TEMPO DI CREDERE, Credere con chi crede
LUNEDÌ DI PASQUA
A testimoniare la predilezione di don Primo Mazzolari per i due discepoli
di Emmaus, riportiamo, per cortese concessione, una sua "predica" del
Lunedì di Pasqua del 1957: una "predica" del parroco di Bozzolo,
colta dalla sua viva voce, pronunciata con la fervida improvvisazione del
pastore d'anime, senza la preoccupazione dello scritto (ma quando mai, in don
Primo, c'è divario tra la parola e lo scritto?).
Le prediche dei giorni pasquali del 1957 sono state pubblicate a cura di
Benigno Zaccagnini e di monsignor Guido Astori nel quinto anniversario della
scomparsa.
«Sono le parole - scrive Benigno Zaccagnini – che don Mazzolari ha
pronunciato per la sua gente in una di quelle Settimane Sante in cui liturgia e
devozione rendevano suggestiva, in Bozzolo, la cerimonia
pasquale.
Era la voce di un "povero prete di campagna" - come amava definirsi don Primo - ma noi sentivamo in essa un immenso patrimonio di fede, di ansia, di sofferenze, un impegno senza limiti per la libertà e la giustizia.
La sua parola ... passava attraverso il vaglio di un'esperienza vissuta in una trincea avanzata; era una parola che entrava in ogni cuore e per ognuno - dal ricco al povero, dal politico al letterato, dal poeta all'operaio e al contadino aveva un tono e un calore che inducevano a meditare, ad animare ... ».
Commenta mons. Astori, che di don Mazzolari fu amico devoto dall'adolescenza al tramonto:
«Bisognava aver vissuto una Pasqua nella Parrocchia di don Primo per rivivere
la commozione grande che egli sapeva trasfondere al suo popolo ... In lui la
liturgia dei giorni più sacri aveva un'efficacia profonda e
singolare. La chiesa era preparata con grande sobrietà, ma con cura
amorevole. I bambini, che egli sapeva davvero educare ad un senso di pietà
squisita, diventavano suoi validi cooperatori nello svolgimento delle
funzioni. Tutto il popolo subiva il fascino dell'ambiente sacro e
sentiva la potenza del Sacerdote che parlava con tanto ardore».
Ed ecco I'"Emmaus" del 1957.
"Tempo di sperare" lo intitoleremmo, dopo il "Tempo di credere" del 1940.
Una
speranza interamente affidata alla libertà dell'uomo, alla sua inesausta
capacità di rinnovarsi. Questo tema trova espressione in una prosa
straordinariamente scarna e trasparente : «Non poteva la Provvidenza fare
sì che tutto l'anno fosse primavera ... che le foglie rimanessero sempre sugli
alberi ... ?». «Voi sapete cos'è il Paradiso?... ».Parole che sembrano intrise
di gioia, tanta è la forza con cui don Primo vedeva la Presenza divina nel
mondo.
Miei cari fratelli, in questa
seconda festività di Pasqua voglio farvi riflettere - e rifletto io con voi -
su alcuni particolari del mistero della passione, della morte e della
resurrezione del Signore.
Nel Vangelo che avete sentito cantare (in latino, purtroppo!) si parla di due discepoli
che, usciti dal Cenacolo, si avviarono verso Emmaus, un borgo non molto lontano
da Gerusalemme. Camminando, parlavano dei grandi avvenimenti di quei
giorni. Erano delle persone accorate. Avevano la
tristezza di quanto era accaduto e, soprattutto, avevano l'immensa tristezza di
aver perduto il Maestro.
Lungo la strada sono raggiunti da un misterioso personaggio che era poi il
Cristo, il quale raccoglie la loro pena, ed un po' alla volta mette nel loro
animo la speranza che avevano perduta ... Gesù, costretto a fare animo ai suoi
figlioli che avevano perduto la fiducia in Lui.
Ecco un particolare che mi fa pensare alla misteriosa maniera con cui il
Signore si comporta con noi, e che noi, nella nostra poca intelligenza, tante
volte deprechiamo. Per esempio: perché non è andato a Bethania prima
che Lazzaro morisse? Vi è andato quando Lazzaro era ormai morto da
quattro giorni. Perché non è fuggito da Gerusalemme, quando sapeva
che attorno a Lui si stringevano le mene dei suoi avversari? Perché
non è disceso dalla croce quando i suoi avversari, passando sotto di essa, si
rivolgevano a Lui in tono beffardo? «Ha salvato gli altri - dicevano e non è
capace di salvare se stesso! Se veramente è il Figlio di Dio,
discenda dalla croce» !
Il Signore Gesù ha un suo metodo, un modo d'agire e di comportarsi che non va
d'accordo con la nostra logica. La nostra maniera di ragionare ci
sembra molto più intelligente, molto più efficace e più utile della sua ed
esige minor dispendio e minore sforzo.
Volete un altro esempio tratto dalla natura?
C'era proprio bisogno che d'autunno cadessero tutte le foglie e la natura si abbandonasse al lungo sonno invernale per darci il gusto della primavera?
La primavera che viene
dopo l'inverno non vi pare una cosa mal organizzata? Non poteva la
Provvidenza fare sì che tutto l'anno fosse primavera e non si alternassero
stagioni così disuguali; che le foglie rimanessero sempre sugli alberi, che la
vegetazione fosse continua?
Noi, che siamo gente molto ragionevole, avremmo messo insieme un mondo fatto a
questa maniera, ma avremmo tolto la bellezza alle cose, perché la bellezza di
ogni creatura è nella sua capacità di rinnovarsi.
Se Gesù fosse venuto a Bethania quando Lazzaro era ammalato, gli altri non
avrebbero visto il miracolo della resurrezione e non avrebbero creduto in
Lui. Se si fosse sottratto alla morte, noi avremmo detto: guarda,
non è un uomo, non ha accettato il nostro destino. Ed egli non
avrebbe potuto mettere nella fragilità della nostra natura, quella immensa speranza
che ci viene soltanto dalla sua resurrezione. Se i due discepoli non
l'avessero incontrato lungo la strada che va da Gerusalemme ad Emmaus, se Egli
non si fosse fermato nella loro casa e non si fosse manifestato nello spezzar
del pane, essi non avrebbero trovato la freschezza ed il rinnovamento della
loro fede.
Miei cari fratelli, la religione nostra è una religione
di novità. Non c'è niente di vecchio anche se voi, qualche volta,
avete l'impressione che tutto qui, nella Chiesa, si ripeta secondo una
tradizione secolare che non ha più nulla che vi possa incuriosire.
Guardate come si è comportato il Signore anche nei riguardi della nostra
anima. Egli non ci ha mai impedito di fare il male. Ma
non sarebbe stato molto più bello se il Signore ci avesse conformato in maniera
tale da non cadere più nelle solite e penosissime mancanze? Se Egli
ci aiutasse in una maniera più efficace e, contro la nostra stessa libertà, ci
costringesse a resistere al male, noi Gli saremmo più grati.
Io non so se questo sarebbe una gioia per l'uomo. Dio non ci
impedisce di fare il male, ma fa una cosa più grande: viene accanto a noi,
sulla strada del nostro peccato, pronto a tollerarci, a sopportarci, a
dimenticare, a volerci bene nonostante le nostre indegnità, a perdonarci
nonostante il ripetersi continuo dei nostri allontanamenti e dei nostri
tradimenti.
Io trovo che questo metodo del Signore è molto bello e mi fa sentire ancora di
più la sua infinita potenza e la sua infinita bontà. Non è soltanto
un modo conforme alla nostra natura umana, ma è proprio il più bel modo, il più
rispettoso dei modi, il più paterno, dei modi. Perché noi vogliamo
tanto bene ai nostri genitori? Certo, essi ci ammoniscono, ci rimproverano, ci
indicano la strada buona. Ma quando noi sbagliamo e veniamo meno ai
nostri doveri, i primi a capirci e a perdonarci sono loro, i nostri
genitori. Donde questo affetto particolare verso nostro padre e
nostra madre, se non da questa capacità che è tutta loro, di saper compatire,
aiutare e perdonare? Non è che non vedano i nostri difetti, che non
capiscano i nostri torti, che non ne misurino la gravità. Ma no: lo
sanno, li vedono e ne soffrono. Eppure, nel gran bene che ci
vogliono, compatiscono e perdonano.
E così fa il Signore! Non ci costringe ad essere
buoni. Ci ha indicato la strada dandoci la sua legge, che è stata
scritta nei nostri cuori prima ancora di essere rivelata attraverso
Mosè. Poi, è venuto Lui stesso a segnare la strada con il suo
esempio e ci ha detto: «Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi
segua». Egli è sempre davanti, come un pastore. C'è una
sola differenza: i pastori di questo mondo portano il bastone, mentre Cristo
non ha mai portato il bastone, Cristo ha portato anche Lui un legno: ma è il
legno della croce, che ha tutt'altro significato. Esso è il
compimento ed il simbolo reale della sua offerta piena. Egli ci ha
dato l'esempio ma non ci costringe a seguirlo.
Chi vuol seguirlo lo
segue e chi non vuol seguirlo non lo segue. C'è la pecora che vuol
perdersi e si perde e c'è la pecora che rimane accanto a Lui. Egli
andrà alla ricerca della pecorella smarrita, ma non imporrà agli altri di
rimanere nell'ovile.
Ecco il senso di libertà che noi vediamo consacrato dal mistero della passione,
della morte e della resurrezione di Gesù. Voi mi direte: ma allora
saremo sempre da capo e ci saranno sempre delle miserie nel mondo, perché ci
saran sempre delle teste che non ragionano, delle pecore che andranno fuori
strada, dei cristiani che rinnegheranno il Cristo, della gente che non troverà
mai la strada buona. Certo ! ... Vorreste voi mettere nel mondo una
legge diversa da quella del Cristo? Se il Signore ci sopporta come
siamo, il Signore rispetta la nostra libertà, le nostre ribellioni, le nostre
resistenze. Vorreste voi obbligare la gente a camminare quando non
ha voglia di camminare? Cosa ne fareste di una religione da
galeotti, di una Chiesa prigione? Che cosa ne fareste di un mondo in
cui tutti fossero costretti a seguire una stessa regola, a camminare allo stesso
modo, a vestirsi alla stessa maniera, a cantare dietro ordine, a camminare
dietro ordine ? ...
Ci sono purtroppo di quelli che vorrebbero rifare il mondo e trovare la
salvezza a questa maniera. Essi dimenticano che Dio è il custode della libertà
umana. Egli è garante della libertà, contro l'uniformità degli
uomini, contro il desiderio di fare del mondo una caserma per poter far stare
tutti bene.
Il Signore ha accettato l'insuccesso; ha accettato di essere dichiarato
impotente: e davanti agli uomini che qualche volta l'irridono, ha rinnegato
persino la sua onnipotenza per rispettare la nostra libertà. Il
Signore permette l'inverno, ma poi fa la primavera; permette che noi ci
rompiamo la testa, ma poi ce l'accomoda; permette che noi facciamo il peccato,
ma poi ci perdona. Il Signore permette che noi deviamo dalla strada
buona, ma poi, quando la strada diventa un baratro, eccolo con le sue braccia
aperte come la croce, ad indicarci il nostro sbaglio, a riprenderci
amorevolmente per riportarci sul giusto sentiero. Questo è il metodo
del Signore.
Non vi piace ? Non siete contenti di essere trattati con tanta bontà, con tanta
larghezza e con tanta libertà? Non siete contenti di non
essere costretti a fare il bene, a fare il galantuomo? Voi
siete liberi! Potete spergiurare, potete dire menzogne; potete
commettere tutto quello che volete!... Il Signore è in croce proprio per
questo: muore in croce perché noi non siamo buoni. Egli non è
indifferente, come non è indifferente vostra madre se non vi prende per il
collo e non vi costringe a stare in casa quando voi volete andare a perdervi.
Ecco quello che io vorrei che voi capiste come una delle lezioni più grandi
della misericordia di Dio. Noi dobbiamo ringraziarlo per questa
libertà che ci ha dato. La professione cristiana non è qualcosa di
obbligato e di forzato, ma è una semplice, spontanea, cordialissima adesione da
parte nostra. Dobbiamo ringraziarlo perché Egli è il solo che ci
rispetta. Nessuno ci ha obbligato ad inginocchiarci nella Pasqua;
nessuno ci ha portati qui alla balaustra; nessuno ci ha portati in chiesa;
nessuno ci obbliga ad essere buoni.
C'è soltanto un invito: l'invito divino che ha la capacità di rifare, di
rimettere a posto, di ricostruire. La primavera è bella perché essa
è la ricostruzione, da parte dell'onnipotenza di Dio, della natura che
nell'inverno è venuta meno. E così, vedete, la Pasqua è bella non
perché il Signore si sia sottratto alla morte, ma perché ha vinto la morte; non
perché ha impedito agli Ebrei di essere dei deicidi, ma perché ha perdonato ai
deicidi. La Pasqua è bella perché è il segno della misericordia di
Dio che ha impresso, sul volto di ogni uomo, i segni della Redenzione.
Noi possiamo diventare cattivi, ma Cristo rimane infinitamente buono e
infinitamente aperto alle nostre miserie. Vale di più saper
ricostruire che distruggere. E questo è il segno più bello della
bontà onnipotente ed inesausta di colui che è venuto ad aprire il Paradiso su
questa terra.
Voi sapete cos'è il Paradiso ? Il paradiso è sentire che c'è un cuore divino
che non si stancherà mai di battere per l'uomo, anche se l'uomo lo rinnega; che
c'è qualcuno che non si stancherà mai di spalancare le sue braccia, anche se
noi andiamo lontano. Qualcuno che è disposto a lasciarsi
spaccare il cuore per dare un porto a questo povero mondo.
da: Il Cristo di Velazquez, p. 68
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