.... A tal proposito, prendiamo un esempio fra i molti che
vedono questo principio in atto: il caso dei regali di Natale. Poco tempo fa,
ho letto un’affermazione della signora Eddy sull’argomento: diceva che lei non
«faceva regali» nel senso grossolano, sensuale e terreno dell’espressione, ma
che si sedeva immobile a pensare alla Verità e alla Purezza in modo che tutti i
suoi amici sarebbero diventati, per questo, migliori.
Adesso, io non dico che
questo metodo sia necessariamente superstizioso o inefficace, e non c’è dubbio
che, dal punto di vista economico, abbia un suo fascino.
Dico solo che non è
cristiano alla stessa prosaica e concreta maniera di quanto suonare una musica
al contrario non sia musicale o usare un’abbreviazione come ain’t non
sia grammaticalmente corretto.
Non so se ci sia un testo della Scrittura o un
Concilio che condanni la teoria della signora Eddy sui regali di Natale, ma la
condanna sicuramente il cristianesimo, così come la vita militare condanna chi
si dà alla fuga.
Le due attitudini – della signora Eddy e del cristianesimo, rispettivamente –
non sono solo antagoniste a causa di differenti teologie, o di differenti
scuole di pensiero: prima ancora che s’inizi a ragionare, è lo stato d’animo
che è differente.
La più enorme e originale delle idee alla base
dell’Incarnazione è che una buona volontà s’incarni; che venga, cioè, messa in
un corpo.
Un regalo di Dio che può essere visto e toccato: se l’epigramma del
credo cristiano ha un punto essenziale è questo. Lo stesso Cristo è stato un regalo
di Natale.
Una nota a favore dei regali materiali di Natale è stata buttata giù
persino prima della Sua nascita, con i primi spostamenti dei saggi dell’Oriente
e della stella: i Tre Magi giunsero a Betlemme portando oro, incenso e mirra.
Se avessero portato con sé solo la Verità, la Purezza e l’Amore non ci
sarebbero state né un’arte né una civiltà cristiana.
Questi tre doni sono stati oggetto di chissà quante
omelie, ma vi è un loro aspetto cui raramente è stata riconosciuta la giusta e
meritata attenzione.
È alquanto bizzarro che i nostri scettici europei, mentre
prendono in prestito dai filosofi orientali così tanto del loro determinismo e
della loro disperazione, si prendano anche costantemente gioco dell’unico
elemento orientale che il cristianesimo ha entusiasticamente incorporato,
l’unico autenticamente semplice e affascinante. Intendo, cioè, l’amore degli
orientali per i colori vivaci e l’eccitazione infantile che hanno di fronte al
lusso.
Uno dopo l’altro, gli scettici hanno invariabilmente giudicato la
Gerusalemme nuova di san Giovanni un ammasso di gioielli vistosi e di cattivo
gusto.
Uno dopo l’altro, hanno denunciato i riti della Chiesa come esibizioni
pacchiane di viola sensuale e d’oro sgargiante.
In realtà, nelle sue scelte, la
Chiesa si dimostrò molto più saggia sia dell’Europa che dell’Asia.
Si accorse,
infatti, che l’appetito orientale per il rosso, l’argento, il verde e l’oro era
di per sé innocente e appassionato, sebbene dissipato dalle civiltà inferiori
per il loro indulgere alla mollezza e alla tirannia.
Al contrario, vide insito
nella stoica sobrietà di Roma – sebbene apparentata all’equità e allo spirito
pubblico della civiltà più elevata che esistesse allora – un latente pericolo
di rigidità e di orgoglio.
La Chiesa prese tutto l’oro multi-sfaccettato e i
colori brulicanti che avevano adornato così tante poesie erotiche e tante
crudeli storie d’amore in Oriente, e con quella congerie variopinta di fiaccole
illuminò le gigantesche dimensioni dell’umiltà e le più grandi cromie dell’innocenza.
Prese i colori dalla schiena del serpente, lasciando perdere, però, il
serpente.
Il popolo europeo ha, nel suo insieme, seguito in questo
la guida dell’istinto e dell’arte cristiani.
Niente tira più su di morale per
la nostra tradizione popolare del guardare l’Oriente come a un insieme di forme
pittoresche e di colori, piuttosto che a un sistema filosofico rivale. Sebbene
sia, di fatto, un tempio di vetuste cosmologie, noi lo trattiamo come un grande
bazar, cioè come un enorme negozio di giocattoli.
Alla gente comune, pensando
al Vicino Oriente, vengono più spesso in mente le Notti arabe, piuttosto che il
Profeta arabo.
Costantinopoli fu conquistata da una cultura saracena che, a
quel tempo, era immensamente inferiore alla nostra. Ciononostante, noi ci
preoccupiamo non della cultura dei Turchi, ma dei loro tappeti.
Per anni, un
certo ironico agnosticismo ha pervaso l’Impero Celeste. Ma noi Europei non ci
informiamo sugli enigmi della Cina, ma solo sui loro puzzle. Consideriamo
l’Oriente come una sorta di colossali grandi magazzini, e facciamo bene.
È la
cosa che dell’Oriente è più cordiale e più umano, ed è ciò che qualcuno chiama
«violenza dei suoi colori» e «cattivo gusto delle sue gemme».
Solo dagli stessi scettici moderni, che ci propongono la tetra visione del
mondo dell’Oriente miscelata ai più tetri costumi dell’Occidente, potremo
sapere quanto cattive siano le altre cose orientali; la ruota del destino
mentale, per esempio, o le lande desolate dei dubbi della mente.
Schopenhauer
ci mostra il veleno del serpente senza la sua lucentezza; tutt’al contrario, la
Chiesa dei primi secoli ce ne aveva invece mostrato la lucentezza senza il
veleno. Cioè la lucentezza che la Cristianità era riuscita a estrarre dal
groviglio delle cose orientali.
L’oro si è diffuso veloce come il fuoco nella
foresta fino a lambire ogni manoscritto e ogni statuto, e ha cinto stretta la
testa di ogni re e di ogni santo. Ma tutto ciò ebbe origine da quel mucchietto
d’oro che Melchiorre portò con sé quando attraversò il deserto per giungere a
Betlemme.
Gli altri due doni sono ancor più contrassegnati dal
grande segno del cristianesimo: l’apprezzamento dell’esperienza sensoriale e di
ciò che è materiale.
C’è persino qualcosa di sfacciatamente carnale
nell’appello che l’incenso e la mirra fanno al senso dell’olfatto.
Il naso non
è tagliato fuori dal resto del divino corpo umano. La dignità di un organo che
appare comico, per la mentalità moderna, quanto la proboscide di un elefante è
invece riconosciuta con molta disinvoltura nell’immaginario orientale.
Comunque, tanto per dare un colpo al cerchio dopo averlo dato alla botte, se
questa forma di asiatica luxuria è ammessa nel mistero cristiano, è
solo per subordinarla a una semplicità e a una sobrietà superiore.
L’oro è
portato in una stalla; i re devono andare in cerca di un falegname.
I Magi sono
in cammino, non per trovare la saggezza, ma piuttosto una forte e santa
ignoranza.
Quegli uomini saggi provenivano dall’Oriente, ma si diressero verso
Occidente per incontrare Dio.
Oltre a questa qualità tangibile e incarnata che rende i
regali di Natale così squisitamente cristiani, c’è un altro elemento che ha un
effetto spirituale analogo: intendo ciò che potremmo chiamare il loro particolarismo,
la loro peculiare singolarità.
Ancora una volta, a questo proposito, le nuove
teorie – di cui la Scienza Cristiana è la più estesa e lucida – approdano a
conclusioni sorprendentemente diverse, anzi opposte: la moderna teologia
proverà a convincerci che il Bambino di Betlemme è solo un’astrazione che
rappresenta la totalità dei bambini, e la Madre di Nazareth solo un simbolo
metafisico della maternità.
La verità è un’altra: la narrazione della Natività ha un valore pienamente
universale proprio perché riguarda una sola madre e un solo figlio, singoli e
concreti.
Infatti, se Betlemme non fosse particolare, non sarebbe popolare.
Immaginiamo una canzone d’amore per una donna altezzosa, talmente penetrante e
letale che nessun uomo – dal più umile che spinge l’aratro al principe in sella
– possa fare a meno di cantarla da mane a sera; ognuno, senza eccezioni,
smetterebbe immediatamente se dicessi loro che la canzone non era stata
composta per una donna in particolare, ma solo, genericamente, per le donne in
astratto.
Il Natale, persino nei riti più comici e casalinghi delle
calze di Natale e delle scatole dei regali, è pervaso da questa particolare
idea di patto d’intimità fra Dio e l’uomo – un cappello divino che si adatta
perfettamente alla testa dell’uomo. Il cosmo è concepito come un ufficio
postale centrale e celeste.
Il sistema postale è, di fatto, rapido e vasto;
ciononostante i pacchi vengono consegnati tutti, integri e sigillati.
I regali
di Natale sono simbolo di una protesta permanente fatta per conto del «dare»
come distinto da quel mero «condividere» che i moderni sistemi di valore
presentano come equivalente o superiore al primo.
Il Natale rappresenta questo
eccezionale e sacro paradosso: dal punto di vista spirituale, se Tommy e Molly
si dessero a vicenda una moneta da sei penny, compirebbero una transazione di
valore superiore rispetto alla condivisione di uno scellino.
Il Natale è qualcosa di meglio che una cosa per tutti: è una cosa per ognuno.
E
a chi trovi queste frasi inutili o stravaganti, o pensi che non vi sia fra di
esse alcuna differenza se non la ricercatezza delle parole, l’unico riscontro
possibile è quello che ho già indicato, cioè sottoporre la questione alla prova
– dal valore stabile e duraturo – del popolino.
Prendiamo cento ragazze a caso
in una scuola e verifichiamo se non fanno alcuna distinzione fra il ricevere un
fiore ciascuna o, al contrario, un giardino per tutte.
Se pertanto queste nuove
scuole di spiritualità intendono dimostrare di possedere lo spirito e il
segreto delle feste cristiane, devono almeno provarlo non con affermazioni
astratte, ma con un ceffone di quelli speciali e inequivocabili, che lascino un
segno pungente e duraturo, per esempio dimostrando di essere in grado di
scrivere un canto di Natale o, addirittura, di saper cucinare una torta di
Natale.
- Chesterton Gilbert Keith -
da "Teologia dei regali di Natale (1910) dalla raccolta "Lo spirito di Natale, D'Ettoris Editori
«Canto di Natale»
Nel grembo di Maria giaceva il Bimbo
la sua chioma era simile a una luce
(stanco e disfatto è il mondo, ma qui tutto
proprio tutto va bene).
Sul seno di Maria giaceva il Bimbo
la sua chioma era simile a una stella
(sono astiosi e astuti tutti i re
ma qui sinceri i cuori).
Sul cuore di Maria giaceva il Bimbo
ed era la sua chioma come il fuoco
(stanco è il mondo, ma del mondo
è questo il desiderio).
Stava Cristo ai ginocchi di Maria
la sua chioma pareva una corona.
E tutti i fiori a lui guardavan su
tutte le stelle giù.
- Gilbert Keith Chesterton -
(Londra 1874 – Beaconsfield 1936)
Bello il post.
RispondiEliminafra l'altro hai scelto bellissimi dipinti
Grazie Angela, sempre gentilissima! Il Signore ti benedica e ti protegga.
RispondiEliminaStefania