domenica 3 marzo 2024

Il mito di Cura - Gaio Giulio Igino

«All’alba del mondo, la Dea Cura, mentre passeggiava pensierosa nella solitudine, arrivata sulla riva di un fiume, vide che i suoi piedi lasciavano un’impronta sull’argilla.

Cura infilò le mani in quel fango e vide che si modellava sotto le sue dita. Fece delle figure simili a sé. Vennero così perfette e belle che sembravano vere, così implorò Zeus che desse loro la Vita.

Zeus immediatamente esaudì la richiesta di Cura, per ricambiare la dedizione della Dea per tutte le volte che lo aveva assistito quando era stanco, massaggiato quando era indolenzito, ascoltato quando era preoccupato e consigliato su come alleviare le ansie dell’Universo.

“Per tutte le volte che ti sei preso cura di me, io ascolterò la tua preghiera”, disse.

Ma non appena Zeus vide la meraviglia sotto ai suoi occhi, le due forme d’argilla si muovevano e danzavano come divinità, volle appropriarsene, dando loro il nome. Nella discussione intervenne anche Gea.

Quando Cura, che amava ormai le sue creature, capì che quelli, piuttosto che abbandonare la disputa e la contesa, avrebbero distrutto la magia, corse a chiamare Crono il saggio.

Questi, dopo lunga meditazione, così sentenziò:

“Tu, Zeus, hai dato lo spirito. Alla loro morte, lo spirito tornerà a te”

“Tu, Gea, che hai dato l’argilla, alla loro morte riceverai il corpo”.

“Tu Cura, che per prima hai creato e fatto vivere il corpo, lo possiederai finché vivrà e si chiamerà Homo perché è stato tratto dall’ humus”.

Cura era felice, ma cominciò a rendersi presto conto che quelle due creature erano mortali e fragili, debolissime e incapaci di provvedere a se stessi autonomamente e se non costantemente nutrite, sostenute, restaurate, si rompevano. Erano costantemente vittima della natura, del tempo, dei pericoli esterni e continuavano ad ammaccarsi e rompersi. Nel frattempo Zeus progettava conquiste e potere per quelle creature e Gea organizzava lavori nei campi e subordinazione delle leggi del tempo.

Per Cura, invece, cominciarono le ansie e gli affanni per mantenere in vita quegli esseri fragilissimi: non dormiva più, non mangiava più, e sopperiva ad ogni loro mancanza, soprattutto quando cimentavano nei grandi progetti divini, che loro non riuscivano a portare a termine.

Si arrabbiava con Zeus, Gea e Crono, ricordando loro che era lei a dover organizzare la vita di Homo.

Ma gli altri non rinunciarono alle loro conquiste ambiziose, così sentenziarono di lasciare a Cura solo le creature più fragili e più inclini a sfaldarsi sotto il sole e a contatto con l’acqua e il vento.

Cura fu declassata a Dea inferiore, capace solo di occuparsi di persone ansiose e angosciate, inabili e fragili, soprattutto femmine. Ma Cura non si arrese e continuò a dispensare amore e attenzioni, a proteggere dalla malinconia, dai turbamenti, dalle ingiustizie e dagli inganni del tempo, dai dolori, dalle ossessioni e dalla paura di invecchiare. Parlava alle creature con amore, intrecciava i loro capelli come fossero un canto e donava loro le leggi del mondo. Intanto gli uomini, presi in faccende di potere e superiorità, non si ricordavano più di essere fragili oggetti di fango e continuavano a uccidere e soggiogare la Natura e tutte quelle anime fragili che continuavano a tornare a Cura chiedendole conforto.

Quando gli dei tutti si resero conto dell’opera di Cura, della sua dedizione e della sua instancabilità lei ormai era fuori dal tempo e dallo spazio. Era diventata per tutti la Curandera, colei capace nel silenzio di accollarsi le ansie e gli affanni, nell’inquietudine della precarietà umana, nella sua quotidiana esposizione alle difficoltà del mondo a guarirli con il canto delle mani e l’incanto della voce».

Gaio Giulio Igino, Higynus

da: "Il mito di cura", Liber Fabularum. II sec. D.C., favola numero 220

Da Wikipedia: Affresco proveniente da Pompei raffigurante il medico Iapige che cura Enea, assistito da Venere e Ascanio in apprensione (I sec., Museo Archeologico Nazionale di Napoli)

Tempo

 Quante volte ho sentito chiedere: 
se il tempo era compiuto perché siamo ancora qua?
Il tempo della misericordia di Dio non ha anni, mesi o millenni programmati.
Il Padre vuole dare sempre la possibilità a questi figli ribelli, 
di fermarsi ad ascoltarlo.
L' amore non cerca vendetta, non vuole il castigo 
ma la comunione con se stesso.
Troppo spesso siamo ripiegati su noi stessi, sui nostri problemi, 
sulle cose negate, sul tanto da fare anche solo per cambiare.
E in questo turbinio di propositi non ascoltiamo la voce che ci invita a seguirlo, che non promette ricchezza, assenza dal dolore o infinita sapienza, ma vuole darci la possibilità in questo tempo di entrare in sintonia con Lui.
Certamente non mancheranno le fiere a impedircelo, ma non dimentichiamo anche la presenza degli angeli, sempre pronti a sostenerci.
Coraggio allora, pur riconoscendo i nostri infiniti limiti e le nostre molteplici fragilità, riproviamo a fare spazio al Signore, 
chissà se non è questo il nostro tempo?
A piccoli passi avanziamo in questa nuova quaresima.
Con te, in te, sempre.

 Silence


Buona giornata a tutti :-)


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