Non mi hai
tirato calci, non mi hai inviato risposte. E come avresti potuto?
Ci sei da
così poco: se ne chiedessi conferma al dottore, sorriderebbe di scherno.
Ma ho
deciso per te: nascerai.
L'ho deciso dopo averti visto in fotografia.
Non era
proprio la tua fotografia, evidente: era quella di un qualsiasi embrione di tre
settimane, pubblicata su un giornale insieme a un reportage sul formarsi della
vita. E, mentre la guardavo, la paura m'è passata: con la stessa rapidità con
cui m'era venuta.
Sembravi un fiore misterioso, un'orchidea trasparente. In
cima si scorgeva una specie di testa con le due protuberanze che diverranno il
cervello. Più in basso, una specie di cavità che diverrà la bocca. A tre
settimane sei quasi invisibile, spiega la didascalia. Due millimetri e mezzo.
Eppure cresce in te un accenno di occhi, qualcosa che assomiglia a una spina
dorsale, a un sistema nervoso, a uno stomaco, a un fegato, a intestini, a
polmoni.
Il tuo cuore è già fatto, ed è grande: in proporzione, nove volte più
grande del mio. Pompa sangue e batte regolarmente dal diciottesimo giorno:
potrei buttarti via?
Che m'importa se sei incominciato per caso o per sbaglio,
anche il mondo in cui ci troviamo non incominciò per caso e forse per sbaglio?
Alcuni sostengono che in principio non c'era nulla fuorché una gran calma, un
gran silenzio immobile, poi si verificò una scintilla, uno strappo, e ciò che
non era fu. Allo strappo seguirono presto altri strappi: sempre più imprevisti,
sempre più insensati, più ignari delle conseguenze.
E tra le conseguenze
sbocciò una cellula, anche lei per caso, forse per sbaglio, che subito si
moltiplicò a milioni, a miliardi, finché nacquero gli alberi e i pesci e gli
uomini.
Tu credi che qualcuno si ponesse un dilemma prima dello scoppio o prima
della cellula? Credi che si domandasse se gli sarebbe piaciuto o no?
Credi che
si preoccupasse della sua fame, del suo freddo, della sua infelicità? Io lo
escludo. Anche se il qualcuno fosse esistito, ad esempio un Dio paragonabile
all'inizio dell'inizio, al di là del tempo e al di là dello spazio, io temo che
non si sarebbe curato del bene e del male.
Tutto avvenne perché poteva avvenire,
quindi doveva avvenire, secondo una prepotenza che era l'unica prepotenza
legittima. E lo stesso discorso vale per te.
Mi prendo la responsabilità della
scelta.
Me la prendo
senza egoismo, bambino: metterti al mondo, lo giuro, non mi diverte. Non mi
vedo camminare per strada col ventre gonfio, non mi vedo allattarti e lavarti e
insegnarti a parlare.
Sono una donna che lavora ed ho tanti altri impegni,
curiosità: te l'ho già detto che non ho bisogno di te. Però ti porterò avanti
lo stesso, che ti piaccia o no.
Te la imporrò lo stesso quella prepotenza che
fu imposta anche a me, e ai miei genitori, ai miei nonni, ai nonni dei miei
nonni: su fino al primo essere umano partorito da un essere umano, che gli
piacesse o no. Probabilmente, se a costui o a costei fosse stato concesso di
scegliere, si sarebbe impaurito e avrebbe risposto non voglio nascere, no. Ma
nessuno gli chiese un parere, e così nacque e visse e morì dopo aver partorito
un altro essere umano cui non aveva chiesto di scegliere, e costui fece lo
stesso, per milioni di anni fino a noi, e ogni volta fu una prepotenza senza la
quale non esisteremmo.
Coraggio, bambino.
Pensi che il seme di un albero non
abbia bisogno di coraggio quando buca la terra e germoglia?
Basta un colpo di
vento a staccarlo, la zampina di un topo a schiacciarlo. Eppure lui germoglia e
tiene duro e cresce gettando altri semi. E diventa un bosco.
Se un giorno
griderai "Perché mi hai messo al mondo, perché?" io ti risponderò:
"Ho fatto ciò che fanno e hanno fatto gli alberi, per milioni e milioni di
anni prima di me, e credevo di fare bene".
L'importante
è non cambiare idea ricordando che gli esseri umani non sono alberi, che la
sofferenza di un essere umano è mille volte più grande della sofferenza di un
albero perché è cosciente, che a nessuno di noi giova diventare un bosco, che
non tutti i semi degli alberi generano alberi: nella stragrande maggioranza
vanno perduti.
Un simile voltafaccia è possibile, bambino: la nostra logica è
piena di contraddizioni. Appena affermi qualcosa, ne vedi il contrario. E
magari ti accorgi che il contrario è valido quanto ciò che affermavi. Il mio
ragionamento di oggi potrebbe essere rovesciato così, con uno schiocco di dita.
Infatti ecco: mi sento già confusa, disorientata. Forse perché non posso
confidarmi con nessuno al di fuori di te.
Sono una donna che ha scelto di
vivere sola. Tuo padre non sta con me. E non me ne dolgo sebbene, ogni tanto,
il mio sguardo cerchi la porta da cui egli uscì, col suo passo deciso, senza
che io lo fermassi, quasi non avessimo più nulla da dirci.
- Oriana Fallaci -
da: "Lettera a un bambino mai nato", Rizzoli editore, 1975
Ti ho portato
dal medico. Più che la conferma, volevo qualche consiglio.
Per risposta ha
scosso la testa dicendo che sono impaziente, non può ancora pronunciarsi,
ripassi tra quindici giorni, pronta a scoprire che eri un prodotto della mia
fantasia.
Tornerò solo per dimostrargli che è un ignorante. Tutta la sua
scienza non vale il mio intuito, e come fa un uomo a capire una donna che
sostiene anzitempo di aspettare un bambino?
Un uomo non resta incinto e, a
proposito, dimmi: è un vantaggio o una limitazione? Fino a ieri mi sembrava un
vantaggio, anzi un privilegio.
Oggi mi sembra una limitazione, anzi una
povertà. V'è un che di glorioso nel chiudere dentro il proprio corpo un'altra
vita, nel sapersi due anziché uno.
A momenti ti invade addirittura un senso di
trionfo e, nella serenità che
accompagna il trionfo, niente ti preoccupa: né il dolore fisico che dovrai
affrontare, né il lavoro che dovrai sacrificare, né la libertà che dovrai
perdere. Sarai un uomo o una donna?
Vorrei che tu fossi una donna.
Vorrei che
tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d'accordo con la mia
mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia.
La mia mamma, quando
è molto infelice, sospira: «Ah, se fossi nata uomo!». Lo so: il nostro è un
mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica
che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si
dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e
figlia, si dice omicidio per indicar l'assassinio di un uomo e di una donna.
Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima
creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per
divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio è un
vecchio con la barba: mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi
sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell'Icaro che tentò di
volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito
Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un'incubatrice o una balia.
Eppure, o proprio per questo, essere donna è così affascinante.
È un'avventura
che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose
da intraprendere se nascerai donna.
Per incominciare, avrai da batterti per
sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli
bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato
non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una
splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare
che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c'è un'intelligenza che urla d'essere
ascoltata.
Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere.
È solo un
diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto ad urlarlo. E spesso, quasi sempre,
perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere,
viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto,
avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di
nuovo, crearti nuovi scopi.
Sì, spero che tu sia una donna: non badare se ti
chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l'ho
mai detto.
- Oriana Fallaci -
da: "Lettera a un bambino mai nato", Rizzoli editore, 1975
Buona giornata a tutti. :-)
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