sabato 10 settembre 2022

I tre semi - Antica leggenda giudeo-cristiana

E l'uomo dopo il peccato si ritrovò nudo sulla terra e si guardò intorno.
La sua mente cominciava solo allora a percorrere le mille volute di un primitivo cervello e faticava a comprendere il misterioso disegno di cui si sentiva parte.
Adamo ed Eva avevano conosciuto la parte oscura di se stessi e questo portò loro grande dolore e sofferenza.
In Dio l'uomo aveva conosciuto il placido splendore di ciò che basta a se stesso, mentre ora, immerso nel conflitto, non poteva fare altro che incamminarsi verso la ricerca di quanto aveva perduto.
Nella desolazione della sua anima l'uomo cercò allora il Padre per chiedergli l'aiuto di Misericordia e Speranza, comprendendo che senza di esse non avrebbe avuto alcun senso penare sulla terra.
A Dio non fu possibile distogliere lo sguardo da questa fragile creatura, unica fra tutte consapevole del suo stato, e inviò i due potenti angeli affinché la affiancassero nella sua impresa, ma fece ancora di più instillando nella mente dell'uomo l'attesa di colui che sarebbe stato chiamato "Figlio di Dio".
«Sarà allora che tu e la tua discendenza avrete l'olio della misericordia!» e con queste parole nel cuore Adamo andò incontro al suo destino. 
Dopo la promessa divina, Adamo ed Eva si misero in cammino fino a raggiungere la valle di Ebron, dove nacquero i primi figli, Caino e Abele, il male e il bene. Ancora una volta ci furono divisione e conflitto che portarono con sé odio, gelosia, rancore e vendetta insieme con amore, pazienza, pietà e perdono.
Caino era un uomo astioso e ribelle: questi erano gli elementi che la vita gli aveva dato affinché lui ne traesse insegnamento per migliorare. Invece così non avvenne e, in un impeto d'ira, Caino uccise il dolce e paziente Abele. Questo era scritto e da allora pensieri, emozioni e gesti non cessarono di intrecciarsi sulla terra in un ballo di vita e di morte.
L'ingeneroso fratello scoprì l'angoscia dei sensi di colpa, fuggendo da casa chissà per quali terre lontane e gli infelici genitori si chiesero a loro volta se tutto quel disastro non fosse da attribuirsi a loro stessi e a quel peccato da cui ogni cosa conosciuta ebbe origine.
Passarono duecento anni, perché allora il tempo aveva ritmi ben diversi dai nostri, e a Eva nacque un altro figlio che fu; chiamato Set. Egli crebbe sano e giudizioso, ricompensando genitori per il grande dolore subito a causa della terribile perdita dei primi due figli.
Una sera Adamo, che aveva allora più di novecento anni, s fermò a contemplare il tramonto e cominciò a pensare a quanto era stata lunga e dura la sua vita. Era stanco e solo Dio poteva accogliere i suoi sospiri e la sua preghiera. Così chiamò il figlio e gli disse: «Figlio mio, sono molto vecchio. Ho compiuto ciò che mi è stato chiesto. Ora vorrei che tu andassi là dove l'angelo Cherubino custodisce, il sacro albero della radice della vita: vuoi farlo per me?».
Set era un figlio premuroso e ubbidiente; rispose quindi al padre che sarebbe andato ovunque lui avesse voluto, purché gli insegnasse la strada da percorrere e gli suggerisse ciò che avrebbe dovuto dire all'angelo.
«Per prima cosa non dovrai scoraggiarti» rispose il vecchio. «La strada sarà lunga e difficile, ma la riconoscerai perché non hai altro che da seguire a ritroso i passi compiuti da me e tua madre quando Dio ci allontanò da lui; e tanto fu il dolore nel percorrere quel sentiero, che mai più erba vi crebbe». Poi, dopo un attimo di esitazione, Adamo proseguì: «Tu dirai all'angelo Cherubino che il tuo vecchio padre non si è sottratto a nessuno dei compiti che gli sono stati assegnati, ma che ora è vecchio e troppo stanco per continuare a vivere; poi, molto rispettosamente, gli ricorderai la promessa dell'olio di misericordia e lui capirà».
Set partì all'alba del giorno seguente e camminò talmente a lungo da consumare più di un paio di sandali, finché giunse proprio davanti all'immensa porta del Paradiso. Cominciò allora a bussare, prima sommessamente, poi sempre più insistentemente. Pregò a lungo di aprirgli e pianse al limite della disperazione, non ottenendo alcuna risposta.
Quando ormai stava perdendo ogni speranza, ecco che la porta cominciò ad aprirsi, ma solo un poco, quel tanto che bastò per far filtrare un fascio di luce che era anche musica e profumo. Era una luce mai vista sulla terra e lui sapeva che non vi sarebbero state parole per descriverla.
Set, tutto intimorito, sbirciò dalla fessura, ma subito gli si parò davanti una creatura di tale bellezza da lasciarlo letteralmente senza fiato, tanto che stentò persino a pronunciare il proprio nome e ciò per cui si era recato fin là.
Solo allora l'angelo gli aprì la porta e delicatamente lo sospinse all'interno di quel mondo misterioso di cui nessuno poteva dire nulla. Neppure lui, che pur vi stava posando i piedi, era del tutto sicuro che quella che stava vivendo fosse realtà.
«Guarda pure tutto ciò che vuoi» gli disse l'angelo dolcemente «perché questo è il Paradiso e ti appartiene».
Set non capì quelle parole: gli sembrava di vivere un sogno. Era come essere immerso in una miriade di piccoli granelli colorati che andavano ora componendosi e ora staccandosi, prendendo, di volta in volta, tutte le forme che lui potesse immaginare.
La musica non solo si poteva ascoltare, ma anche vedere, e il suo aspetto era quello di morbidissime onde che andavano danzando a seconda che i suoni fossero ora più bassi, ora più alti. Dove la musica aveva origine, si trovava una fontana da cui uscivano quattro rivoli d'acqua cristallina. L'angelo si accorse di come Set guardasse incantato e gli sussurrò all'orecchio: «Vedi, quelle sono le sorgenti dei quattro fiumi da cui ogni altro prende vita. Uno si chiama Nilo, l'altro Gange, l'altro ancora Tigri e l'ultimo Eufrate».
A mano a mano che il ragazzo si inoltrava nel giardino, sempre più incontrava meraviglie mai viste. Ciò che era stato era perfetto e ciò che ancora doveva essere era altrettanto perfetto. Questo Set non lo poteva comprendere, ciononostante lo intuiva chiaramente: lì ogni possibilità pareva portata a compimento.
Fu allora che giunsero ai piedi di un albero i cui rami si incurvavano sotto il peso di grossi frutti maturi. Set ne rimase particolarmente colpito e si rammentò del racconto dei suoi genitori. Un brivido di paura gli percorse la schiena al ricordo che certamente quella era anche la casa del serpente, ma l'angelo fu pronto a rincuorarlo.
«Non temere e guarda attentamente, non vedi nulla di particolare?»
Il ragazzo alzò lo sguardo e solo in quel momento si accorse di un giovane uomo che, seduto sul ramo più robusto, lo stava osservando e gli sorrideva senza parlare. 
Set rivolse uno sguardo interrogativo all'angelo: chi era quell'uomo e perché stava là dove a nessuno era concesso stare?
«Vedi, quello è il Figlio di Dio, il simbolo dell'amore del Padre. Quando sulla terra verrà il tempo stabilito, sarà lui a portare la più grande possibilità di comprensione che mai l'uomo abbia avuto. Lui porterà l'olio di misericordia che Dio promise a tuo padre e, affinché tutto si compia come deve, tu tornerai alla tua casa portando con te questi tre semi che ora ti consegno.»
Set aprì il palmo della mano e l'angelo vi lasciò cadere tre semi; poi delicatamente richiuse la mano del ragazzo su quel piccolo e delicato tesoro.
«Devi andare ora: il volere divino non ti permette di fermarti in questo luogo un solo attimo in più.»
L'angelo fu dolce ma fermo e Set, già pieno di nostalgia per quella meraviglia provata e subito lasciata, si trovò come per incanto sulla porta del Paradiso.
«Ascoltami, ragazzo» gli disse ancora l'angelo: «quando giungerai a casa, racconta ogni cosa a tuo padre. Sappi che fra tre giorni lui riceverà la consolazione della morte e tu lo seppellirai posando sotto la sua lingua i tre semi che ti ho consegnato. Ricorderai?».
«Come potrei dimenticare!» rispose Set e riprese pensieroso la via di casa.
Ripercorrendo il cammino, il giovane figlio di Adamo non riuscì a liberarsi da uno sciame di pensieri che ad ogni passo gli ronzavano intorno, e questo ronzio a poco a poco cominciò ad annebbiare nella sua mente il ricordo del Paradiso.
Giunto a casa, raccontò a suo padre ogni cosa, così come riuscì a rammentarla; e Adamo, nell'udire che sarebbe morto di lì a tre giorni, non poté trattenere una grande risata: dopo tanto patire gli veniva concesso il riposo e inoltre Dio gli rinnovava la sua promessa di misericordia. 

Trascorsi tre giorni, le parole dell'angelo si avverarono. Adamo morì e Set, seppellendolo, pose sotto la lingua del padre i semi ricevuti. In breve tempo da quel cumulo di terra nacque nuova vita sotto forma di tre esili pianticelle: un ulivo, un cedro e un cipresso.
Le stagioni ripresero il loro trascorrere, la storia dell'uomo scrisse molte e molte pagine da quel giorno e la natura, depositaria di infiniti segreti, preservò intatte le tre pianticelle che avevano messo radici nella bocca del vecchio Adamo. 
Finché venne il tempo in cui Dio comandò a un uomo di nome Mosè di mettersi alla guida del popolo ebraico e di condurlo in salvo, organizzando quella che pareva una fuga impossibile dal paese d'Egitto. 
Con il coraggio e l'audacia che Dio conferisce a chi ubbidisce ai suoi ordini, Mosè guidò gli ebrei al di là del Mar Rosso e, proprio nella valle di Ebron, i fuggiaschi piantarono le loro tende.
Mosè fu uno degli uomini che seppero ascoltare. Ciò che lui udiva giungeva da un'altra dimensione ed era così tenue che solo un'anima veramente predisposta poteva coglierlo.
Fu così che i suoi passi vennero un giorno guidati verso i tre alberelli cresciuti nel deserto. Mosè li tagliò e li avvolse con grande cura dentro un telo di lino bianco.
Dagli esili tronchi recisi uscì un profumo incantevole ed egli comprese come quel legno possedesse nelle sue fibre frammenti particolari della forza divina, tanto che egli se ne serviva per guarire con il loro tocco chiunque cadesse preda di gravi malattie o vittima di animali velenosi.
A volte li usò per scongiurare gravi crisi di siccità, sfiorando con le fronde leggere la dura roccia del deserto da cui all'istante scaturiva un abbondante fiotto d'acqua purissima.
Malgrado i numerosi prodigi mostrati al popolo ebraico, Mosè, che sempre si era reso disponibile a ogni cenno divino, non ebbe mai la consolazione di rendere il suo popolo veramente grato a Dio e, con questo dolore nel cuore, egli finì la sua vita avventurosa.
Prima di morire prese però i tre alberelli e andò a piantarli nuovamente nella valle di Ebron, ai piedi del monte Tabor, là dove lui stesso li aveva tagliati.
Passarono mille anni prima che un altro uomo fosse guidato dalla volontà divina fino ai piedi di quel monte. Il suo nome era David ed era un grande re.

Re David regnava sul popolo degli ebrei dalla città di Gerusalemme, quindi proprio lì portò i tre arbusti. 
Il contatto con quei tronchi gli procurò un'emozione indescrivibile, come se lo scorrere della loro linfa fosse dovuta a una forza misteriosa. La sua intuizione fu presto confermata da una serie di miracoli che da quel giorno si succedettero in città.
I ciechi vedevano, gli storpi camminavano, i sordi udivano e ognuno di essi esclamava con profetica enfasi: «Signore, ti ringraziamo per averci donata oggi la salvezza della santa croce!».
Stupefatto dalla potenza racchiusa nei tre esili arbusti, il re li volle custodire nella torre che si trovava a fianco della reggia. Li fece proteggere da fidatissime guardie e ogni anno li cingeva con un cerchio d'argento, finché, serrati in quell'abbraccio, dai tre esili tronchi se ne formò uno soltanto, molto più consistente e robusto. 

Passarono trent'anni nel corso dei quali il re David cominciò a progettare la costruzione di un grande tempio dedicato a Dio che sarebbe sorto nella città di Gerusalemme e avrebbe rappresentato il cuore stesso del suo popolo.
Ma non era prevista per lui la realizzazione di questo sogno; altri lo avrebbero portato a compimento.
Toccò in sorte al figlio di David, Salomone, proseguire, alla morte del padre, la costruzione del tempio, che occupò per lunghi anni uno stuolo di carpentieri, muratori, fabbri e falegnami.
Quando però si trattò di recuperare dalla torre il legno che re David vi teneva custodito, per finalmente collocarlo nel tempio, sorsero non pochi problemi. Gli operai non riuscirono in alcun modo, malgrado numerosi tentativi, a rizzarlo là dove era previsto e allora Salomone, per non ritardare ulteriormente la fine della costruzione, diede ordine di porlo orizzontalmente sul pavimento.
Ben presto il tempio divenne il fulcro della vita cittadina e, durante le festività, anche punto di raccolta per l'intera regione.
Proprio durante una di queste giornate in cui la folla si accalcava tutt'intorno, una donna, stanca e accaldata, si mise distrattamente a sedere sul legno nato, tanti e tanti anni prima, dalla bocca di Adamo.
Nell'istante stesso in cui la povera donna lo toccò le sue vesti presero a bruciare come se si fosse seduta su lingue di fuoco e, c'è da crederlo, la poverina cominciò a gridare. Pareva che pronunciasse parole sconclusionate, agitandosi come un'indemoniata.
«Ecco che Dio ci manifesta la potenza della santa croce!» continuava a gridare la donna. Tutti pensarono che fosse impazzita e, sbraitando, la condussero fin fuori le mura dove, presi da una follia selvaggia, la lapidarono.
Poi, ancora in preda a una sorta di furore collettivo, tornarono al tempio, presero il legno e lo scagliarono nell'acqua di una grande vasca chiamata di Siloe, dove venivano lavate le pelli degli animali sacrificati e gli infermi sciacquavano le loro ferite.
Ma Dio si rattristò nel vedere il legno immerso in quell'acqua e mandò un suo angelo che, con le grandi ali, ne increspava la superficie rendendola pura come acqua sorgiva.
Ogni volta che l'angelo giungeva, un brivido percorreva l'aria e chi si trovava immerso nell'acqua vedeva le piaghe che lo affliggevano guarire miracolosamente, così come le altre infermità.
Ben presto la voce che raccontava di questi ripetuti prodigi circolò per tutta Gerusalemme e nessuno sapeva cosa pensare. Il legno fu tolto allora dalla vasca e posto attraverso un piccolo corso d'acqua che scorreva lì vicino.
Salomone fu re di grande saggezza e molti si rivolgevano a lui per discutere sulle più svariate questioni. Un giorno giunse dall'oriente anche la potente regina di Saba. I suoi corrieri le avevano riportato dalla città di Gerusalemme una strana storia che raccontava di tre alberelli, ritrovati nel deserto dal grande re David e riuniti in un unico tronco che si diceva fosse miracoloso.
La regina, che era donna di grande conoscenza, studiosa di arti magiche e di astronomia, aveva consultato antiche pergamene e scrutato i cieli scoprendo molte cose misteriose, sconosciute ad altri.
Sebbene la sua visita in terra di Giudea fosse ufficialmente giustificata da importanti colloqui con re Salomone, la sua ansia di vedere il legno miracoloso si era fatta via via così impellente da toglierle il sonno. Per nulla al mondo avrebbe lasciato quindi Gerusalemme senza recarsi alla vasca di Siloe, là dove il tronco poggiava tranquillo sulle due sponde di un piccolo corso d'acqua.
Come la regina vide l'improvvisato ponticello, subito capì cosa rappresentava e si inginocchiò con grande rispetto, appoggiando la fronte al ruvido legno.
La sua mente, capace di profonde visioni, percepì in quell'attimo la terra tremare, il sole e la luna incupirsi e il grande tempio di Gerusalemme crollare nella polvere. «Oh Salomone» pensò desolata, «come hai potuto nella tua grande saggezza trascurare un segno così importante?». Poi, presa da un'indicibile angoscia, ella si rialzò in fretta e lasciò quel luogo, ben sapendo che ogni cosa che doveva accadere sarebbe accaduta.
Molti altri anni passarono sotto gli occhi indifferenti del tempo che tutto ingloba nella sua infinita spirale, fino ai giorni in cui Dio volle mantenere la promessa fatta ad Adamo e in terra giunse un uomo che portava con sé l'olio di misericordia.
Il re di Giudea era allora Erode e non aveva più in sé la grandezza del passato. Il suo popolo non era libero ma sotto la dominazione dell'impero romano e intorno al tempio di Gerusalemme molti segni si erano visti che preannunciavano l'arrivo di eventi speciali.
Erano i giorni della Pasqua e la città viveva in uno stato di euforia e confusione. Un avvenimento in particolare eccitava gli animi perché si doveva procedere alla crocifissione di due ladroni e di un sovversivo che tutti chiamavano il Nazareno, essendo la sua famiglia originaria di quel piccolo paese.
Tutta Gerusalemme si interrogava però sulla sorte di quest'uomo, perché non si capiva di cosa fosse realmente accusato e se fosse inviso alle autorità romane o ai religiosi del luogo.
La gente si domandava se davvero bisognava sottoporlo a quel crudele supplizio o se quella condanna non nascondesse qualcosa di più oscuro e misterioso.
Molti lo amavano. Di lui si diceva fosse un profeta e persino che Dio stesso lo avesse mandato. In città si parlava dei suoi miracoli ma, malgrado tutto questo, non mancavano i detrattori o quelli che sempre amano il gesto cruento, non importa verso chi, come se con quel gesto potessero sfogare un rancore che per destinatario altri non ha se non la vita stessa.
In tutto quel caotico intreccio di sentimenti ed emozioni qualcuno si accorse che comunque mancava una croce e, visto che ormai era stato deciso che i condannati sarebbero stati tre e le croci pronte erano solo due, non si poteva più attendere, quello era il momento.
«Prendete il legno di re David, quello che fa da ponticello sulle acque di Siloe!» gridò a un tratto un uomo e fu come se a quella voce fosse legato un unico filo che muoveva all'unisono cento marionette.
Molti si affollarono intorno al legno, accalcandosi gli uni sugli altri per poterlo sollevare; poi, caricato sulle spalle dei più forti, lo portarono in gran fretta dal maestro falegname che avrebbe dovuto tagliarne una parte e fissarla orizzontalmente.
Quando il falegname toccò il tronco, si fermò perplesso: c'era qualcosa di 
particolare nelle sue fibre... una vibrazione... un profumo... non sapeva neppure lui che dire, sapeva solo che non avrebbe eseguito quel lavoro, quel legno nascondeva un incantesimo di cui lui aveva paura.
In città vi erano altri artigiani del legno e fra loro molti necessitavano di lavoro e soldi. Non fu quindi difficile trovarne un altro disposto a eseguire quel compito.
Poi tutti si recarono alle prigioni per consegnare il loro trofeo. «Abbiamo la croce, abbiamo la croce!» esclamavano, ormai preda di un'esaltazione che non sarebbe cessata finché il desiderio di sangue, che ormai offuscava la loro anima, non fosse stato placato. Sarebbe forse bastato poco perché tutto ciò che successe in seguito prendesse un'altra strada, ma, come abbiamo visto, c'è un sottilissimo filo conduttore che traccia il cammino di ogni avvenimento, dalla sua nascita alla sua conclusione.
L'olio di misericordia era stato promesso in un tempo lontanissimo e giungeva agli uomini proprio sotto forma del suo opposto, la mancanza di ogni misericordia.
Il disegno è così misterioso da lasciare sconcertata la mente!

Antica leggenda giudeo-cristiana

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Buona giornata a tutti :-)

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