo ricoperto di
nubi. Stavo lì sul ponte ferroviario nel mio impermeabile, a guardare. Era così
bello e anche tanto normale e buono.
A volte è tutto così tremendamente difficile.
Oh, insomma, il sole splende così glorioso, lasciamoci un po' andare e viviamo
semplicemente sotto il sole, dormiamo e dimentichiamo per un momento tutti
i doveri e i rapporti e i temi di russo e i dentisti, tu goditi la Duse e il
tuo sognare.
Oggi pomeriggio, giacinti e narcisi sotto il
sole, Beethoven, gli Spieringen di fronte al bimbo olandese di tre anni che ha
già i capelli bianchi sulle tempie, torta fatta in casa venuta da Beetsterzwaag
e atmosfera, così tanta buona atmosfera attorno a noi, così tante buone
irradiazioni di ognuno di noi verso tutti gli altri: mio Dio, si può
davvero essere grati per così tante cose buone...
Per me la realtà più vera è ancora quel sole
sui giacinti, il coniglio, il budino di cioccolato e Beethoven, e anche i suoi
capelli bianchi sulla tempia e il suo collo giovane. Quando, stando in piedi,
ha letto ad alta voce quel salmo prima di cena, alla luce della lampada, senza
emozione e quasi oggettivo, una vasta bontà si è stesa sul caro paesaggio del
suo viso.
Rilke. Sto leggendo le sue lettere. Ogni
giorno trovava nuove parole, buone e affettuose per il mondo della natura e
degli uomini. Ogni giorno, per così dire, trovava nuovi vezzeggiativi e
gesti amichevoli, per l'aria, la pioggia, il sole, per le “cose”. Eppure
non era un uomo avvezzo a lagnarsi con i fiorellini e gli uccellini, ha sempre
lavorato e duramente. Perché mai non si dovrebbero trovare ogni giorno nuove
parole e vezzeggiativi per le cose quotidiane che ci circondano e per l'aria
che respiriamo?
Di questi tempi, bisognerebbe essere grati
ogni giorno che splende il sole e non si è imprigionati.
È bellissimo avere alcune ore per se stessi
sotto al sole: moltissime preoccupazioni ti abbandonano.
Eccomi sdraiata sul divano, lo strano rottame
di una giovane donna isterica, che si sente tanto pesante e tesa nel ventre e
così leggera nella testa. Dietro di me, il sole. E il mio piccolo castagno
leva al cielo, come in una supplica, tante piccole mani decorative dal
vaso di terracotta.
Mi sento tanto sicura di me stessa e per
nulla spaventata, in qualche modo trionfante e indistruttibile, piena di tanto
amore e fiducia. E se anche il più piccolo vacillamento, la più sottile paura
dovessero insinuarsi in te, sarò immediatamente con te e ti sosterrò. Un
vecchio vestito, un paio di sandwich, un po' di sole di tanto in tanto, e uno
sguardo affettuoso; una mano che c'è ancora e può accarezzare: è tutto quello
che serve.
E poi sono rimasta al sole ancora un'ora da
sola, e questo mi è bastato come fosse una vacanza molto lunga. Riesco a
riposare tra due profondi respiri, lo imparo sempre meglio: un'ora di sole può
significare un'intera vacanza estiva.
Già, e dopo il freddo giorno grigio di
ieri, questo sole tenero, davvero tenero, è un dono inatteso. Ci si può
tuffare in questi giorni come in un tiepido e salutare bagno, e si deve cercare
di salvarne qualcosa per i giorni freddi che verranno.
Oh, quegli uccelli e quel sole sul ghiaino
del tetto. Ho nell'anima tanta calma e dolcezza, e un senso di appagamento che
riposa in Dio. Che forza primordiale vien fuori dall'Antico Testamento e
che radice “popolare”, anche. Magnifiche figure, forti e poetiche, vivono in
quelle pagine. Un libro davvero avvincente, aspro e tenero, ingenuo e saggio,
interessante non solo per ciò che dice, ma anche perché permette di conoscere
chi lo dice.
Alla fine di una giornata come questa, Tide
avrebbe detto, in un tono quasi oggettivo: Dio grande, Ti ringrazio per
quelle buone ciliegie, per il sole e per avermi permesso di passare
l'intera giornata con lui.
Ieri il mio cuore era come un uccello preso
in trappola, ora è di nuovo libero e vola indisturbato dappertutto. Oggi c'è il
sole. Preparo i miei panini e mi metto in cammino.
Quante cose possiedo ancora, Dio mio: e una
persona come me vuol essere un giglio del campo? Dunque, con quell'unica
camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si
dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa
terra? E lo stesso cielo - ora con la luna, ora col sole, per non parlare
di tutte le stelle - non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché
si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”?
Prendere in mano le cose terrestri
giustamente, pieni di cordiale amore. Di meraviglia, come cose nostre,
passeggere, uniche: questo è anche, per dirla usualmente, il grande
avvertimento sul modo di usare Dio, questo intendeva descrivere san
Francesco d'Assisi nel suo Cantico al Sole, che all'ora della morte per lui fu
più magnifico della croce, la quale s'ergeva là solo per indicare la
direzione del sole”.
Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»
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