giovedì 10 agosto 2017

Comunità come luogo di rivelazione dei limiti personali - Jean Vanier

Quando chi ha conosciuto l’isolamento di una grande città, o un mondo di aggressione e di rifiuto, entra in comunità, trova un calore e un amore molto vivificanti. 
Inizia a togliersi la maschera, a lasciar cadere le sue barriere e a diventare
più vulnerabile. 
Vive un tempo di comunione e di gioia profonda.
Ma togliendosi la maschera e diventando vulnerabile, scopre anche che la comunità è un luogo terribile perché è un luogo di relazioni, perché rivela la nostra affettività ferita e rivela quanto può essere difficile vivere con altri, specialmente con certe persone. 
È molto più facile vivere con libri, oggetti, con la televisione, la musica ... è tanto più facile vivere da soli e stare con gli altri quando se ne ha voglia.
Quando si è in relazione sempre con le stesse persone, quando ormai ci si conosce, emergono tutte le gelosie, la paura degli altri, il bisogno di dominare, di scappare o di nascondersi che abbiamo vissuto nella nostra infanzia. 
Tanta miseria che abbiamo dentro di noi e di cui non sempre siamo coscienti sembrano risalire alla superficie della nostra coscienza. 
Si è angosciati dalla vicinanza di certe persone che si aggrappano a noi, che ci chiedono troppo oppure la cui presenza ci ricorda i nostri genitori.
La comunità è il luogo nel quale sono rivelati i limiti, le paure e l’egoismo di una persona. Si scopre la propria povertà e le proprie debolezze, l’incapacità ad intendersi con alcuni, i propri blocchi, la propria affettività turbata, i desideri che sembrano insaziabili, le frustrazioni e le gelosie, gli odi e la voglia di distruggere. 
Finché si era soli si poteva credere di amare tutti e di andare d’accordo con tutti.
Quando i rapporti sono ravvicinati, quando si trascorrono alcuni giorni insieme a tempo pieno, quando i rapporti diventano stabili, forse addirittura quotidiani, allora ci si rende conto di quanto si è incapaci di amare, di quanto si rifiutino gli altri, di quanto si è chiusi su di sé. 
E se si è incapaci di amare, che resta di buono? 
Non c’è più che disperazione, angoscia e bisogno di distruggere. Allora l’amore sembra un’illusione.
La vita comunitaria è la rivelazione penosa dei limiti, delle debolezze, delle tenebre di ogni essere; è la rivelazione, spesso inattesa, dei mostri nascosti dentro di noi. È difficile accettare questa rivelazione. 
Si cerca di allontanare
rapidamente questi mostri, o di nasconderli di nuovo, di illudersi che non esistano; oppure si fuggono la vita comunitaria e le relazioni con gli altri; o ancora si pretende che quei mostri siano negli altri e non in noi. 
I colpevoli sono sempre e solo gli altri ...
Ma la ferita che tutti portiamo in noi e che cerchiamo di non vedere e di fuggire, può diventare il luogo dell’incontro con Dio e con i nostri fratelli e sorelle; può diventare il luogo in cui impariamo ad amare, ad avere compassione degli altri.

- Jean Vanier -
da: La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 44-45-47)




La comunione è molto diversa dalla generosità. Si può dare e fare molto per gli altri, ma mettersi in comunione significa fermarsi ed entrare in relazione, significa guardare negli occhi e dare la mano, in un dono reciproco, ricevendo e donando. […] Entrare in comunione è riconoscere che si ha bisogno del fratello, come Gesù, stanco, che chiede alla samaritana di dargli da bere. Gesù non le chiede di cambiare, le dice semplicemente che ha bisogno di lei, la incontra in profondità, entra in comunione con lei, entra in una relazione dove si dà e si riceve, dove ci si ferma e si ascolta.

- Jean Vanier -





Buona giornata a tutti. :-)




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