Il
Natale è assolutamente inadatto al mondo moderno.
Presuppone
la possibilità che le famiglie siano unite, o si riuniscano, e persino che gli
uomini e le donne che si sono scelti si parlino. Così, migliaia di
spiriti giovani e avventurosi, pronti ad affrontare i fatti della vita umana e
a incontrare la vasta varietà di uomini e donne come sono realmente, altrettanto pronti a volare fino ai confini
della terra e a tollerare ogni qualità stravagante o accidentale dei cannibali
o degli adoratori del demonio, sono crudelmente obbligati ad affrontare un’ora
– no: talvolta persino due ore! – in compagnia di uno zio Giorgio o di qualche
zia di Cheltenham che non trovano particolarmente simpatici.
Non si possono, in tempi come i nostri,
sopportare tali abominevoli torture.
Una
fraternità più ampia, una sensibilità più vera, ha già insegnato a ogni donna
giovane e ardente – con
sufficiente ricchezza e tempo libero a disposizione – a sentirsi elettrizzata al solo pensiero di
fare colazione con un malvivente, di pranzare con uno sceicco o cenare con un
Apache a Parigi.
È quindi intollerabile che tale sensibilità
possa patire il trauma della comparsa inaspettata
della propria madre, se non addirittura quella del proprio figlio.
Nessuno
ha mai neanche ipotizzato che i «Genitori» fossero inclusi in quella bellissima
astrazione democratica chiamata «Popolo». Né che il concetto
di fratellanza potesse estendersi ai propri fratelli.
Comunque,
come dicevo, il Natale è inadatto alla vita moderna: la sua attenzione alla
famiglia al completo fu concepita senza tener conto della dimensione e delle
comodità dell’hotel moderno; il suo retaggio di rituali prescindeva
dall’attuale consuetudine consolidata di conformarsi all’anticonformismo; il
suo appello all’infanzia era in conflitto con le idee più progressiste sul
concepimento; in base al Natale, i Bright Young Things dovrebbero sempre
sentirsi vecchi e parlare come se fossero insulsi.
Quella scuola di buone maniere più libera e
più schietta, che consiste nell’annoiarsi con chi c’è e nel dimenticare chi non
c’è, è irrisa, nella sua prima parte, dalla vecchia abitudine di bere alla salute
di qualcuno e di scambiarsi gli auguri, e, nella seconda parte, dall’abitudine
di scrivere lettere o spedire cartoline di Natale. Sotto il peso di tali scambi
tribali e collettivi, è impossibile preservare la fine sfumatura, la delicata
raffinatezza che contraddistingue le maniere moderne: quella in accordo alla quale ci si dimentica
del vicino della porta accanto se incontrato per strada e, semplicemente, lo si
ignora se è seduto con noi a tavola.
Come potevamo aspettarci di estendere una
tradizione che si basava sull’ospitalità a quel felice intermezzo nel mondo
moderno e alla moda che ha rimpiazzato l’ospitalità con la violazione di
domicilio?
Qualche variazione di frasario era senza
dubbio necessaria: volendo essere precisi e rigorosi, si è chiamato «imbucarsi»
quando fatto dalle classi superiori, e «violazione di domicilio» quando fatto
dalle classi più umili. Ma il ladro che tracanna il tuo whisky senza che sia
stato invitato a berne un bicchiere, e un esponente dei Bright Young Things che
tracanna il tuo champagne senza che sia stato invitato a berne un bicchiere
hanno inconsciamente unito le loro forze nella grande urgenza, sentita dal
mondo più avanzato e progressista, di spazzar via la vecchia superstizione
dell’ospitalità.
L’ospitalità ha comunque un centinaio di
orrende implicazioni.
Comporta, per esempio, che la mia casa
appartenga più a me più che a un giornalista intervistatore di un’agenzia di
stampa miliardaria di Detroit. Per quanto calorosamente e con affetto io possa
intrattenere e abbracciare una tale persona, c’è comunque un bizzarro
pregiudizio legato alla situazione che frulla nella sua testa – per non dire
ciò che accade nella mia –: la vecchia, inspiegabile e raccapricciante credenza
di trovarsi nella casa di qualcun altro. Sarebbe senza dubbio liberato da
quell’imbarazzo se ci
incontrassimo in un grande hotel, o in una sala da tè ancora più grande e
impersonale, o in una biblioteca pubblica, o in un ufficio postale, o nei
corridoi ventosi di una stazione della metropolitana. I soli nomi di questi
luoghi bastano a evocare quel calore più ricco, quella fraternità più piena,
quel senso di altruismo fervente a tutti i livelli di rapporto umano, che
sopraggiungono una volta che gli uomini abbiano rinunciato alla proprietà
privata.
In ogni caso, non è necessario aggiungere
altro alla lista delle prove che il Natale non sia adatto a questa vita più
piena e più emancipata.
Il Natale deve andarsene! È letteralmente
inadatto a questo grande futuro che si sta aprendo dinanzi a noi.
Il
Natale non è fondato sulla grande concezione comunitaria che solo nel comunismo
può trovare la sua espressione finale.
Il
Natale non favorisce veramente una più alta, più salutare e più vigorosa
espansione del capitalismo.
Non ci
si può aspettare che il Natale si adatti alle moderne speranze di un grande
futuro sociale.
Il
Natale contraddice il pensiero moderno ed è un ostacolo al progresso moderno.
Radicato
nel passato, e persino nel passato remoto, quale utilità può avere per un mondo
in cui l’ignoranza storica è l’unica prova evidente della conoscenza
scientifica? Nato da miracoli
che sono stati raccontati più di duemila anni fa, non può certo aspettarsi di
fare colpo su quel robusto senso comune che resiste baldanzoso persino dinanzi
all’evidenza più chiara e palpabile dei miracoli che accadono in questo
istante.
Ovviamente,
avendo a che fare con questioni puramente psichiche, non è di alcun interesse
per gli psicologi; avendo determinato l’atmosfera morale di milioni di persone
per più di sedici secoli, non è di alcun interesse in un’epoca che si occupa di
medie e di statistiche.
Il
Natale è inerente alla più felice delle nascite, ma è il principale nemico
dell’eugenetica; porta con sé una tradizione di verginità volontaria, ma non
contiene alcuna indicazione pratica per la sterilizzazione obbligatoria.
Su ogni punto lo scopriamo in opposizione
con quel grande movimento progressivo grazie al quale – lo sappiamo bene –
l’etica si trasformerà in qualcosa di più etico e di più libero da tutte le
distinzioni etiche.
Il Natale non è moderno, il Natale non è
marxista, il Natale non è modellato sulla falsariga di quella grande era della
Macchina che promette alle masse un’epoca di felicità e di prosperità ancor più
intense di quella cui fino adesso le ha condotte.
Il Natale è medievale, essendo sorto agli
albori dell’Impero Romano.
Il Natale è una superstizione. Il Natale è
un relitto del passato.
Ma è veramente necessario continuare a
elencare i motivi per lodare il Natale? Tutti i suoi doni e le sue glorie sono
icasticamente compendiate in un dato già a sufficienza tratteggiato: il suo
essere un fastidio per tutte quelle persone che si riempiono la bocca delle
assurdità del nostro tempo.
È un motivo d’irritazione per tutti gli
uomini che hanno perso i loro istinti, la qual cosa corrisponde davvero
all’equivalente intellettuale del perdere i propri sensi. È un fastidio perenne
per i tutti cafoni: che siano essi magnati dell’industria, o dell’informazione
e del giornalismo internazionale, o di ogni altra cosa che appartiene all’odierno
paradiso dei cafoni.
È una
sfida lanciata alla cafonaggine, perché ci ricorda l’esistenza di un mondo più
grazioso fatto di cortesia e rispetto, e di abitudini che postulavano una sorta
di dignità nelle relazioni umane. È un rompicapo per i saccenti, i quali –
invischiati da un gelido odio in una contraddizione perenne e senza uscita –
non sanno decidersi fra il denunciare il Natale perché è una Messa [Nota de Gli
scritti, in inglese Christmas vuol dire
letteralmente Messa di Cristo, cioè Messa di Natale] – o, peggio, una mera messinscena papista –, e
il cercare di provare allo stesso tempo che si tratta, in realtà, di una festa
integralmente pagana, e che, quindi, era un tempo degna di
ammirazione, come qualsiasi altra cosa inventata dai pirati della Scandinavia
pagana.
Il Natale continua a ergersi dritto,
integro e spiazzante: per noi rappresenta una cosa ben precisa, per gli altri
un marasma d’incongruenze.
Il
Natale giudica il mondo moderno, perciò vogliono che se ne vada. Infatti sta
andando. E forte.
(Gilbert Keith Chesterton)
Fonte: dal sito della rivista
Tempi un testo di Gilbert Keith Chesterton pubblicato il 26/12/2013. Il brano
“Il natale deve andarsene” (1933) della raccolta “Lo spirito di Natale” di Gilbert Keith Chesterton. L’opera, edita da D’Ettoris Editori
e pubblicata a ottobre, è a cura di Maurizio Brunetti.
Se l'uomo riceverà senza vana superbia l'autentica gloria
che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato cioè da Dio,
l'onnipotente, l'artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà
nell'amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di
grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via
fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto.
- sant'Ireneo -
Hai udito, Vergine,
che concepirai e partorirai un figlio;
hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo,
ma per opera dello Spirito santo. L'angelo aspetta la
risposta; deve fare ritorno a Dio che l'ha inviato.
Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi
oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. [...]
O Vergine, da' presto la risposta.
Rispondi sollecitamente all'angelo, anzi, attraverso
l'angelo, al Signore.
Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina,
emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.
Dio, Signore e
Creatore dell’universo, colui che ha dato origine
ad ogni cosa e tutto ha disposto secondo
un ordine, non solo ama gli uomini, ma è
anche longanime. [..]
Dopo aver tutto disposto dentro di sé assieme al Figlio,
permise che noi fino al tempo anzidetto rimanessimo in
balia d’istinti disordinati
e fossimo trascinati fuori della retta via
dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro
arbitrio.
Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li
sopportava;
neppure poteva approvare quel tempo d’iniquità,
ma preparava l’era attuale di giustizia, perché,
riconoscendoci in quel tempo chiaramente
indegni della vita a motivo delle nostre opere,
ne diventassimo degni in forza della sua
misericordia, e perché,
dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con
le nostre forze nel suo regno,
ne diventassimo capaci
per la sua potenza.
Dalla «Lettera a Diognèto»
Con questa frase di un NON CRISTIANO, di un
ATEO come Sartre ricordiamo la diversità del Dio cristiano,un Dio per cui la
gloria non è stare assiso tra i cieli ma incarnarsi in un bambino, posto in una
mangiatoia ,allattato dalla propria madre ,incredula che quel Dio si possa
baciare e accarezzare, un Dio - bambino nato per portare la salvezza a
tutti....ancora Buon Natale.
Stefania