C’era una volta un prigioniero… No: c’era una volta un bambino… Meglio ancora:
c’era una volta una Poesia… Anzi, facciamo così: c’era una volta un bambino che
aveva il papà prigioniero.
“E la Poesia?” direte voi. “Cosa c’entra?”
La Poesia
c’entra perché il bambino l’aveva imparata a memoria per recitarla al suo papà,
la sera di Natale. Ma, come abbiamo spiegato, il papà del bambino era
prigioniero in un Paese lontano lontano.
Un Paese curioso, dove l’estate durava
soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava.
Un Paese
straordinario dove tutto si tirava fuori dal carbone: lo zucchero, il burro, la
benzina, la gomma.
E perfino il miele, perché le api non suggevano corolle di fiori,
ma succhiavano pezzi d’antracite.
Un Paese senza l’uguale, dove tutto quello
che è necessario all’esistenza era calcolato con così mirabile esattezza in milligrammi,
calorie, erg e ampère, che bastava sbagliare un’addizione – durante il pasto –
per rimanerci morti stecchiti di fame.
Stando così le cose, arrivò la sera
della vigilia, e la famigliola si trovò radunata attorno al desco, ma una sedia
rimase vuota. E tutti guardavano pensierosi quel posto vuoto, e tutto era muto
e immobile nella stanza perché anche l’orologio aveva interrotto il suo ticchettare,
e la fiamma era ferma, come gelata nel camino.
Allora il bambino – chi sa
perché – si levò ritto sul suo sgabello, davanti alla sedia vuota, e recitò ad
alta voce la Poesia di Natale:
Din-don-dan: la campanella questa notte suonerà
e una grande, argentea stella su nel ciel s’accenderà ...
Il bambino recitò la
sua Poesia davanti alla sedia vuota del papà e, com’ebbe finito, la finestra
si spalancò ed entrò una folata di vento . E la Poesia aperse le ali e volò via
col Vento.
“La Poesia aperse le ali?” direte voi. “E come faceva ad aprire le ali?
La Poesia è forse una farfalla?”
No, la Poesia è un uccellino. Un uccellino
fatto di cielo azzurro impastato in un raggio di luna. Un uccellino che nasce
(come sboccia un fiore) nel tiepido cuore del poeta, e subito scappa fuori
dalla sua rossa gabbietta e va a saltare sul foglio bianco che sta sopra la scrivania.
Ma non può ancora volare perché gli mancano le ali: e allora il poeta intinge
la penna e gli fabbrica le ali con le più belle parole che gli vengono alla mente.
E ogni verso diventa una piuma. E quando tutto è finito, l’uccellino spicca il
volo e porta per il mondo le parole del poeta. E tutti le leggono perché
l’uccellino si posa – ad ali spiegate dovunque scorge un foglio bianco, e le
parole si vedono benissimo perché l’uccellino è fatto d’aria trasparente,
mentre le parole sono scritte con l’inchiostro di Cina.
La Poesia, dunque,
spiccò il volo e via col Vento. “Dove vuoi che ti porti?” le domandò il Vento.
“Portami nel Paese dov’è adesso il papà del mio bambino”, disse la Poesia.
“Stai fresca!” rispose il Vento. “Perché prendano anche me e mi mandino al
lavoro obbligatorio a far girare le pale dei loro mulini a vento! Niente da
fare: scendi!”
Ma la Poesia tanto pregò che il Vento acconsentì a portarla
almeno alla frontiera. E cammina, cammina, cammina nella notte di pece,
finalmente arrivarono al confine e il Vento fermò il motore, e la Poesia scese
e si avviò a piedi verso la siepe che divideva i due Paesi.
Faceva tanto freddo
che la povera poesiola aveva tutte le rime gelate e non riusciva neppure a spiccare
il volo.
“Dove vai?” le chiese un vecchio il quale, con uno stoppino legato in
cima a una pertica, cercava invano d’accendere qualche stellina nel cielo nero.
“Dove vai?” “Al campo di concentramento”, rispose la Poesia senza fermarsi.
“Ohimè”, sospirò il vecchio. “Internano anche la Poesia , adesso ? Cosa ci
resterà più?”
La Poesia continuò zampettando il suo cammino e finalmente
arrivò al confine ma, appena attraversata la siepe, una rete le piombò addosso
ed eccola prigioniera .
“Ah! Ah!” sghignazzò un omaccio vestito di ferro
avvicinandosi con una lanterna. “Dove vai? Chi sei? Cosa porti scritto sulle
ali? Spionaggio?”
E la Poesia a spiegargli chi fosse e dove andava , e quello a
insistere sospettoso . Alla fine parve convinto e , inforcati gli occhiali ,
cominciò a leggere i versi scritti sulle ali. Din-don dan: la campanella questa
notte suonerà…
“No !” disse. “Proibito fare segnalazioni acustiche notturne in
tempo di guerra !” E, con un pennello intinto nell’inchiostro di Cina, cancellò
molte parole . Poi, di lì a poco , scosse ancora il capo .
Una grande ,
argentea stella su nel ciel s’accenderà… “Niente !
Contravvenzione
all’oscuramento !” disse. E giù pennellate nere .
Latte e miele i pastorelli al
Bambino porteranno… “Niente !
Contravvenzione al razionamento!” borbottò . E
giù ancora col pennello .
I Re Magi immantinente sul cammello saliranno…
“Niente !” urlò furibondo . “Basta coi re! Guai a chi parla ancora di re!” E
giù pennellate grosse così .
Poi, afferrato un grosso timbro , le timbrò le ali
e disse che poteva entrare .
La Poesia si mise a piangere. “E come faccio a
entrare così ? Con tutte queste cancellature io non sono più una poesia…”
“O
così, o niente!” disse l’omaccione mostrandole un foglio.
“Guarda qui: il
regolamento parla chiaro.” E il regolamento diceva infatti tra l’altro che , in
quel Paese dove tutto è prosa, era proibito l’ingresso alla Poesia. La nostra
poverella ritornò malinconicamente indietro e adesso, anche se avesse voluto
volare, non l’avrebbe potuto più perché le pennellate nere le avevano tarpate
le ali.
“Non ti rattristare, piccolina”, le disse un vecchio dalla lunghissima
barba bianca che stava seduto su un sasso, vicino alla siepe di confine .”Non
ti rattristare se non t’hanno lasciata entrare. Figurati che non lasciano
entrare neanche me che ho ingresso libero nei Paesi più importanti del mondo!
E sono anni che aspetto qui fuori.”
“E chi sei tu?” domandò la Poesia .
“Sono
il Buonsenso” , rispose il vecchio .
Passò il Vento e la Poesia lo scongiurò ad
ali giunte : “Vento, Vento, portami via con te! Riconducimi a casa : le mie
ali sono tarpate… Ti pagherò doppia corsa!”
“Non posso”, rispose il Vento. “Ho
troppo da fare, adesso . Debbo portare dolci
ricordi e nostalgie in tutte le
case del mondo. Questa è l’ora dei ricordi e il servizio è duro.”
La Poesia
riprese il suo cammino nella notte fredda, ed ecco qualcuno apparire sulla
strada deserta. Uno strano personaggio il quale borbottava pieno di malumore:
Oh, che bel Natale! Oh, che bel Natale! Quest’arietta maledetta soffia dentro i
polmoni Oh, che bel Natale! Oh, che bel Natale! Con la guerra sulla Terra
disperazioni…
Chi era il vecchio brontolone? Era proprio Babbo Natale, tutto
vestito di rosso e con una gran barba candida, con la gerla sulle spalle e la
lanterna in mano . “Ehilà!” esclamò Babbo Natale, fermandosi a guardare
curiosamente la Poesia. E, inforcati gli occhiali, si chinò a leggere le
poche parole rimaste sulle ali del nostro povero uccellino: La campanella e
una grande argentea stella sul cammello saliranno e al Bambino porteranno …
“Guarda , guarda!” esclamò . “Una poesia ermetica!”
La Poesia spiegò che lei
non era una poesia ermetica, ma il poco rimasto di una onesta poesiola di
Natal , e Babbo Natale allora si commosse e disse: “Ti riporterò a casa io .
Salta pure dentro la gerla: tanto è vuota!”
“Vuota la gerla di Babbo Natal ?” si stupì la Poesia.
“Vuota, sì”, sospirò il vecchio.
Chi più pensa ai
giocattoli in questa triste Terra?
Tutti adesso lavorano soltanto per la
guerra! Non più trenini elettrici per i bambini buoni: il ferro, ora, si
adopera solo per far cannoni!
Cercar cavalli a dondolo? Sono pretese strane:
adesso, il legno, l’usano per fabbricare il pane!
Tu vorresti una bambola ?
Niente, bambina mia : la cartapesta e i trucioli servon per l’autarchia !
Cercar dolciumi è stupido : le chicche son proibite . Adesso, con lo zucchero ,
ci fan la dinamite ! la ricerca è inutile: dal Motta andar , non vale:
“Panettone ?” rispondono . “Neppur questo Natale…”
E tutt’al più ti spiegano ,
in tono riservato , che di servirti sperano la Colomba Pasquale col rametto
simbolico nel becco mandorlato .,. Babbo Natale scosse il capo e sospirò : “E
così, cara la mia Poesia , la gerla è piena soltanto di speranze . Pazienza :
vuol dire che sarà per il Natale prossimo . Andiamo pure.” Ma, intanto, cosa
succede nella casa lontana? Niente di straordinario: Albertino – cosi si chiama
il nostro bambinello – va a letto e la nonnina , per farlo addormentare , gli
racconta una favola . Vogliamo ascoltarla anche noi quella favola ? Siamo
abituati ad ascoltarne tante , di favole , che una di più non ci potrà recare
danno . Però non è bello stare ad ascoltare i fatti altrui . Aspettiamo dietro
la porta che Albertino si sia addormentato . Ecco: il bambino s’è addormentato, la nonna se ne è andata e il silenzio ha disteso il suo mantello di velluto
nero su tutta la casa. Ed ecco che, dopo un po’, si ode un ticchettio contro il
cristallo della finestra .
Albertino si sveglia , scende dal letto, apre cauto
la finestra .
E’ la Poesia che è ritornata . “Ebbene ? L’hai visto papà ?”
“No”, risponde la Poesia. E narra la sua triste avventura. Allora Albertino si
mette le scarpine felpate e la mantellina col cappuccio e si avvia deciso alla
porta . “Andrò io dal babbo” , esclama risoluto . Scende cauto per la scala ,
gradino per gradino . La casa è buia e piena di mistero.
“Mio Dio!” grida a un
tratto. “Cosa sono quei due puntini di fuoco che mi fissano?… Ah, il gattino
bianco. Che paura m’hai fatto! Micino, fammi luce fino alla porta del
giardino!…” E il micio, con i suoi occhi fosforescenti, illumina la strada ad
Albertino.
I sogni dei bambini sono tutti illuminati da occhi di gattini, da
lucciole , da stelline . E’ un tipo di illuminazione molto conveniente perché
ci si vede a sufficienza e il contatore non gira. Mentre attraversa le stanze
deserte, voci si levano sommesse. Oramai tutti sanno: quando Albertino
complottava con la Poesia, il Grillo Parlante stampato a pagina 27 del libro di
Pinocchio ha udito ed è scappato via dal foglio , ed è corso per la casa a dare
la grande notizia : “Il bambino va a trovare il babbo !…” Così , mentre
Albertino passa, le cose gli parlano:
“Digli che conto i minuti che ci separano
dal suo ritorno !” sussurra l’orologio . “Digli che divoro i giorni per
abbreviargli l’attesa !” sussurra il calendario . “Digli che senza di lui non
riesco più a spiccicare una parola !” sussurra la macchina per scrivere.
Sul
rullo della macchina c’è un foglio scritto a tre quarti: una novellina
interrotta proprio sul finale. “Digli, per l’amor di Dio, che torni presto”,
implora la novella. “Da diciotto mesi Lauretta aspetta. Giacemmo sotto
l’orologio della piazzetta. Non si può lasciare una povera ragazza così , per
degli anni, esposta alle intemperie. Digli che venga a concludere!…”
E
Albertino promette che riferirà tutto . Ed eccolo alfine nel giardino. Flik, il
vecchio cane da guardia, lo aspetta sulla porta. “Vengo anch’io dal padrone” ,
dice Flik . Il gattino s’è fermato sulla porta . Perché dovrebbe avventurarsi
in quella gelida notte dicembrina? Per il bel gusto di vedere la faccia del
marito della padrona? I gatti non sono dei sentimentali. E’ tanto buio, fuori,
e si fatica a camminare , ma Flik va a svegliare una lucciola che sverna dentro
un buchetto del muro . Quella protesta : è freddo, e soprattutto non ha
petrolio per accendere il fanalino posteriore . “Ma hai bene la tua dinamo !”
osserva Flik . “Sì, ma è già una dannata fatica per chi le può far funzionare
con la mano, queste benedette dinamo! Figurati poi la fatica che debbo fare
io…” Ma poi la Lucciola cede e – presa la lampadina – si avvia con Flik e
Albertino. Ma non camminano molto: sul cancellino si trovano a fianco a fianco
con qualcuno che sta uscendo. E’ un essere ammantato in una lunga palandrana e
sembra un fantasma. Albertino lancia un piccolo grido di paura, ma poi la
Lucciola illumina il viso del presunto fantasma. “Tu, nonnina?” “Tu, Albertino?
E dove vai a quest’ora?” “E tu, nonnina?”
“Io vado a trovare il mio bambino”,
risponde la nonna. Per le mamme i figli restano sempre dei bambini e – se
stesse soltanto in loro – continuerebbero a farli dormire eternamente nella
culla. E, vedendo un metro e mezzo di gambe uscir fuori dal lettuccio , non
direbbero : “Mio figlio è cresciuto .
” Direbbero : “La culla del mio bambino si
è ristretta .”Le mamme sono sempre in lotta col tempo e se , talvolta , si
tingono i capelli quando incanutiscono , non è per vanità , ma per illudersi
che il tempo non è passato e che il loro bambino – perciò – è ancora un bambino
.
“Tu hai un bambino , nonna? E chi è ?” “Il tuo papà…” Avanzano nella notte al
tenue lume della Lucciola : Flik, la nonnina e Albertino . E la mamma ? La
mamma è rimasta a letto : ha paura del buio e ha tanto freddo ; è un po’ come
il gattino bianco , la mamma, e si muoverebbe, in questa notte, solo se si
trattasse del suo bambino. I figli lontani bisogna andarli a trovare a ogni
costo.
I mariti lontani basta saperli aspettare .
I papà , invece, fanno
migliaia di chilometri in sogno anche per rivedere le mamme dei loro figli .
L’uomo è un sentimentale come Flik . Non per niente l’uomo è detto l’amico del
cane. cammina, cammina, cammina, ecco che arrivano a una piccola e solitaria
stazione dove una locomotiva , dopo aver fatto una bella scorpacciata di
carbone , sta facendoci sopra una buona pipata . “Signora locomotiva” , chiede
Albertino , “ci porti da papà ?”
“Impossibile”, risponde la locomotiva. “Crisi
dei trasporti, mitragliamenti, mancanza di personale…” “Signora locomotiva”,
prega la nonnina, “portami dal mio bambino. Non sai cosa rappresenti per una
mamma il suo bambino? Tu non hai figli?”
“E come no?” risponde la locomotiva.
“Non sono forse miei figli tutti questi vagoni che tu vedi ? E so anch’io ,
signora , cosa voglia dire avere dei figli lontani ! Sapessi, vecchia signora ,
quanti e quanti miei figlioli sono costretti a lavorare laggiù , nel Paese dove
si trova tuo figlio !…” “Se sai dov’è , vuol dire che tu lo conosci il mio
padrone !” esclama Flik . “Effettivamente tu lo devi conoscere : era un tuo
ottimo cliente , aveva l’abbonamento…” La locomotiva mandò fuori un sospirone
di fumo nero . “Lo conosco sì, ma non per l’abbonamento . Purtroppo l’ho
dovuto portare io , lassù, assieme agli altri . Quando mi ricordo , mi monta il
vapore alla testa del cilindro ! Non mi ci far pensare !” La locomotiva s’era
commossa e sospirava con tutti i suoi stantuffi , e allora Albertino la pregò
ancora e quella cedette . “Salite , vi porterò fin dove mi sarà possibile . Non
si sa mai quel che possono combinarti lungo la linea quei monellacci della
montagna! In carrozza, signori! Si parte…”E cammina , cammina , cammina , a un
tratto il treno si arrestò bruscamente. “Fine del viaggio”, disse la
locomotiva. “Il ponte è saltato in aria . Ah, monellacci : sempre voglia di
scherzare ! Beata gioventù…” Il treno fece macchina indietro e Albertino , la
nonnina e Flik e la Lucciola si trovarono soli in piena campagna. Dove si va? A
destra o a sinistra? E come si fa poi a capire quale è la destra e quale la
sinistra quando c’è buio ? Finalmente videro avanzarsi un lumicino rosso ed era
il fornelletto d’una grossa pipa, e dietro la pipa procedeva un tipo strano con
baffoni, giacca nera, calzoni a righe e tubino. “Signore , per cortesia ,
insegnaci la strada per arrivare dal papà” , implorò Albertino. Ma il tipo
rispose che lui non sapeva niente, e che non aveva visto niente, e che non si
occupava di politica ma badava ai fatti suoi, e che era ancora in giro soltanto
perché s’era attardato al caffè con gli amici . Poi, quando si fu convinto che
quella era brava gente inoffensiva, si tolse i baffi che erano finti, e si vide
che si trattava di una gallina. “Sono una gallina padovana residente
all’estero”, disse. “E, così travestita , rimpatrio clandestinamente per fare
l’uovo . Voglio che il mio uovo sia italiano !” “Stupendo !” esclamò la nonnina
che era romantica . “Stupendo! Sembra una gallina del Risorgimento!…” Poi,
siccome s’era commossa anche lei, la Gallina disse: “Camminate lungo questa
strada, contate 1490 passi, poi voltate a destra, andate sempre diritto e
troverete quello che fa per voi. ” Uno, due, tre, quattro, cinque, sei…
millequattrocentonovanta passi. Poi voltata a destra, quindi eccoli in un
bosco. E cammina, cammina , cammina , d’un tratto sboccarono in una bella
radura illuminata da grosse stelle pendenti dai rami degli alberi , come frutti
di fuoco . Era un campo di aviazione : però non uno dei soliti campi coi soliti
aeroplani , ma un campo d’atterraggio per Angeli. Angeli d’ogni tipo, Angeli
monomotori, bimotori, trimotori, quadrimotori prendevano terra o decollavano.
Gran lavoro, durante la guerra, per l’aviazione del buon Dio. Angeli da
ricognizione incrociano sui luoghi delle battaglie e segnalano eventuali
concentramenti d’anime. Angeli da trasporto accorrono e caricano le anime e le
portano in cielo. Angeli da caccia difendono le formazioni dagli attacchi di
neri diavoli alati. Mentre gli Angeli bombardieri rovesciano sulle case, sopra
gli ospedali, sopra i campi di prigionia, grossi carichi di sogni, distruggendo
così le opere nefaste della disperazione . “Vi porterò al campo di
concentramento” , disse un Angelo che era appunto addetto ai sogni. “Salite.”
Era un bell’Angelo con tre paia d’ali, un trimotore, e Albertino e la nonna e
Flik e la Lucciola si trovarono ben presto altissimi nel cielo. E nel cielo
nero ogni tanto si spalancava una finestrella e s’affacciava una stellina che
salutava sventolando il fazzoletto. A un tratto si aprirono anche le imposte
d’un grande balcone e la Luna venne fuori a curiosare e tutto il cielo
s’illuminò . “Ritirati , pettegolona !” esclamò l’Angelo . Ma non fece in tempo
a finire che si sentì uno schianto e l’Angelo si inabissò con un’ala in fiamme
. La Flak l’aveva scoperto e colpito. La nonnina, Albertino, Flik e la Lucciola
precipitarono nel baratro buio .”Aiuto !” gridò Albertino . E il Vento lo udì e
accorse , e prese a bordo i naufraghi dell’aria e li portò dolcemente giù ,
giù, deponendoli alla fine sulla neve soffice . Poi se ne andò borbottando:
“Benedetti sogni! Se non vi si stesse attenti, chi sa come andreste a 6
finire!” Dov’erano andati a cadere i nostri naufraghi? In un bosco. Un immenso
bosco con grandi alberi carichi di neve. E neve copriva la terra, soffice e
bianca come panna montata. Un bosco buio, pieno di freddo mistero . “E adesso ,
nonnina ?” domandò Albertino . “Come si fa ?” “Non temere” , lo rassicurò la
nonnina . “Domandando si arriva dappertutto . Guarda, arriva proprio qualcuno :
buona sera , signora !…” “Chi è , nonnina ?” “E’ la Formica” , spiegò la nonna
. “E’ la buona Formica che lavora tutta l’estate per mettere da parte roba . E
così, quando viene l’inverno , la brava formichina è tranquilla, mentre la
Cicala, che ha trascorso tutta l’estate cantando, deve andare da lei a
implorare un po’ d’aiuto. E la Formica le risponde : “Se hai cantato , adesso
balla !” Bisogna sempre lavorare e risparmiare , bambino mio . Il risparmio…”
“A morte il risparmio !” urlò la Formica . “Peste e dannazione a chi ha inventato
la Giornata del Risparmio, i salvadanai e la previdenza! Ho lavorato trent’anni
come una negra economizzando il centesimo, mi sono fatta a costo di spaventosi
sacrifici un gruzzoletto per la vecchiaia, ed ecco il magnifico risultato: le
mie cinquantamila lire valgono oggi come settantacinque lire di prima della
guerra !… E debbo andare io a elemosinare dalla Cicala la quale , adesso, fa
soldi a palate perché avendo trascorso i suoi giorni guardando il panorama –
ora tutti vengono da lei a farsi descrivere le albe rugiadose e i tramonti di
fuoco e i placidi meriggi e le profumate notti del felice tempo che fu . Adesso
chi ha in magazzino articoli di nostalgia fa quattrinoni !… Abbasso il
risparmio !… Abbasso i capitalisti !… La proprietà degli altri è un furto !…” E
si allontanò cantando inni sovversivi . “Orrenda guerra che distrugge tante
belle favole !” sospirò la nonna . “Non vi rattristate , signora” , esclamò un
gufo , affacciandosi al balconcino che si apriva sul tronco di un pino .
“Favole vecchie muoiono , favole nuove nascono . C’è sempre la contropartita .”
“Dove siamo , signor Gufo ?” domandò Albertino. E il Gufo inforcò gli occhiali
e spiegò . “Esistono sulla Terra il Paese della Pace e il Paese della Guerra .
Il Paese della Pace è tutto sole e azzurro , e i campi sono pieni di bionde
messi, e fiori sbocciano dovunque, in riva ai fiumi, nei boschi e perfino sulle
nevose cime delle montagne. E i suoi abitanti lavorano la terra e tutti –
dietro la casetta – hanno un orticello nel quale coltivano amorosamente i
grossi cavoli sotto i quali, in tutte le stagioni, nascono bambini bellissimi .
Il Paese della Guerra è tutto il contrario : perché non c’è mai il sole e il
cielo è color del catrame , e nei campi non fiori o messi spuntano, ma
baionette; e sugli alberi maturano bombe. E gli uomini si vestono di ferro, e i
bambini non nascono sotto i cavoli , ma li fabbricano a macchina e perciò hanno
tutti il cuore di ferro e la testa di ghisa. Eproprio sul confine tra il Paese
della Pace e quello della Guerra si incrociano la strada che va dai Paesi del
sole ai Paesi senza sole, e la strada che va dalle terre dove nasce la luce
alle terre dove la luce diventa ombra.” “Signor Gufo”, disse Flik, “perdona me,
povero cane di campagna, ma mi sembri piuttosto ermetico.” “E’ semplice”,
rispose il Gufo. “Qui si incrociano la strada che dal Sud va al Nord , e la
strada che dall’Est va all’Ovest . E in questo bosco si incontrano perciò
creature dell’un Paese e dell’altro : si incontrano gli abitanti del mondo
della Pace e del mondo della Guerra. Quindi non vi stupite. Buona notte.”
“Signor Gufo! Ancora una parola, vi prego…” Ma il Gufo era sparito dentro la
sua casetta e Albertino e la nonna e Flik e la Lucciola si trovarono ancora
soli nel bosco. Presero a camminare tra i cespugli e cammina, cammina,
s’imbatterono in tre Funghi Buoni rannicchiati ai piedi di una ceppaia . Erano
tre buoni funghi : tanto buoni che erano perfino mangerecci , ma non sapevano
niente di niente . Spiacentissimi , ma essi facevano una vita così ritirata e si occupavano tanto poco di politica… Più avanti si imbatterono in tre rossi
Funghi Velenosi con le teste aguzze aguzze come capocchie di chiodi, e
domandarono anche a loro, ma quelli scrollarono sgarbatamente il gambo
borbottando: “Weg! Weg! Via, via!” E avanti, avanti, incontrarono anche un
vecchio tutto bianco che andava in giro con un’accetta in spalla e una
valigetta in mano. Si fermava presso gli alberelli e con una lente guardava
ramo per ramo. Poi, quando scopriva un ramo cariato, lo tagliava adagio adagio
con l’accetta. Ma prima, con una grossa siringa, faceva alla pianta l’anestesia
locale perché non sentisse dolore , e, dopo, disinfettava e bendava il ramo
troncato. Appressava lo stetoscopio al tronco delle vecchie piante, e auscultava
attento. E massaggiava con olio canforato i grossi nodi, e ungeva con pomate
contro i geloni le radici non coperte dalla terra. Era il Guardia boschi Buono,
il quale innaffiava col Proton i quercioli deperiti, e metteva guanti di lana
alle cime dei rami di pino che avevano perso il rivestimento di verdi aghi. Ma
anche lui non sapeva niente di niente: per quanto riguardava la guerra, poi, si
ricordava benissimo di Garibaldi, ma non sapeva se fosse guarito o no dalla sua
ferita d’Aspromonte. E via, via, e ancora via fra i tronchi neri, con la
Lucciola in testa alla piccola schiera. A un tratto si fermano spaventati . Giù
tutti dietro il cespuglio! Un omaccio dalla barba rossa si avanzava sbraitando
e brandendo un grosso fucile. “A posto!” gridava prendendo a calci e a schiaffi
gli alberi. “A posto!” E tutti gli alberi si mettevano in riga per cinque
tremando per la paura, e quello lì contava e li ricontava e guai se ne mancava
uno! Poi, se una stellina si fosse affacciata alla sua finestrina nel cielo
nero, “Oscuramento!” avrebbe gridato, e le sparava addosso una schioppettata. E
se una lucciola accendeva il suo lumino, l’afferrava con un balzo e le svitava
la lampadina . E metteva gli occhiali neri ai gatti perché i loro occhi
fosforescenti non brillassero nel buio regolamentare. Mamma mia che paura! Non
era certo il caso di rivolgere domande al Guardia boschi Cattivo. Meglio
starsene ben nascosti. Quando si fu allontanato, la Lucciola riaccese la sua
lampadina e i quattro si rimisero in cammino. E via, via, e via, finalmente si
trovarono davanti a una piccola radura in mezzo alla quale due sentieri si intersecavano.
“Che sia il crocicchio famoso ?” disse la nonnina . “Fermiamoci qui : qualcuno
dovrà pure passare .” E, difatti, poco dopo apparvero zampettando sul sentiero che
veniva dal Sud tre Passerotti, ognuno dei quali portava sulla spalla un
fagottello legato in cima a un bastone. E cantavano allegramente: La famiglia
vagabonda guarda qua : la mammina , il pargoletto ed il papà che vanno in cerca
di mangiar , ma neve sol si trova ohimè ! Com’è triste sulla neve andare a pie
quando calza né stivale più non c’è ! Ma non importa: la va a pochi , il tempo
bello presto verrà ! E, contemporaneamente, ecco arrivare , dalla parte opposta
, tre Cornacchie col kepi e il cinturone con la daga , che camminavano
impettite come baccalà . Tre Cornacchie nere, con una lampadina appesa sul
petto . Tre Cornacchie di ronda, le quali borbottavano: Chi, alle dieci ,
ancora in giro se ne va ? L’ora ormai del coprifuoco è già suonata ! Noi siam
la ronda che va a caccia di nottambuli e beon: chi non ha le carte a posto va
in prigion. Non è posto, questo qui , per fannullon : chi non fa niente ,
sull’istante al lavor mandato sarà ! “Altolà : documenta!” ordinarono con
malgarbo le tre Cornacchie ai Passerotti: e vollero sapere dove andassero e
cosa facessero. E i Passerotti spiegarono che andavano alla ventura e vivevano
alla giornata nell’attesa che tornasse il bel tempo. “Pessima vita !”
borbottarono le Cornacchie . “Perché non venite con noi , invece ? Vi daremo
prima di tutto miglio e orzo a volontà per rimettervi in carne…” “E poi?” 8
chiesero i Passerotti. “E poi vi infilzeremo in uno spiedo nuovissimo,
sterilizzato, d’acciaio inossidabile, e vi cuoceremo con fuoco di legna di
primissima scelta. Sentirete che bel calduccio!” “Preferiamo rimanere al
freddo”, risposero i tre Passerotti. Ma le Cornacchie insistettero . “Non vi
piace forse l’arrosto? Possiamo accontentarvi col bollito! Vi cuoceremo in una
splendida pentola in duralluminio cromato… No? Vi dà forse noia il fumo ? Noi
abbiamo ogni riguardo per i nostri amici! Se vi dà noia il fumo vi cuoceremo su
un potente fornello elettrico di 200 watt. Anzi, facciamo 300: non badiamo a
spese, noi!…” Ma i Passerotti dissero ancora di no. “Magri ma crudi!”
esclamarono. Allora le Cornacchie se ne andarono indignate borbottando con
disprezzo: “Fannulloni!” E quando si furono allontanate, Albertino domandò ai
Passerotti se conoscevano la strada per andare dal babbo.” E’ una di queste
quattro” , risposero i Passerotti . “Ma chi lo sa qual è ? Noi siamo poveri
passerotti di paese e non sappiamo niente di punti cardinali. Ci regoliamo col
sole , ma, adesso, il sole non c’è . Però se aspettate , passerà certo qualcuno
. Buona notte.” E rieccoli soli. E la notte era buia e fredda e il bosco pieno
di mistero. Si sedettero sulla neve ai piedi d’un grosso tronco , stretti l’uno
all’altro per stare più caldi . E il tempo passava , e nessuno appariva sul
sentiero , e si udiva soltanto la gelida voce del bosco . Ma, improvvisamente ,
Flik si levò d’un balzo drizzando le orecchie . “Cosa c’è , Flik? Cosa c’è ?”
Apparve un uomo che camminava curvo con una sacca sulle spalle e , quando fu
vicino , la Lucciola gli illuminò il viso . Flik non aveva sbagliato: era lui.
Era il babbo. Era il babbo che, nella notte di Natale, era fuggito dal suo
triste recinto e ora camminava in fretta verso la sua casa. Voleva ritornare,
almeno quella notte, e girare tutte le stanze e affacciarsi ai sogni di tutti i
dormienti. E il bambino , e la nonna , e il papà si incontravano a metà strada
nel bosco dove , la notte di Natale, si incontrano creature e sogni di due
mondi nemici . “Tu qui?” chiese la nonnina con apprensione . “Cosa ti succederà
? Lo sai : adesso la fuga dalla prigionia non è più uno sport !” “Ma la fuga in
sogno è sempre uno sport , mamma! E’ l’unico sport che ci rimane. Sognare. I
sogni non hanno piastrino ; non c’è l’appello notturno dei sogni; non esistono
“zone della morte” per i sogni . Nella stufa il fuoco è spento e nelle stanze
squallide si respira aria gelida come ghiaccio liquefatto, ma i sogni non hanno
freddo perché gli basta , per scaldarsi, il tenue focherello d’una stella, o un
sottile raggio di luna. Sognare. Quante notti ho percorso la strada che porta
alla nostra casetta? Lo so, anche tu, mamma, tante volte hai percorso la strada
che porta al mio lager. Ma non ci siamo mai incontrati perché solo nella santa
notte di Natale è concesso ai sogni di incontrarsi. E’ un miracolo che si
rinnova da secoli: nella santa notte di Natale si incontrano e hanno corpo i
sogni dei vivi e gli spiriti dei morti…” Albertino si appressa . “Cosa c’è in
quel sacco che porti sulle spalle ?” “C’è tutta la mia ricchezza , figlio mio:
gli zoccoli di legno, la gavetta, il cucchiaio, i barattoli, le vostre lettere.
I prigionieri non abbandonano mai, neppure nei sogni, il loro sacco, perché in
esso è racchiusa la storia della loro miseria . C’è anche il mio fornellino .
Vedrai com’è bello : adesso lo accenderemo.” “Non farlo!” lo supplica la madre.
“Lo sai che non si possono accendere fuochi all’aperto dopo il secondo
appello!””Ma tu, mamma, com’è che sai tutte queste cose? Chi te l’ha detto ?
C’è scritto forse sui giornali ?” “No, queste cose non le stampano nei nostri
giornali. Quando la notte vengo a trovarti, giro per le baracche e leggo tutti
i cartelli. E guardo tutto: sapessi che pena vedere le tue magliette piene di
buchi!… Una volta ho portato con me l’ago e il filo e ho provato a rammendarti
il farsetto : ma le mani , nei sogni , sono fatte d’aria .” Il babbo depose la
sacca per terra e 9 trasse il fornellino . “Com’è bello !” esclamò Albertino .
“Sembra la macchina del treno… C’è anche il fischio , papà?” “Ci vorrebbe una
scopa per togliere la neve per terra” , osservò il babbo . E non aveva ancora
finito di parlare che una strana creatura volò giù dal cielo . “Uh! La Befana
!” esclamò Albertino . Era effettivamente la vecchia Befana : però non stava ,
come al solito , a cavalcioni della scopa , ma d’una macchina luccicante . “Mi
sono motorizzata” , spiegò la Befana . “E così ho abbandonata la scopa e
viaggio in aspirapolvere. Ma qui ci dovrebbe essere una presa di corrente…”
Cercò nel tronco d’un grosso pino e trovò l’attacco e innestò la spina . Ecco
fatto : in due minuti un grande cerchio di neve è spazzato via e il muschio ,
sotto, è asciutto e soffice come un velluto . “Buona notte”, salutò la Befana
decollando . Si seggono attorno al fornellino ma, adesso, ci vorrebbe un po’ di
legna e Albertino, scortato da Flik, va in cerca di qualche ramoscello. Un
altissimo abete ha tutta la cima secca e Albertino gli domanda: “Signor albero,
mi dai un pochettino di legna ?” “Se vuoi la legna vientela a prendere” ,
risponde l’albero sgarbato . Lì vicino c’è un alberello secco completamente che
non serve più a niente e Albertino afferra un ramo e cerca di strapparlo.
“Sabotage!” urla l’albero. “Sabotage!” Mamma mia che paura! Ma una vecchia
quercia allunga ad Albertino uno dei suoi rami : “Tieni, piccino : prendi tutta
la legna che vuoi .” Il fornellino è acceso , e la sua fiamma si alza sicura
verso il cielo perché è un fornellino con doppia parete , a gassogeno e aria
preriscaldata. Gli alberi si scrollano la neve dal mantello e si avvicinano per
venire a scaldarsi i rami intirizziti , e fanno circolo tutt’attorno al
focherello . E così , stretti l’uno all’altro, formano una specie di muro che
non lascia passare l’aria gelida , e coi rami protesi sulla fiamma formano uno
spesso soffitto a festoni . “Si potrebbe cucinare qualcosa , fare un
pranzettino di Natale… Sarebbe bello , così tutti insieme…” , dice il papà. Ma
non c’è niente e Albertino si mette in giro con Flik per trovare qualche
nocciolina o qualche bacca dolce dimenticata sulle siepi dall’autunno . Ma cosa
succede? Cos’è questo segnale di tromba? E il più alto dei Funghi Velenosi che
è di vedetta e che dà l’allarme . “E’ il momento giusto!” grida con voce
concitata. “Se noi riusciremo a farci cogliere e a farci mangiare, noi
moriremo, ma essi ne avranno atroci dolori viscerali! Quale stupenda vittoria
difensiva!” E tutt’e tre allungano il collo cercando con ogni sforzo di farsi
notare dal bambino: “Qui, qui”, dicono. “Da questa parte si mangia bene!” I tre
Funghi Buoni però si avvedono della subdola manovra . “Non bisogna permettere
che i Funghi Velenosi riescano nel loro nefando intento!” gridano i tre Funghi
Buoni. E si avventano come un sol uomo contro i Funghi Velenosi . La lotta è
lunga e terribile, ma, alla fine , i tre Funghi Velenosi giacciono esanimi coi
cappelli incalcati giù fino ai piedi. “E adesso andiamoci a costituire: essi
hanno fame!” dicono generosamente i tre Funghi Buoni. E si avviano verso il
bambino e il sacrificio cantando “Chi per la patria muor vissuto è assai” ,
come i fratelli Bandiera i quali , però, erano due e non erano – nonostante
tutto mangerecci come i tre funghi . Ma il nobile sacrificio non è più necessario:
il papà si è ricordato che nella sua bisaccia c’è , ancora intatta , la razione
di pane. “Tu hai avuto il tuo panettone?” chiede il papà ad Albertino. “No,
papà.” “Lo avrai.” “Sì, papà.” Il papà grattugia il pane col coltello : lo
impasterà con acqua e farà una focaccina . “Come sei bravo!” esclama la nonnina.
“Quante belle cose hai imparato in prigionia !”… Il gavettone è sul fuoco: un
abete allunga gentile un ramo carico di neve e lo scuote dentro il recipiente
che, ben presto, comincia a borbottare. Una scintilla 10 esce dal fornellino e
va in giro per il bosco come una stellina in balia del vento . Un’Ape (che è di
vedetta sull’albero nel cavo del quale è l’alveare ) l’avvista . La scintilla
fa la spia all’ape , e l’Ape dà l’allarme . Le Api fanno rapidamente il pieno,
accendono i motori e decollano. Sono mille, duemila, diecimila, e navigano in
perfetta formazione a cuneo, tre per tre, verso la zona del fuoco. E’ una nube
ronzante. Quando arrivano sull’obiettivo scendono in picchiata. E, passando
sopra il fornellino, ogni Ape lascia cadere nel gavettone una goccia di miele .
Mille , duemila , diecimila gocce : il recipiente è quasi colmo . Intanto i tre
Passerotti scuotono le cime degli alberi e fanno piovere dentro il gavettone
pinoli, bacche dolci, noccioline croccanti. Un’Allodola del tipo stratosferico
con un trillo buca il manto nero della notte , si libra fin sopra le nubi , poi
su su tra le stelle , fino alla Via Lattea nella quale si immerge ritornando
giù carica di candida panna montata. Giunta sul gavettone, si scuote la panna
di dosso e la panna cade nella pasta dolce che già è bollente. Ma il nemico non
dorme. Le tre Cornacchie, dall’alto di un pino, hanno seguito ogni manovra e
adottano le contromisure. Si lanciano sopra un mucchio di spazzatura e
cominciano a mangiare sassi aguzzi, chiodi, pezzettini di vetro, capocchie di
fiammiferi. Ingollano anche i resti dei tre funghi velenosi, e mangia che ti
mangia, si gonfiano come botti e riescono appena a levarsi in volo. Hanno il
loro piano: arriveranno fin sul gavettone e faranno come le Api, scaricando
nella pasta il loro micidiale carico. Fortunatamente l’aviazione alleata sta
sul chi vive: trecento Api da caccia partono su allarme per intercettare la
formazione nemica. Eccole che si avventano sulle Cornacchie e le crivellano di
punzecchiate . Le Cornacchie precipitano in vite . “Bang!” Scoppiate come
vesciche di surrogato di grasso . Il gavettone borbotta dolcemente e il papà ,
Albertino, la nonnina e Flik si scaldano le mani al fuoco. E nessuno parla: la
felicità non ha bisogno di parole . A un tratto il Vento porta le note di una
musica lontana , carica di accorati accenti . “Cos’è , babbo?” “E’ la canzone
della malinconia. Alla finestra, una sera d’inverno: due occhi guardano
attraverso i cristalli la strada che rimane deserta, e il cristallo gocciola e
sembra stemperare le lacrime di quella vana attesa. Sul muro bianco, nella
stanza, l’ombra scarna della sedia vuota davanti al fuoco. E’ la canzone che
dice la pena di tutti coloro che attendono nelle tristi case. E’ la canzone che
– allo spirare d’una stanca giornata d’attesa – affida le sue note al Vento
della notte e così giunge a tutti i lontani campi di prigionia, e narra a tutti
gli uomini la sua malinconia disperata.” La canzone si allontana nella notte e,
di lì a poco , un altro canto che viene da opposte contrade si appressa. Un
canto anch’esso malinconico, ma d’una malinconia dolce e sommessa. Altra gente
che attende e attende. Gente che da mesi e mesi e mesi guarda il cielo grigio
che incombe su quelle straniere lande, e aspetta invano che il sole squarci la
coltre cupa di nubi e ritorni a splendere. Ma che ha tuttavia una luce segreta
la quale illumina quei giorni senza sole e quelle notti senza stelle. La luce
tenuta viva dall’amore di chi attende nelle case lontane. La luce della fede. E
la canzone parte da tutti i campi di prigionia, e naviga nella notte, e giunge
alle dolci contrade recando parole di dolce speranza a chi dalla speranza si
sente oramai abbandonato. Anche la seconda canzone s’allontana e tutto
ridiventa silenzioso . “Guarda , babbo !” grida lietamente Albertino. Il
miracolo è compiuto: la pasta dolce si è gonfiata sino a diventare un grosso
panettone profumato e soffice come bambagia. Il babbo toglie dalla sacca la
gamella, il coperchio della gavetta, un coperchio di scatola, uno straccetto
bianco (l’involucro dell’ultimo lontanissimo pacco da casa ), e la nonna
apparecchia sul muschio verde e taglia il panettone . “A chi questa dolce
illusione di antica felicità?” chiede la nonnina. “A noi 11 tutti che abbiamo
tanto sofferto”, risponde il babbo . E vorrebbe che le fette fossero quattro
(una anche per la mamma, da portarle a casa), ma Albertino dice che è inutile.
“Gliela racconterò io , alla mamma, la sua parte di panettone”, afferma
Albertino. Le fette sono tagliate e Flik ha le sue briciole e il papà, mentre
porge la sua gamella, scopre che, sotto, c’è una lettera . Posta per il numero
6865! Finalmente! Da quattro mesi il numero 6865 non riceveva posta ed eccolo
generosamente ricompensato della lunga, penosa attesa . Perché si tratta di una
lettera d’importanza eccezionale : una lettera piena di ricami , d’angioletti
d’oro , di stelle d’argento e di nere zampette di gallina : “Caro papà, è
Natale e io penso a te…” E’ una lettera importantissima perché l’hanno scritta
un po’ tutti: la nonna dettava; la mamma guidava la mano d’Albertino il quale
scriveva; il nonno rileggeva parola per parola, ad alta voce; Flik acciuffava
al volo e riportava ad Albertino le virgole che, come farfalline, volavano via
dalla penna d’Albertino. E la Carlottina, seduta sul suo seggiolone , lanciava
in aria dei piccoli punti esclamativi d’argento che ricadevano sul foglio e si
appiccicavano qua e là tra le parole per farle ancora più belle . “Caro papà, è
Natale e io penso a te…” Posta per il numero 6865: la prima lettera di Natale
d’Albertino . Il pranzo di Natale comincia, e il panettone sa di cielo e di bosco.
E tal meraviglia ancora non basta perché questa è notte di miracoli. Un grande
abete si è popolato di fiammelle. Sono gli occhi di mille e mille uccellini che
splendono nel buio riflettendo il bagliore del focherello . Anche l’albero di
Natale ! Ed è il più bello del mondo perché la stella che brilla sulla sua cima
non è una delle solite di cartapesta argentata, ma è una stella vera , una
stella viva che è scivolata giù dal cielo e si è impigliata tra i rami col suo
strascico scintillante . Intanto il tempo trascorre. Sul sentiero deserto che
viene da Oriente, qualcuno s’avanza. E’ un somarello, e sul somarello è una
donna bellissima dagli occhi dolci e splendenti . E davanti all’asinello
cammina un buon vecchio dalla barba bianca . L’asinello è stanco : è tanto
tempo che cammina senza fermarsi mai. Cammina, cammina, somarello: bisogna
ritrovare la solitaria capanna perché il miracolo possa rinnovarsi . Perché il
Figlio di Dio possa , ancora una volta, schiudere gli occhi alla luce degli
uomini. E l’asinello cammina e nel cielo lo scortano due Angeli che reggono un
grande nastro bianco su cui è scritto a lettere d’oro : Pace agli uomini di
buona volontà . Ed è, questo, lo stendardo del Dio della Pace. Ma, sul sentiero
opposto che viene da Occidente, dai Paesi dove la luce diventa ombra, avanza
sferragliando una grossa macchina scortata da una quintuplice schiera di
guerrieri , i quali procedono cantando fieramente un loro inno : Col paltò
corazzai col gilè d’ottone cromato coi calzoni di lamiera , col cappello di
ferro smaltato , com’è bello far sempre il soldato Su la gamba batti il tac
batti il tac forte sulla terra con lo schioppo su la spali , com’è bello far
sempre la guerra per la pace universale ! La macchina sferragliante è un carro
armato , e lo guida un uomo con l’elmo in testa, e dietro di lui sta seduta,
tronfia e pettoruta, una grossa donna dai capelli biondi come stoppa e con gli
occhiali a stringinaso davanti agli occhi piccoli e cattivi . Scortano il
corteggio due feroci aquile che reggono fra gli artigli un drappo nero con una
scritta a caratteri di sangue: Guerra agli uomini di buona volontà . Ed è,
questa, la bandiera del Dio della Guerra, del Dio che nascerà stanotte (secondo
gli ordini ricevuti dal suo governo) in un castello d’acciaio col cannone sul
tetto, il quale spara contro tutte le stelle filanti e gli Angeli che passano
nel cielo. Al crocicchio la macchina e l’asinello si incontrano: l’asinello
prende la strada che porta ai Paesi del sole, la macchina quella che porta ai
Paesi delle gelide ombre. “La pace sia con voi”, saluta il buon vecchio
dell’asinello. “La guerra sia con voi”, risponde l’uomo del carro armato. Notte
santa, 12 notte di miracoli. Si fa tardi ed ecco, sul sentiero ridiventato
deserto, apparire una strana cavalcata. Sono tre vecchi Re seduti sulla gobba
dei loro cammelli, e vengono dall’Oriente. E li guida una stella che naviga
lenta, facendo fluttuare la sua scintillante coda d’argento nel cielo di
velluto nero. Notte santa, notte d’incontri: nel sentiero che viene da
Occidente, si avanza un curioso terzetto. Sono tre Nanerottoli vestiti di
rosso, con la barba bianca lunga fino ai piedi, e il naso a patata . Tre
Nanerottoli scappati fuori dal cartellone pubblicitario di qualche fabbrica di
posate , tanto è vero che il primo porta sulla spalla, come un fucile, un
coltello; il secondo una forchetta e il terzo un cucchiaio. Li guida sibilando
nel cielo non una stella , ma una meteora alla dinamite con la coda di fuoco.
Camminano impettiti , al passo , levando le zampette come fanno le oche . Al
crocicchio anche i vecchi Re e i Nanetti si incontrano . “Dio sia con voi” ,
salutano i Magi.” C’è già”, rispondono altezzosi i Nanetti . “Io porto al
Figlio di Maria oro perché Egli è il buon Re degli uomini di buona volontà”,
dice il primo dei Magi . “Io gli porto incenso perché Egli è Dio della bontà e
sacerdote del Dio della bontà” , dice il secondo. “Io gli porto mirra perché
Egli è Dio ma, nella sua divina bontà , vuol soffrire e morire come un uomo”,
dice il terzo. I Nanerottoli rispondono sghignazzando : “Io porto al nostro Dio
il coltello perché possa tagliare a fette il mondo!” “Io gli porto la forchetta
perché possa papparselo allegramente !” “Io gli porto il cucchiaio perché possa
raccogliere e mangiarsi anche le briciole!” “Sia lode al Dio degli uomini
buoni”, salutano i Magi prendendo la via del Sud. “Sia lode al Dio dei
guerrieri”, rispondono i Nanetti prendendo la via del Nord . Disparvero e il
bosco ridiventò deserto . E il papà e il bambino e la nonnina , stretti l’uno
all’altro davanti al fornellino , tacevano , e niente si muoveva – neanche una
fogliolina – perché le cose e gli u omini attendevano trepidanti . Mezzanotte…
“E’ nato !” gridò un’allodola di vedetta su una nuvola . “Notizia confermata !”
disse il Vento . “C’è anche il commento! Udite!” E portò un dolcissimo canto
che veniva da lontane contrade. La solitaria capanna è tu tta risplendente ora
, e sulla paglia vagisce il Bambinello , e lo scaldano , col loro fiato , il
bue e l’asinello . Anche nel castello d’acciaio annidato nell’ombra del Nord,
un bambino è nato e piange , nella sua culla corazzata. Ma lo scaldano col loro
fiato micidiale un lanciafiamme e lo scappamento del carro armato. Ma la sua voce
è aspra e le sue mani hanno già piccoli artigli perché è il Dio della Guerra e
nessuno viene a portargli doni. Mentre invece, alla capanna del Dio della Pace,
giungono pastori e pastorelle recando agnelli e anfore colme di latte. Latte scremato:
perché le pecorelle sono state tosate e la panna l’hanno adoperata per fare
alle pastorelle un mantello di lanital. E i pastori se ne dolgono, ma san
Giuseppe sorride: “Non importa: la colpa non è vostra, la colpa è della
guerra.” E, dopo i pastori, ecco che arrivano marciando anche i guerrieri
vestiti di ferro . “Sia lode a Dio” , dicono in coro . “Dio è con noi .” San
Giuseppe scuote il capo: “C’è un errore. Il vostro Dio non è questo. Mai è
stato questo. Il vostro Dio è l’altro che è nato nel Castello d’acciaio .” “No”
, dicono i guerrieri . “Adesso il nostro Dio è questo.” “Troppo tardi”,
risponde san Giuseppe. “Tenetevi il vostro Dio anche per quest’anno…” A uno a
uno gli occhietti che fiammeggiavano sull’abete nel bosco solitario si sono
spenti. Nel fornellino la fiamma dà gli ultimi guizzi. Fa freddo. Gli alberi
hanno riallargato il loro cerchio e il Vento soffia gelido. Croci nere sono
sparse nel bosco e attorno a ogni croce si aggirano mute ombre .
E le croci
sono tante , e le ombre sono infinite . “Chi sono , papà?” “Sono gli spiriti
dei vivi che vengono a cercare i loro morti. Guardano tutte le croci che la
guerra ha sparso nel mondo, leggono i nomi incisi sulle 13 croci. E quando una
mamma ritrova la tomba del suo figliolo, si siede sotto la croce e parla con
lui di tempi felici che non torneranno mai più .”
Il Vento, intanto, riporta la
canzone che è stata fino ai campi di prigionia e ritorna alle case, e la
canzone che è stata alle case e ritorna ai campi di prigionia .
“Buon Natale,
mamma , buon Natale , Albertino” , dice il babbo . “Ora ritornate a casa: la
vostra canzone vi riaccompagnerà.” “E tu non vieni , papà?” “Domani,
Albertino…” “Domani o morgen?” chiede la nonnina. “Morgen, mamma.”
“Papà ,
perché non mi prendi con te ?” “Neppure in sogno i bambini debbono entrare laggiù.
Promettimi che non verrai mai.”
“Te lo prometto, papà.” Se ne sono andati
assieme alle loro canzoni e il bosco è muto e deserto.
Nevica e una nuova
soffice coltre si stende sull’altra indurita dal vento.
Il cerchio verde
attorno al fuoco è ridiventato bianco. Scompare la traccia dei sentieri.
“Notte
da prigionieri!” esclama il Passerotto capofamiglia nascondendo la testa sotto
l’ala. E nel muoversi fa cadere una foglia che scende volteggiando lentamente e
si posa nel bel mezzo della bianca radura. E si vede che , sulla foglia , c’è
scritto la parola FINE.
Ed è una foglia stretta stretta: Stretta la foglia –
larga la via dite la vostra – che ho detto la mia. E se non v’è piaciuta non
vogliatemi male, ve ne dirò una meglio – il prossimo Natale, e che sarà una
favola senza malinconia: “C’era una volta – la prigionia…”
- Giovannino Guareschi -
Nessun commento:
Posta un commento