lunedì 21 febbraio 2022

da : Albert Camus, La Peste, 1947

Ritrovarsi 

Le porte della città finalmente si aprirono, all’alba di una bella mattina di febbraio, salutate dalla popolazione, dai giornali, dalla radio e dai comunicati della prefettura. Rimane quindi al narratore di farsi il cronista delle ore di esultanza che seguirono l’apertura delle porte, benché lui fosse tra coloro che non avevano la libertà di parteciparvi appieno. Erano previsti grandi festeggiamenti per la giornata e per la sera. Intanto i treni cominciarono a fumare alla stazione, mentre navi provenienti da mari lontani facevano già rotta verso il nostro porto, segnalando a loro modo che per tutti coloro che avevano patito la separazione quello era il giorno del ricongiungimento. Non è difficile immaginare quali furono le conseguenze del senso di separazione che aveva pervaso tanti nostri concittadini. I treni che per tutto il giorno entrarono in città erano altrettanto carichi di quelli che ne uscirono. Nel corso delle due settimane di sospensiva, tutti avevano prenotato un posto per quel giorno, nel timore che all’ultimo momento la prefettura revocasse la decisione. Alcuni viaggiatori che si avvicinavano alla città non erano peraltro immuni da qualche apprensione, poiché se perlopiù conoscevano le sorti di coloro che gli erano vicini, ignoravano tutto degli altri e della città stessa, alla quale attribuivano un volto inquietante. Ma questo valeva soltanto per coloro che in tutto quel tempo non erano stati consumati dalla passione.

Questi ultimi, infatti, erano in preda alla loro idea fissa. Una sola cosa per loro era cambiata: quel tempo che nei mesi dell’esilio avrebbero voluto spingere perché accelerasse, che ancora si ostinavano a incalzare quando erano già in vista della nostra città, vollero invece farlo rallentare e lasciarlo come sospeso appena il treno cominciò a frenare prima di fermarsi. La sensazione che avevano, insieme vaga e acuta, di tutti quei mesi di vita perduti per il loro amore, faceva loro confusamente esigere una specie di risarcimento in cui il tempo della gioia sarebbe dovuto trascorrere due volte meno rapidamente di quello dell’attesa. E coloro che li aspettavano in una camera da letto o alla stazione come Rambert, la cui donna avvisata settimane prima aveva fatto il dovuto per arrivare, provavano la stessa impazienza e lo stesso sgomento. Poiché quell’amore o quell’affetto che i mesi di peste avevano ridotto a un’astrazione, Rambert aspettava, tremando, di misurarlo con la creatura di carne che ne era stato l’oggetto.

Avrebbe desiderato essere di nuovo l’uomo che all’inizio dell’epidemia voleva lanciarsi di corsa fuori dalla città per gettarsi incontro a colei che amava. Ma sapeva che non era più possibile. Era cambiato, la peste gli aveva messo dentro un distacco che con tutte le sue forze cercava di negare e che tuttavia persisteva in lui come una sorda angoscia. Per certi versi aveva la sensazione che la peste fosse finita in maniera troppo brusca, e che lo cogliesse alla sprovvista. La felicità arrivava troppo in fretta, il fatto sorpassava l’attesa. Rambert si rendeva conto che gli sarebbe stato restituito tutto di colpo e che la gioia è una fiammata di cui non si può sentire il sapore.

Camus, La Peste, 1947. Tutti i brani sono stati tratti da: Camus, Albert. La peste (Italian Edition) . Bompiani. Edizione del Kindle


Se oggi la peste vi guarda, vuol dire che il momento di riflettere è venuto. 
I giusti non possono temere, ma i malvagi hanno ragione di tremare. Nell'immenso granaio dell'universo il flagello implacabile batterà la messe umana sino a che la paglia sia divisa dal grano. Ci sarà più paglia che grano, ci saranno più chiamati che eletti e la sventura non è stata voluta da Dio. Troppo a lungo il mondo è venuto a patti col male, troppo a lungo si è riposato sulla misericordia divina. Bastava il pentimento, tutto era permesso.

E per il pentimento, ciascuno si sentiva forte. Venuto il momento, lo si proverebbe sicuramente. Di qui, la cosa più facile era lasciarsi andare, la misericordia divina avrebbe fatto il resto. Ebbene, questo non poteva durare! Dio, che per tanto tempo ha chinato sugli uomini di questa città il suo volto di pietà, stanco di aspettare, deluso nella sua eterna speranza, ora ne ha distolto lo sguardo. Privi della luce di Dio, eccoci per molto tempo nelle tenebre della peste! [...]

I nostri concittadini non erano più colpevoli d'altri, dimenticavano di essere modesti, ecco tutto, e pensavano che tutto era ancora possibile per loro, il che supponeva impossibili i flagelli. Continuavano a concludere affari e a preparare viaggi, avevano delle opinioni. Come avrebbero pensato alla peste, che sopprime il futuro, i mutamenti di luogo e le discussioni? Essi si credevano liberi, e nessuno sarà mai libero sino a tanto che ci saranno i flagelli. [...]

Molti speravano sempre che l'epidemia si sarebbe fermata e che loro, con la famiglia, sarebbero stati risparmiati. Di conseguenza, non si sentivano ancora obbligati a nulla. Per essi la peste non era che una spiacevole visitatrice, che doveva andarsene un giorno, com'era venuta. Spaventati, ma non disperati, non era ancor giunto il momento in cui la peste gli sarebbe apparsa come la forma stessa della loro vita e in cui avrebbero dimenticato l'esistenza che avevano potuto condurre prima del morbo.

Camus, La Peste, 1947. Tutti i brani sono stati tratti da: Camus, Albert. La peste (Italian Edition) . Bompiani. Edizione del Kindle


Buona giornata a tuti :-)

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