martedì 24 dicembre 2019

Un'educazione davvero speciale - Ezio Risatti sdb

La famiglia di Nazareth rappresenta, per i cristiani, una realtà e un modello cui ispirarsi per dar vita a legami d'affetto, d'amore e di comprensione capaci di rafforzarsi e rinnovarsi di giorno in giorno.
Forse non tutti sanno che la domenica che separa il Natale dall'Epifania la Chiesa è solita festeggiare la famiglia che per ogni cristiano rappresenta il modello cui ispirarsi: quella di Nazareth, formata da Gesù, Maria e Giuseppe. Un nucleo famigliare in cui ciascun componente si dimostra all'altezza del proprio ruolo e in cui i legami d'affetto, d'amore e di comprensione sembrano rafforzarsi e rinnovarsi di giorno in giorno. 
Una famiglia senza dubbio speciale, investita di una missione unica e irripetibile per il destino dell'umanità, che pare mettere in pratica una serie di comportamenti virtuosi alla portata di tutte le famiglie ma non di rado sottovalutati.
La forza silenziosa dell'esempio
Persone semplici e concrete, Maria e Giuseppe sembrano consapevoli del fatto che la forza silenziosa dell'esempio sia infinitamente più potente e persuasiva della sovrabbondanza, non di rado vuota e ridondante, delle parole. 
È per questo che - secondo quanto riferisce la tradizione - per trasmettere al piccolo Gesù valori importanti quali svolgere con impegno il proprio dovere o dedicare tempo ed energie a chi ne ha bisogno non si dilungano in "prediche" ma li vivono concretamente ogni giorno. 
E non cominciano a farlo dal giorno in cui Gesù vede la luce nella grotta di Betlemme ma assai prima, come dimostrano la perizia e la cura che hanno reso Giuseppe uno dei falegnami o dei carpentieri più richiesti e apprezzati dai suoi concittadini (il termine greco "tektòn", usato da Matteo nel versetto cinquantacinque del tredicesimo capitolo del suo Vangelo, designa entrambe le professioni). 
O la decisione di Maria di allontanarsi dalla casa dei genitori per mettersi in viaggio e raggiungere la cugina Elisabetta, in dolce attesa, per aiutarla a svolgere le faccende domestiche, come testimonia il primo capitolo del Vangelo di Luca.
L'educazione alla concretezza ha senza dubbio "radici" divine, ed è quella che - come narra Matteo nel settimo capitolo del suo Vangelo - spinge Gesù a ripetere, con sfumature diverse, nel corso della sua predicazione: "Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli".
Declinare il linguaggio dell'amorevolezza
Un altro elemento che sembra emergere sfogliando le pagine dei Vangeli di Matteo e di Luca - i soli a raccontare, per sommi capi, l'infanzia e l'adolescenza di Gesù - è che nella famiglia di Nazareth non si urla, non si insulta e non si alzano le mani.
Come pedagoghi di razza, Maria e Giuseppe crescono Gesù servendosi di tre "ingredienti" irrinunciabili: la dolcezza, l'amorevolezza e l'autorevolezza. 
Per aiutare Gesù ad ambientarsi e a orientarsi nella realtà che lo circonda Maria e Giuseppe sono propositivi, non usano minacce o parole offensive e men che mai ricorrono a scatti d'ira o a gesti violenti. 
Sono consapevoli che la dolcezza, accompagnata dalla fermezza, è lo strumento più potente per educare e indicare in modo semplice e intuitivo la strada giusta da percorrere.
Dolcezza, amorevolezza e autorevolezza rappresentano - infatti - una costante di Gesù nell'approccio con gli uomini e con le donne che incrocia sul proprio cammino, come dimostra l'incontro con l'adultera narrato nell'ottavo capitolo del Vangelo di Giovanni. 
Rimasto solo con lei, dopo che gli scribi e i farisei si sono allontanati perché nessuno si è sentito di condannarla scagliando contro di lei la prima pietra, le dice: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". 
Una frase che trabocca di dolcezza e di amorevolezza nel rifiuto di condannare ma che esorta, con autorevolezza, a inaugurare un modo di vivere nuovo e il più possibile lontano dal peccato.

- Ezio Risatti sdb -


Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. 
Dio è vicino a noi,  così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio. 

- papa Benedetto XVI -

Questo Natale
    apra il nostro cuore e il nostro spirito
    al canto degli angeli di Betlemme:
    “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”.
Questo Natale
    ci ricordi la nostra vocazione
    di testimoni e messaggeri di Gesù,
    Principe della pace.
Questo Natale
    ci impegni a render grazie a Dio
    per i suoi doni meravigliosi
    e a condividere ciò che
    noi riceviamo dalle sue mani.
Questo Natale
    ci insegni a perdonare senza stancarci
    e a vedere nei nostri nemici
    dei fratelli amati da Dio.
Questo Natale,
    ci faccia rassomigliare a Gesù,
    vincitore di ogni tentazione,
    forte dinanzi allo spirito del male.
Questo Natale
    ci renda raggianti di gioia,
    perché accogliamo fra noi
    il Figlio prediletto del Padre.

Nella notte di Betlemme si è levato un inno di gioia e di pace. Tu che ci ami così come siamo, guarda i nostri cuori e convertili alla comunione perché piccole o grandi cose non ostacolino la nostra ricerca di bene.


Oggi su noi tutti splende la luce:
è nato per noi il Signore,
Dio onnipotente è il suo nome,
principe della pace.
Il suo regno non avrà mai fine.
La gioia è dentro i nostri cuori
e illumina i nostri volti:
nel tuo volto, bambino Gesù,
vediamo il sorriso ed il volto di Dio
che viene a portarci la gioia e la pace.
L’amore è dentro i nostri cuori
e ci rende generosi:
nelle tue mani, bambino Gesù,
vediamo Dio che si protende verso di noi
e ci abbraccia con infinito amore.
La pace è dentro i nostri cuori
e ci rende pieni di gioia di vivere:
nella tua culla, bambino Gesù,
vediamo Dio che vuole abitare tra noi
per far crescere la pace nel mondo.



Carissimi amici ed amiche che mi seguite da così tanto tempo
un felice e soprattutto sereno Natale a tutti voi e alle vostre famiglie :-)






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